Il 25 Aprile del 1945, l’Internato Militare Italiano n. 6168 si trovava ancora nello Stalag XIB di Fallingbostel, in Bassa Sassonia, in cui era recluso da diversi mesi. Pochi giorni prima, il 16 di quel mese, una divisione corazzata inglese aveva liberato il campo di concentramento, salvando i prigionieri da una sorte infausta: i nazisti, prossimi alla disfatta, avevano infatti deciso di trasferirli in quelli di sterminio di Bergen Belsen e Buchenwald. Il protagonista di questa storia, in grave denutrizione e ammalato di pleurite, fu trasferito nel maggio 1945 nel non lontano campo di Bomlitz, trasformato in ospedale militare inglese; dopo quattro mesi di degenza egli fece ritorno in Italia, il 30 agosto 1945, per riprendere la propria vita dopo la tragica parentesi bellica.
Ma il personaggio diede a questa esperienza tragica un grande significato, grazie alla sua passione per la fotografia, coltivata clandestinamente durante tutta la reclusione a rischio dell’incolumità. Grazie ad una Zeiss Super Ikonta, poi sostituita da una Voigtländer Leica celata anche nelle mutande, tanti scatti impressi su pellicole custodite e sviluppate solo dopo la fine della guerra. Fotografie di enorme importanza storica e simbolica, che documentarono la prigionia e la liberazione. La prova di una sfida azzardata, combattuta e vinta a mano disarmata dagli oppressi contro i potenti oppressori, una sorta di ‘Resistenza passiva’ di gran parte degli internati militari italiani che, scegliendo per varie ragioni la prigionia, rifiutarono la guerra civile e diedero comunque un contributo alla sconfitta del nazifascismo.
Il personaggio, per chi di questa storia non è a conoscenza, era Vittorio Vialli (Cles, Trento 1914- Bologna 1983) insigne paleontologo e geologo, curatore presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, poi professore di paleontologia e di geografia fisica all’Università di Bologna e direttore dell’Istituto di Geologia e Paleontologia, nonché del Museo Geologico “Giovanni Capellini”. La produzione scientifica di Vialli è composta da trentasei tra articoli e carte, oltre ad alcuni testi didattici, che spaziano dalla paleontologia (stratigrafica, sistematica e di evoluzione) a temi prettamente geologici, incluso il rilevamento e la cartografia. In termini quantitativi pesa il decennio scarso che le vicende belliche gli sottrassero allo studio e alla ricerca, peraltro proprio nella fase cruciale tra la trentina e la quarantina; grande impegno dedicò inoltre alla didattica e alla conservazione museale. Il suo profilo umano e professionale, già raccontato in molti libri e saggi, è di prossima pubblicazione nel volume 99 del Dizionario Biografico degli Italiani edito dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani (Argentieri, in stampa).
Ieri, nel settantacinquesimo anniversario della liberazione dal nazifascismo, era programmata la presentazione a Bologna di una nuova edizione (curata anche dai figli Silvana e Bruno Vialli) del suo libro del 1975 Ho scelto la prigionia, in cui egli, tre decadi dopo gli eventi, narrò per immagini e parole la sua esperienza di internato militare. Fu la moglie Liana Mazzoldi ad assisterlo allora nel lavoro, impegnativo soprattutto emotivamente, di riordino del materiale fotografico.
L’emergenza sanitaria globale in corso ha imposto il rinvio di questo, come di moltissimi altri eventi ordinari e straordinari. Ecco un motivo in più per attendere con speranza la fine della pandemia, per onorare la memoria di questo illustre Geoitaliano. Un esempio di resistenza e di sopportazione delle difficoltà, capace di sopravvivere alle tragedie e di riprendere il percorso interrotto, a cui guardare con ammirazione.
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