Fig. 1 – Pavimento.
Locanda L’Ombrosa, Bottagna (SP).
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Il supercontinente Pangea sta andando a pezzi. Lo attraversano spaccature dove stanno per formarsi nuovi oceani, in progressiva espansione. Tutti i fondali marini già esistenti stanno invece per sparire, immersi e rifusi nelle profondità mantelliche oppure corrugati e innalzati in montagne che cresceranno anche per migliaia di metri in altezza.
Là in mezzo, fra Laurasia e Gondwana, un lembo litosferico si sta abbassando. Lo bagnano acque sottili, con il loro carico minerale e biotico. Dapprima in parte evaporano ma poi la batimetria cresce e sulla neonata piattaforma marina si depongono estese fanghiglie calcaree.
Per un certo tempo l'ossigeno è poco e la sostanza organica soffoca, marcisce, sepolta sotto nuovi lenzuoli melmosi, ora calcarei ora silicei. Pigmentazioni carboniose impregnano tutto quel sedimento che, pressato dal carico sovrastante, via via si indurisce preservando un aspetto irrimediabilmente cupo.
Passano circa 100 milioni di anni e le zolle cambiano direzione, iniziano a convergere. Ma l'inabissamento prosegue, anzi si accentua, velocizzato da maestose forze tettoniche che provocano la subduzione, l’obduzione e il definitivo riempimento del protoceano con centinaia di metri di sabbie torbiditiche, note successivamente come “Macigno”.
20 milioni di anni fa, Miocene.
L'esperienza marina è quasi giunta al termine nel grande bacino ormai colmato e la crosta, così ispessita, si è risollevata fino a riemergere, per poi risalire ancora negli anni a venire.
Fig. 2 – Muretto a secco.
Vezzano Ligure (SP).
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Quaternario.
I continenti che circondano il Mediterraneo hanno preso la forma odierna. Le intemperie e le glaciazioni modellano i rilievi e controllano i livelli marini.
Una costa del continente europeo che affaccia a meridione scopre una parte di quel calcare micritico nerastro, ora nuovamente bagnato dal mare, un giorno detto Ligure.
L’aspetto plumbeo di quel calcare liassico è piuttosto originale nella variopinta successione degli altri strati rocciosi. Non rivela tracce di vita precedente, neppure microscopiche. Pare petrolio solidificato. Lo attraversano strutture nodulari e stilolitiche e venature di calcare in parte dolomitizzato, bianco e giallastro, quasi dorato, per la presenza di solfuri e idrossidi di ferro, riempimenti delle fratturazioni provocate dalle spinte deformative. Spinte soprattutto compressive, che hanno piegato e fagliato tutta la successione rocciosa, dando origine a un golfo, dove si posizionerà il porto di La Spezia, fiancheggiato da due creste protese verso il mare.
Il calcare scuro affiora lungo la cresta di ponente che oggi termina con Portovenere e le isole Palmaria e Tino, mentre la cresta di levante mette a nudo il basamento ercinico, con le sovrastanti metamorfiti triassiche.
Col tempo il territorio si popola e l'avanzamento tecnologico arriva a permettere l'estrazione della roccia. Dei suoi primi impieghi rimangono pochissime tracce, per gran parte obliterate dai successori.
Fig. 3 – Panoramica dell’apice del promontorio di Portovenere (SP) visto dall’isola Palmaria.
(0: Golfo di La Spezia, da Google Earth; 1: tipica schiera di caseggiati lungo il porto di Via Calata Doria; 2: scorcio verso la chiesa di San Pietro; 3: antiche cave a mare, dove una targa ricorda il poeta Byron, il quale - si narra – da qui nuotò fino a Lerici per raggiungere l’amico Shelley; 4: sala ipostila del Forte-Castello Doria; 5: unità della successione toscana affioranti sulla costa verso le Cinque Terre)
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II secolo avanti Cristo.
Una fiorente cittadina portuale domina lo scenario tirrenico. Greci, Etruschi e Liguri Apuani la chiamavano Selene, prima dell'arrivo dei Romani, che la ribattezzano in Lunae, poi Luni, da cui trarrà il nome la regione Lunigiana. Snodo commerciale, vanta tra le sue specializzazioni anche il trasporto di roccia, per vie terrestri e marittime (naves lapidariae), sviluppato per la presenza in zona di giacimenti di marmo bianco già pregiatissimo, futuro “Marmo di Carrara”, copioso, compatto, ideale da scavare e forgiare.
Candide ferite verticali cominciano a disegnarsi nell'entroterra apuano, mentre sotto abili mani sorgono statue perfette e robusti edifici, per abitare, amministrare e divertirsi.
Tutte le rocce lapidee conoscono un deciso sfruttamento, il primo destinato a lasciare traccia di sé nei secoli a venire. In poco tempo il loro impiego trasforma intere città, specialmente Roma (secondo lo storico Svetonio, Augusto, già in età avanzata, sosteneva di aver ricevuto una città di mattoni e di averla lasciata di marmo).
Fig. 4 – Pavimentazioni.
Chiesa di Santa Maria delle Vigne a Genova;
palazzo pubblico in Via Garibaldi a Parma; basilica di San Paolo Fuori Le Mura a Roma. |
In mezzo a tante rocce chiare, le scure rocce liguri esercitano tutto il loro fascino misterioso, e quel vecchio calcare nero ha un asso in più nella manica: è lucidabile e, opportunamente tagliato, mette in mostra l’armonioso reticolo delle venature bianco-dorate.
Esposto tende a schiarirsi, ma inumidito e levigato acquista un’oscurità brillante. Accostato ad altre rocce ne esalta i colori, da solo marca spazi eleganti, dove l’occhio finisce prima o poi per cadere.
I suoi impieghi si moltiplicano, per uso costruttivo e soprattutto ornamentale, diffondendosi per chilometri di distanza.
Fig. 5 – Frammenti di roccia, asciutti e bagnati.
Fig. 6 – Arredi.
Chiesa di Nostra Signora delle Grazie a Le Grazie (SP),
anticamente gestita dai monaci Olivetani, proprietari delle cave locali. |
Fig. 7 – Arredi. Dimora storica nel quartiere Albaro di Genova; pasticceria a Piacenza; cimitero di Portovenere. |
Portoro, questo il suo nome assegnato, si pensa, durante la dominazione francese del territorio, forse da “porte de l'or”.
Tanta la sua notorietà che lo stesso nome si usa e abusa per altre rocce somiglianti, cavate altrove nel mondo, pur gradualmente soppiantato dall'anglosassone black and gold.
Altrettanto abusivamente lo chiamano marmo, per le sue caratteristiche estetiche e di durezza, ma gli scienziati moderni rifiuteranno il termine escludendo trasformazioni metamorfiche, nemmeno di basso grado.
Fig. 9 – Infelici ma significativi tentativi di imitazione.
Abbazia di S. Andrea apostolo a Borzone di Borzonasca (GE);
chiesa di San Pietro a Montemarcello (SP).
Abbazia di S. Andrea apostolo a Borzone di Borzonasca (GE);
chiesa di San Pietro a Montemarcello (SP).
Per la sua estrazione, iniziata con cunei di legno e poi di ferro, a fine ‘700 si utilizza l’esplosivo, poi a fine ‘800 la sega con sabbia silicea e infine dalla seconda metà del ‘900 la tagliatrice a filo diamantato.
La coltivazione si svolge a cielo aperto o in sotterraneo, a mezza costa o anche sotto il livello marino.
Fig. 10 – Attività estrattive dismesse sull’isola Palmaria
(SP),
caletta di Punta Pittonetto e cava del Pozzale.
caletta di Punta Pittonetto e cava del Pozzale.
Fig. 11 – Attività estrattive dismesse sull’isola Palmaria (SP), affioramento e blocco grezzo di estrazione presso il molo Terrizzo. |
A metà ‘800 vengono censite circa trenta cave attive in zona, ma già nella prima parte del ‘900 si registra una drastica riduzione, dovuta a varie cause, tra cui il graduale esaurimento delle varietà più pregiate e la conseguente riduzione dei margini di guadagno, oltre al degrado ambientale prodotto dalle attività di scavo, non più trascurabile in una società fattasi più sensibile e più propensa alla preservazione e fruizione dei paesaggi naturali. Il cambio culturale viene certificato dall'iscrizione di queste zone nel patrimonio mondiale dell’umanità (UNESCO).
Fig. 12 – Uso attuale del Portoro sull’isola Palmaria (SP). |
L’area di affioramento del Portoro e, più in generale, l'area della Spezia, con tutta la successione stratigrafica in esposizione, piegata e in parte rovesciata in retrovergenza (direzione occidentale, antiappenninica), costituisce una palestra ideale di studio per la comprensione geologica dell'Italia centro-settentrionale, sin dagli inizi dell’800. Ne dà conto, in sintesi, la sezione “Cenni storici” delle Note illustrative del Foglio 248 “La Spezia” della Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000.
La cartografia trae origine dalla “Carta geologica dei dintorni del Golfo della Spezia e Val di Magra inferiore” redatta nel 1863 sotto la responsabilità dello spezzino Giovanni Capellini (1833-1922), docente di geologia all'Università di Bologna, cofondatore della Società Geologica Italiana e poi senatore del Regno d'Italia.
La documentazione raccolta presso l'Archivio storico del Senato descrive l'attaccamento di Capellini a queste zone, trasmesso al suo allievo Domenico Zaccagna (1851-1940), carrarese, in forze al R. Ufficio Geologico.
Fig. 14 – Giovanni Capellini (dal sito del Servizio Geologico d'Italia - ISPRA)
e Domenico Zaccagna (dal sito della Società Geologica Italiana, sezione Presidenti).
e Domenico Zaccagna (dal sito della Società Geologica Italiana, sezione Presidenti).
“Dall’aspetto sereno, baffi spioventi, chioma bianca ed ancora fluente, viso asciutto”. Così un cronista dell’epoca lo descrive, un anno prima della sua scomparsa, all'alba del periodo fascista, nel corso di una commemorazione di un marittimo del luogo che aiutò Garibaldi.
Durante l'intervista Capellini manifesta la sua fede nella patria e rievoca i primi studi nella nativa Spezia, dove ebbe a incontrare la famiglia reale dei Savoia, mostrando le prime avveniristiche attrezzature in dotazione al gabinetto di fisica e storia naturale dell’ateneo (“una piccola macchina elettromagnetica, un telegrafo e … qualche preparazione microscopica, giovandosi di un microscopio … prestato dal prof. Marsili”), dove più tardi una targa testimonierà l’evento. Da quel giorno - si compiace Capellini – Umberto, allora principe, “fu il mio protettore e nessuno più di lui s'interessò per tutto quanto mi riguardava compiacendosi anche di dirsi mio più antico amico”.
Fig. 16 – Estratto della Carta geologica dei dintorni del
Golfo della Spezia e Val di Magra inferiore, in scala 1:50.000 (1863), di
Giovanni Capellini, dedicata a S.A.R. Umberto di Savoia, Principe ereditario
del Regno d'Italia (disponibile al download su opac.isprambiente.it)
Attività di cava filmate nel 1932 dall’Istituto Luce |
Per saperne di più:
- Capellini G. (1862) - Studi stratigrafici e paleontologici sull’Infralias nelle montagne del Golfo della Spezia. Memorie dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, 75pp con 2 tavole, Bologna.
- Zaccagna D. (1935) - La geologia del Golfo della Spezia. Memorie dell'Accademia Lunigianese delle Scienze, 16: 63-90, La Spezia.
- Servizio Geologico d'Italia, Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000, con Note Illustrative, Foglio 248 La Spezia (2005).
- ISPRA – Catalogo delle formazioni, Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000, Scheda “Portoro”, a cura di Paola Falorni.
- Fiora L. e Alciati L. (2007) – Rosso Levanto e Portoro, “marmi” colorati dalle proprietà estetiche uniche. In Cave storiche e risorse lapidee, a cura di L. Marino, Ed. Alinea.
- Fratini F., Pecchioni E., Cantisani E. et al. (2015) - Portoro, the black and gold Italian “marble”. Rendiconti Fis. Acc. Lincei, Volume 26, Issue 4, pp 415–423.
- Spesso M. e Brancucci G. (2016) - Le pietre liguri nell'architettura di Genova durante il regime fascista. Ed. Angeli.
- Piano territoriale regionale delle attività di cava della Regione Liguria.
- https://www.regione.liguria.it/homepage/territorio/paesaggio-tutela-e-valorizzazione/valorizzazione-del-paesaggio/uso-materiali-lapidei-tradizionali/catalogo-materiali-lapidei.html
- http://www.cittadellaspezia.com/Materia-facoltativa/Il-portoro-174309.aspx
- http://www.luni.beniculturali.it/index.php?it/283/inquadramento-storico-e-archeologico
- http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/C_l2?OpenPage (scheda di Giovanni Capellini)
- http://www.archiviostorico.unibo.it (voce “Ritratti dei Docenti”)
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