di Isabella Salvador
I diari, nei quali Bonfioli oltre
ad aver registrato scrupolosamente temperatura e pressione giornaliera, aveva
anche descritto i principali eventi meteorologici occorsi (fig.2), rappresentano
una ‘banca dati’ di indiscusso valore, tanto più che si tratta di osservazioni registrate
durante un periodo di anomalie atmosferiche ben note.
Tra la fine del ‘700 e l’inizio
dell’800 si era infatti registrata una fase di significativa riduzione
dell’attività solare (minimo di Dalton 1790-1820), caratterizzata da un
abbassamento medio delle temperature globali. Chiudeva questo trentennio uno
dei fenomeni eruttivi più energetici della storia recente della Terra: l’eruzione
del vulcano Tambora (5 - 15 aprile 1815) che avrebbe provocato, l’anno
successivo, quello che passò alla storia come l’ “anno senza estate”, di cui proprio nel 2016
ricadeva il duecentesimo anniversario.
La curiosità di trovare qualche
traccia degli effetti di tale eruzione anche in quelle pagine e di cogliere,
con lo sguardo di uno studioso di inizio Ottocento, le ‘stranezze’ che potevano
essersi palesate in una piccola valle alpina, mi spinsero a immergermi
completamente in quel mondo dimenticato da 200 anni.
Inaspettatamente oltre a trovare
testimonianza degli effetti del Tambora, descritti come una “specie di disordine nelle stagioni e nella
temperatura” in tutta Europa durante il bienno1816-1817, Bonfioli riportava
anche il resoconto di strani fenomeni verificatisi durante l’estate del 1783 e
nel successivo1821.
Fig. 2 - Pagine del diario meteorologico di Giuseppe Bonfioli del 1816, l’ “anno senza estate”(Archivio comunale di Rovereto). |
Tra le pagine del diario, quelle più
dense di annotazioni si riferiscono proprio al biennio 1816-1817.
I primi sentori delle ‘stranezze
meteorologiche’ furono registrati nella primavera del 1816. Bonfioli aveva
notato che, fino a maggio, le temperature erano state particolarmente rigide e
che, tra il 13 e 14 di quel mese, aveva nevicato anche nella città di Trento e
nelle campagne del fondovalle. Le piogge e le nevicate a bassa quota erano
continuate per tutto il mese di giugno e luglio, tanto che la quantità eccezionale
di precipitazioni di quei mesi aveva provocato un aumento insolito del livello
del Lago di Garda. Il cattivo tempo
si era protratto fino all’autunno inoltrato. In quell’anno in Trentino la temperatura
media fu 1,2° inferiore a quella del decennio 1810-1820, con punte di quasi 2°
in meno nel mese di luglio. I giorni di pioggia intensa aumentarono del 35% concentrandosi
soprattutto nei mesi di aprile, maggio e giugno.
Incuriosito dall’eccezionalità
climatica di quell’anno, Bonfioli aveva trascritto articoli dai giornali delle
principali città europee (es. Parigi, Francoforte, Augusta), constatando che le
anomalie meteorologiche di quell’anno (e della prima metà del 1817) non erano
state un fenomeno locale, ma avevano coinvolto gran parte del vecchio
continente. Da Parigi, il 15 febbraio
1817, giungevano notizie di “una specie
di disordine nelle stagioni e nella temperatura” (fig.3,a); la Gazzetta di
Milano, riprendendo notizie provenienti dalla Svizzera, parlava di un clima nel
quale “sembra che in varie regioni tutto
proceda in opposizione ai principi ricevuti”.
Il dibattitto sullo strano evolversi delle stagioni fu alimentato anche da particolari fenomeni atmosferici osservati in varie città europee nei primi mesi del 1817: nebbie persistenti e basse, che velavano i cieli di strani rossori, furono osservate da Venezia a Parigi, dalla Sicilia all’Inghilterra. A questi eventi si erano sommate altre “cose degne di attenzione: le irregolarità e i singolarissimi accidenti dei Barometri; la deviazione dell’ago magnetico; il flusso e riflusso che accade nell’Adriatico”. Molti studiosi avevano tentato invano di dare una spiegazione agli eventi verificatesi negli ultimi mesi senza giungere a una conclusione condivisa, tanto che nel Giornale astro-meteorologico del 1817 si scrisse: “Dell’annata corrente si discorse in più luoghi. Le vicende sue attribuirono alcuni alle macchie del Sole [...] Altri appigliaronsi alla calamita ed alle mosse dell’ago calamitato [...] Altri borbottarono contro la Cometa del 1811 [...]. Altri se la presero colle maree dell’Adriatico, ma non intendo né punto né poco cosa dir vogliono, [...] In somma non fecero invidia al popolo certamente, che Venere prendea per insolita e nuova stella, e per poco anche alcuno fuor de’ ghangheri non temea uscito il grande Asso mondano”.
Solo più di un secolo dopo si
riuscì a dimostrare come buona parte di questi eventi fossero legati all’eruzione
di un vulcano dall’altro capo della Terra. Nel 1979 gli
oceanografi americani Henry e Elizabeth Stommel dimostrarono che l’eruzione del
vulcano Tambora (1815), nell'arcipelago indonesiano della Sonda, era stata la
causa delle anomalie climatiche del 1816. A rendere tragicamente famoso quell’anno
contribuì la penuria di cibo e la conseguente carestia in tutta Europa,
aggravata dal freddo intenso delle annate precedenti (fig. 3,b), che aveva già
compromesso i raccolti e provato una popolazione che stava lentamente
riprendendosi dalle conseguenze delle guerre napoleoniche.
Poco più di trent’anni prima, un’altra
eruzione, quella del sistema islandese di Laki (8 Giugno 1783 - 8 febbraio
1784), aveva duramente colpito una vasta parte di Europa, Nord America, Asia e
Africa settentrionale. Il 17 giugno erano apparse per la prima volta in
Trentino strane esalazioni, che
avevano reso l’aria densa e fosca e
il sole costantemente velato; la caligine avvolgeva i fondovalle e le
montagne sia di giorno che di notte, per sparire temporaneamente spesso a
seguito di forti temporali e poi ricomparire fitta e densa come prima. Il sole,
all’alba e al tramonto, assumeva “un
color rosso d’una maniera che sembrava coperto di sangue, di modo che si poteva
mirare ad occhi aperti senza esser offeso dai raggi e così pure colorita
appariva la luna”. L’inspiegabilità del fenomeno aveva iniziato ad
angosciare la popolazione; erano ormai più di due mesi che la strana esalazione aveva invaso le vallate
alpine. A destare ulteriore preoccupazione, a partire dalla metà di luglio,
erano stati alcuni temporali straordinari per l’intensità e la violenza dei
fulmini.
Nel frattempo da altre città
provenivano voci che fenomeni simili a quelli osservati nelle vallate alpine si
erano registrati in gran parte del nord Italia e dell’Europa; i più importanti
studiosi dell’epoca azzardarono le prime ipotesi sull’origine della ‘nebbia
secca’ e sulla sua possibile pericolosità. Bonfioli annotò nel suo diario:
“In
giugno e luglio vi furono quasi ogni giorno esalazioni così forti tutto all’intorno
che appena appena si distinguevano le vicine montagne, questo fenomeno fu
eguale in tutto il Tirolo, Austria, buonaparte della Germania, in tutta
l’Italia e Francia; furono queste esalazioni seguite da fieri temporali, e da
quantità spaventevoli di fulmini colla peste ancora in fine nell’Ungheria e
terremoti in Calabria” (fig.4). Lo studioso trentino sembrava quasi
suggerire che le nebbie e i violenti temporali fossero in una qualche maniera
collegati con la peste in Ungheria e con i terremoti nel sud Italia, eventi che
avevano avuto particolare risonanza nella stampa nazionale di quell’anno.
L’opinione più diffusa all’epoca era
infatti quella che gli eventi sismici, che avevano colpito Messina e il sud
della Calabria tra il 5 febbraio e il 28 marzo, potessero essere la causa della
densa nebbia, molto simile a “l’aria
nebulosa” descritta dopo le intense scosse, e che fosse la stessa prodotta
dal terremoto, alzatasi nell’atmosfera portata da “li Venti Austrosiroccali” che avevano dominato nel mese di giugno
(fig.5).
Altri studiosi, come il Cav. de
Lamanon, naturalista dell’Accademia delle Scienze di Parigi, ipotizzava che la nebbia
così come i terremoti del 1783 avessero cagione comune, ovvero la siccità che
per alcuni anni aveva caratterizzato gran parte dell’Europa e dell’Asia. Tra le
varie ipotesi vi era anche quella che potesse trattarsi della coda di una
grande cometa che era stata osservata quell’anno e che avesse lasciato una scia
di particelle nell’atmosfera.
Uno dei primi studiosi che correlò
questi fenomeni alla loro reale origine fu un botanico toscano, Giovanni Lapi
che, osservando i fuochi di Pietramala nel Mugello e l’aria caliginosa nelle immediate vicinanze, ipotizzò
che per trovare la causa della caligine del 1783, bisognasse analizzare gli
eventi eruttivi che si erano verificati nei mesi precedenti. A simili
conclusioni era giunto il naturalista francese Mourgue de Montredon nell’agosto
dello stesso anno, e Benjamin Franklin nel maggio del 1784. Questi studiosi associarono
la nebbia all’eruzione di un vulcano islandese, visto che proprio i cieli del
Nord Europa erano stati i primi ad essere invasi dalla caligine e che i
giornali di quell’anno avevano riportato di eruzioni nelle “islandiche terre di fuochi”.
I primi effetti dell’eruzione del
Laki (8 giugno) giunsero in Italia settentrionale dopo 9 giorni, e a fasi
alterne (nei primi cinque mesi si susseguirono 10 eruzioni) le strane esalazioni rimasero fino al 30 agosto
(con residui fino a fine settembre). L’incremento delle precipitazioni, in
corrispondenza delle maggiori concentrazioni di particolato, risulta concorde
al modello che prevede la temporanea eccedenza di nuclei di condensazione in
atmosfera, favorendo gli eventi meteorici intensi.
Fig. 6 - Diario meteorologico di Bonfioli; il 10 luglio annota che “a cagione d’una forte esalazione la Luna fu per tutta la notte d’un colore sanguigno” (Archivio comunale di Rovereto). |
L’eruzione del Krakatoa (vulcano nell'isola
indonesiana di Rakata) il 26 agosto del 1883, fu per certi versi fondamentale
per la comprensione delle relazioni tra sistemi atmosferici ed eventi vulcanici
intensi posti anche a notevoli distanze. In occasione della comparsa in Europa,
verso la fine di agosto 1883, di “nebbie secche” e a fenomeni crepuscolari simili
a quelle del 1783, lo studioso W.H. Larrabee ipotizzò che questi avvenimenti
fossero collegati all’eruzione del Krakatoa, così come confermò che gli
analoghi fenomeni del 1783 dipendessero dall’eruzione del vulcano Laki in
Islanda, e quelli del 1821 dalla probabile eruzione nell’isola di Bourbon, del
27 febbraio di quello stesso anno.
Oggi sappiamo che l’eruzione
dell’isola Bourbon (ovvero il Piton de la Fournaise nell'isola di Reunion, di
fronte al Madagascar), invocata al tempo come possibile causa scatenante, non fu
di intensità sufficiente a far risentire i suoi effetti fino al continente
europeo. Allo stesso modo, le numerose eruzioni avvenute tra 1820 e 1821 tra
Pacifico e Sud America cui si aggiungono gli italiani Stromboli, Etna e Vesuvio,
risultano di intensità troppo bassa per giustificare una perturbazione a cosi
larga scala e di conseguenza la causa delle anomalie metereologiche del 1821
rimane a oggi senza spiegazione.
Gli effetti diretti o indiretti
delle eruzioni del 1783, del 1815 e forse del 1821, non sfuggirono agli
osservatori del passato ed ebbero sovente ripercussioni su economia, ecosistemi
e società. Le tesi che fisici, astronomi, naturalisti e medici del tempo
elaborarono per giustificare questi “apparenti
disordini delle leggi fisiche dell’universo” furono numerose e talora
fantasiose. Purtuttavia lo scambio di informazioni tra studiosi di diverse
città per documentare e spiegare questi strani fenomeni, veicolate anche
attraverso la stampa dell’epoca, favorì il dibattito pubblico accorciando le
distanze di un mondo che stava lentamente abbandonando superstizioni e credenze
popolari per lasciare il posto a un moderno pensiero scientifico.
Per saperne di più:
Salvador I., Romano M. &
Avanzini M., 2018 - Gli “apparenti
disordini delle leggi fisiche dell’universo”: gli effetti delle eruzioni
del Laki (1783) e del Tambora (1815) nelle cronache delle regioni alpine. Rendiconti Online Società Geologica Italiana,
Vol. 44(2018): 72-79. https://doi.org/10.3301/ROL.2018.11
Salvador I., Romano M. &
Avanzini M., 2017 - "Da per tutto il
cielo sembrava di fuoco": gli strani fenomeni atmosferici del 1821 in
Trentino e una misteriosa eruzione. Studi
trentini di scienze naturali, 96 (2017): 133-141.
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