martedì 31 dicembre 2019

La rota porphyretica nella Basilica di San Pietro in Vaticano


di Marco Pantaloni

Tra le migliaia di visitatori che ogni giorno entrano nella Basilica di San Pietro in Vaticano, solo pochi si soffermano a osservare una lastra di porfido collocata proprio all’interno della porta centrale, o porta del Filarete, della Basilica.
La vastità e lo splendore della chiesa distolgono l’attenzione del visitatore dal disco rosso cupo di porfido, conosciuto appunto come rota porphyretica, incastonato tra gli altri marmi nel pavimento.

Questo disco marmoreo rappresenta uno dei simboli più importanti per il ruolo secolare della Chiesa perché sopra di essa si svolgevano le solenni cerimonie della Corona e l'intronizzazione dei papi. L’importanza della rota è dimostrata dal fatto che, in passato, non poteva essere calpestata dal popolo comune per nessun motivo; la tradizione riporta che sulla lastra di porfido il papa Leone III abbia incoronato Carlo Magno, nella famosa notte di Natale dell’anno 800, anche se l’iconografia classica non ne riporta l’esistenza.

L’incoronazione di Carlo Magno (dettaglio), di Raffaello Sanzio.
(Web Gallery of Art: Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14614952)


La presenza di questa rota è stata richiamata in molti testi e la sua presenza deriva dal recupero di materiale dalla demolizione della precedente Basilica vaticana. Infatti, lo storico Onofrio Panvinio (1530-1568) nella descrizione del pavimento della vecchia basilica riporta la presenza di quattro rotae: due in marmo egiziano, delle quali una immediatamente dopo la soglia e due in porfido, posizionate una nel nartece e un’altra, quasi sicuramente la rota porphyretica, in corrispondenza dell’altare del Santissimo Sacramento. Questa posizione è confermata dal chierico della basilica Giacomo Grimaldi (1560-1623) che descrive quattro rotae allineate di cui una, che lui chiama “grande porphyretica”, posta di fronte all’Altare del Santissimo Sacramento. Grimaldi fu un attento cronista delle demolizioni e delle ricostruzioni della basilica, e uno dei pochi a riprodurre l’ambiente dell’antica basilica costantiniana. La rota porphyretica, nella riproduzione di Grimaldi, è la più grande delle quattro rotae e viene evidenziata dal colore rosso, al centro della navata in prossimità dell’altare del Santissimo Sacramento.

Rappresentazione dell’antica Basilica di San Pietro di Giacomo Grimaldi;
il disco rosso al centro del disegno è la rota porphyretica
(http://projects.leadr.msu.edu/medievalart/exhibits/show/roman_architecture_ages/old_st_peters)

Durante la costruzione della attuale basilica, il vecchio pavimento venne interrato a circa 4 metri di profondità e venne riesumato solo nel 1649 in occasione del Giubileo, quando papa Innocenzo X fece sostituire il pavimento della chiesa disegnato dal Maderno con l’attuale pavimento intarsiato di Gian Lorenzo Bernini. Il riposizionamento della rota porphyretica nell'attuale posizione, quindi, avvenne proprio in quel periodo; tuttavia durante i lavori la lastra fu spezzata e venne quindi ridotta nelle attuali dimensioni di circa 2,6 metri di diametro.
Nessuno studio riporta informazioni circa l’origine della lastra di porfido; sicuramente si tratta di materiale di riuso proveniente da opere della Roma imperiale. Questa pietra ornamentale, chiamata dai romani Lapis porphyrites o Porfido imperiale, è caratterizzata da un color rosso porpora con piccoli cristalli di feldspato bianco. Scientificamente è descritta come una dacite-andesite porfirica del Precambriano, con massa di fondo colorata da ematite e piemontite silicea con manganese. I cristalli rosa e bianchi sono costituiti da feldspato plagioclasico e quelli neri da biotite o orneblenda.

La rota porphyretica collocata all'interno della porta centrale
della Basilica di San Pietro in Vaticano.

Venne estratta a partire dal I sec. a.C. a Gebel Dokhan nel Deserto egiziano orientale, divenuto poi Mons Porphyrites. Fu usata soprattutto ai tempi di Nerone, Traiano ed Adriano, e veniva estratta nelle cave di proprietà imperiale; la predilizione degli imperatori per il colore porpora fece sì che questa pietra ornamentale divenisse uso riservato dell’imperatore e, da quel momento, simbolo del potere.
Dopo l’abbandono delle cave egiziane, gli scalpellini romani riusarono massicciamente questa pietra, che venne quindi chiamata porfido rosso antico o porfido rosso egiziano, nei pavimenti cosmateschi delle chiese di Roma.

Di fatto, il valore simbolico della rota porphyretica la rende una delle pietre ornamentali più evocative nella storia dell’occidente, assegnandoli un valore culturale enormemente superiore a quello intrinseco economico.

Per saperne di più


sabato 7 dicembre 2019

The Seven Year Itch: GEOITALIANI 2012-2019


di Alessio Argentieri e Marco Pantaloni

Oggi la Sezione di Storia delle Geoscienze compie sette anni di vita. Il parto, seguito ad una lunga gestazione, avvenne il 7 dicembre 2012 nell’Aula del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza a Roma con la Conferenza “Le Geoscienze tra passato e futuro”. L’evento, organizzato dalla Società Geologica Italiana a seguire l’Assemblea generale, è stato raccontato già nel quinto anniversario con l’articolo che vi invitiamo a rileggere (http://www.geoitaliani.it/2017/12/primo-lustro.html).

Per il settimo compleanno ecco un piccolo omaggio a lettrici e lettori di GEOITALIANI, molti dei quali sappiamo essere cinefili.
Nel 1955 usciva nelle sale cinematografiche “The Seven Year Itch”, regia di Billy Wilder, uno dei film su cui si fonda il mito di Marilyn Monroe. In Italia fu rinominato “Quando la moglie è in vacanza”, con una traduzione infedele (letteralmente sarebbe “Il prurito del settimo anno”), forse imposta dalla censura che di cose pruriginose non voleva assolutamente sentir parlare.
Il numero magico 7 ci avrebbe consentito altre citazioni cinematografiche, dai cowboys guidati da Yul Brynner (“The Magnificent Seven” di John Sturges, 1960) o meglio ancora dal loro archetipo giapponese (“Shichinin no Samurai di Akira Kurosawa, 1954), sino a “Snow White and the Seven Dwarfs” (regia di David Hand, 1937). E su quest’ultima scelta avremmo avuto gioco facile, visto che nessun geologo al mondo può negare che le proprie passioni professionali abbiano una radice, seppur minima, nelle rappresentazione disneyana delle viscere della Terra, da cui i nanetti cavavano pietre preziose multicolori.

Ma su tutte le immagini possibili abbiamo deciso di festeggiare la ricorrenza del 7 dicembre con un altro dono del sottosuolo, il flusso d’aria risalente dalle gallerie ipogee per regalarci la meravigliosa Marilyn in abito bianco, che a distanza di decenni ancora estasia.



Dopo sette anni il prurito che diede vita al progetto GEOITALIANI ancora c’è e speriamo sia molto, ma molto contagioso, sino a diventare cronico.
Per questo motivo vi invitiamo a partecipare alle attività e a sostenere la Società Geologica Italiana, rinnovando l’iscrizione per il 2020.

Il contributo degli iscritti rappresenta un supporto fondamentale per la vita della nostra Società, ma soprattutto per poter continuare ad effettuare tutte le attività sociali, tese alla promozione della cultura delle geoscienze sia all'interno della comunità scientifica, nazionale e internazionale, sia nel Paese. Rinnovare la propria associazione alla Società Geologica Italiana significa sostenere l'intera comunità delle geoscienze nel segno della storia, della tradizione e del rinnovamento.

Rinnovando l’iscrizione per il 2020 non mancate di esprimere l’adesione alla Sezione di Storia delle Geoscienze.
GEOITALIANI wants you!!!

lunedì 2 dicembre 2019

Pria Pula, l’isola che non c’è (sulle carte geologiche moderne)

di Luca Barale

La Pria Pula (anche “Pria Pulla” o “Pria Poula”) è uno scoglio di pochi metri di lunghezza, situato a poco più di 200 metri di distanza dalla costa di Pegli (Genova), alle coordinate WGS84 44°25'15.8"N - 8°48'20.6"E. Il nome dello scoglio (letteralmente “Pietra Pollastra”) deriva dalla caratteristica forma “crestata” (Fig. 1), ben riconoscibile anche da riva.


Fig. 1. La Pria Pula in una cartolina d’epoca; sullo sfondo il lungomare di Pegli.
Immagine tratta dal volume “Pegli nel tempo e nei tempi” (Graffigna & Maggio, 2005)
La Pria Pula ha da sempre rappresentato un simbolo della cittadina di Pegli, tanto da essere inserito negli ultimi anni nel censimento dei Luoghi del Cuore dal FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano (https://www.fondoambiente.it/luoghi/isolotto-di-pria-pulla).
Negli anni ’70, l’esistenza della Pria Pula fu minacciata dalla costruzione della diga foranea per il Porto di Voltri-Pra’. Tuttavia, a seguito delle proteste dei pegliesi, il tracciato dell’opera fu deviato di alcuni metri rispetto al progetto originario così da risparmiare lo scoglio, pur racchiudendolo all’interno del bacino portuale.
Dal punto di vista litologico, la Pria Pula rappresenta la continuazione a mare dei metagabbri a glaucofane che costituiscono il promontorio del Bric Castellaccio, già conosciuti nella seconda metà del XIX secolo (es., Bonney, 1879; Parkinson, 1899; Franchi, 1896) e oggi attribuiti all’unità dei Metagabbri del Bric Fagaggia (Unità tettono-metamorfica Palmaro-Caffarella, Massiccio di Voltri; Capponi & Crispini, 2008). 
Le uniche indicazioni in nostro possesso sulla composizione litologica della Pria Pula compaiono in due carte geologiche pubblicate tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo ad opera di due illustri geologi che molto contribuirono alle conoscenze geologiche sull’area genovese. Si tratta della “Carta geologica della Tratta Pegli-Rossiglione (Scala di 1:25.000)” di Torquato Taramelli, allegata al lavoro “Osservazioni geologiche in occasione del traforo delle gallerie del Turchino e di Cremolino sulla linea Genova-Asti” (Taramelli, 1898), e della “Carta Geologica di Pegli e dintorni” inserita nella monografia Liguria Geologica di Gaetano Rovereto (1939). In entrambe le carte, le dimensioni dell’isolotto sono state esagerate, per consentirne la rappresentazione. Nella carta di Taramelli (Fig. 2), la Pria Pula e il vicino promontorio del Bric Castellaccio sono rappresentati con colore giallo scuro, corrispondente ad “Anfiboliti (Ovarditi, prasiniti, ecc.)”. Analogamente, nella carta di Rovereto, la Pria Pula è contrassegnata da una “V” rossa (in verità appena leggibile; Fig. 3), indicante “Gabbri e scisti glaucofanitici”, ovvero “i noti gabbri glaucofanitici e a lawsonite di Pegli e della Pria Poula, grosso scoglio in mezzo al mare” (Rovereto 1939, pag. 308).

Fig. 2. “Carta geologica della Tratta Pegli-Rossiglione (Scala di 1:25.000)” di Torquato Taramelli (1898). La Pria Pula (qui “Pria Poula”), così come il vicino promontorio del Bric Castellaccio, è rappresentata con colore giallo scuro, corrispondente alla voce “Anfiboliti (Ovarditi, prasiniti, ecc.)” della legenda (b). Riproduzione per gentile concessione della Biblioteca ISPRA, Roma.

Fig. 3. Particolare della “Carta Geologica di Pegli e dintorni” di Rovereto (1939). La Pria Pula, e il promontorio del Bric Castellaccio, presentano una campitura a “V” rosse, corrispondente a “Gabbri e scisti glaucofanitici (serie di Montenotte?)”.
Al contrario, sulle carte geologiche ufficiali dell’area di Genova pubblicate nei decenni seguenti (Carta Geologica d’Italia 1:100 000, Foglio 82 Genova, I Ed., Sacco & Peretti, 1942; II Ed., Servizio Geologico d’Italia, 1971; Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50,000, Foglio 213-230 Genova; Capponi e Crispini, 2008), il toponimo “Pria Pula” compare, ma, a causa della scala di rappresentazione troppo piccola, la composizione litologica dell’isolotto non è più riportata (Fig. 4). Quello della Pria Pula è uno dei tanti esempi di come le “vecchie” carte geologiche, oltre ad avere un innegabile valore storico, possano anche rappresentare un’utile risorsa dal punto di vista scientifico, poiché ricche di informazioni di dettaglio spesso omesse dai documenti moderni.

Fig. 4. Particolari della zona di Genova Pegli tratti dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, Foglio 82 Genova, II Ed. (a; Servizio Geologico d’Italia, 1971) e dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50,000, Foglio 213-230 Genova (b; Capponi & Crispini, 2008). In entrambi i casi, il toponimo “Pria Pula” è presente, ma senza indicazioni sulla sua natura litologica.

Bibliografia
Bonney T.G. (1879) - Note on some Ligurian and Tuscan serpentinites. The Geological Magazine, 2nd decade, 6: 362-371.
Capponi, G., Crispini, L. (2008) - Foglio 213-230 Genova della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000 e note Illustrative. APAT, Roma.
Franchi S. (1896) - Prasiniti e anfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di rocce diabasiche presso Pegli, nelle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argentario, Bollettino della Società Geologica Italiana, 15: 169-181.
Graffigna G.B., Maggio G. (2005) Pegli nel tempo e nei tempi. Ateneo Edizioni, Genova.
Parkinson J. (1899) - The glaucophane gabbro of Pegli, North Italy. The Geological Magazine, 4th decade, 6: 292-298.
Rovereto G. (1939) - Liguria Geologica. Memorie della Società Geologica Italiana, 2: 1-741.
Servizio Geologico d’Italia (1971) - Foglio 82 Genova, II Edizione, Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000. Roma.
Sacco F., Peretti L. (1942) Carta Geologica d’Italia 1: 100 000. Foglio 82 Genova, I Edizione. Stab. Salomone, Roma.
Taramelli T. (1898) Osservazioni geologiche in occasione del traforo delle gallerie del Turchino e di Cremolino sulla linea Genova-Asti. Tip. Squarci, Roma