domenica 13 maggio 2018

Renato Funiciello, un geologo in campo


di Alessio Argentieri

 
La copertina del volume “Renato Funiciello, un geologo in campo”,
creata da Daniela Riposati (INGV).
 Con l’insonnia, sconosciuta in gioventù, si può cominciare a prendere confidenza con il progredire dell’età. Complice una cena più sostanziosa della media, che in altra epoca sarebbe passata quasi inosservata per un geologo del “rito centamoriano” di cui sono orgogliosamente seguace, stamane sono sveglio da ben prima delle cinque. Il lasso di tempo rubato al sonno è stato però densamente colmato, senza interruzione alcuna, arrivando in un paio d’ore all’ultima pagina, la n. 223, del volume “Renato Funiciello, un geologo in campo” (2018).
L’opera collettanea, curata amorevolmente e pregevolmente dai suoi figli Fabio e Francesca, è pubblicata dall’Editoriale Anicia di Roma. La collocazione nella collana “Teoria e storia dell’educazione” è quanto mai appropriata. Il libro raccoglie infatti numerose testimonianze di amici, colleghi, allievi di Renato, un mosaico di storie di formazione e di scambi profondi e intensi a livello umano e professionale.
La presentazione del libro si è tenuta lo scorso giovedì 10 Maggio, presso lo Stadio degli Eucalipti di Roma, a chiusura della manifestazione sportiva “Trofeo Renato Funiciello”. A condurre l’evento con naturalezza, serenità ed eleganza è stata Francesca, con accanto il fratello Fabio. Un evento denso di cultura, geologia, amicizia e sport, che ha donato beneficio allo spirito dei partecipanti. Per chi non c’era, a compensazione, la piccola galleria fotografica che accompagna questo articolo.
Questa è una “non-recensione” che vuole semplicemente caldeggiarne la lettura del testo, senza relazionare o sintetizzarne i contenuti. In primo luogo a chi non conosce il personaggio e il clima socio-culturale, tra scienza, sport e non solo, di cui Funiciello fu protagonista e figura trainante dalla seconda metà del XX secolo fino agli inizi del nuovo millennio. Ma soprattutto a coloro che hanno intersecato i propri percorsi umani e professionali con quello di Funic; indipendentemente dall’intensità e durata dei rapporti intercorsi, ciascuno scoprirà aspetti sconosciuti di lui (e forse anche di sé stesso), come i suoi figli per primi hanno constatato.

Accogliendo con entusiasmo il cortese invito di Fabio e Francesca a fornire anche un mio contributo (a titolo personale e anche in rappresentanza della Sezione di Storia delle Geoscienze della Società Geologica Italiana, cosa di cui sono grato), istintivamente il pensiero è andato allo spirito goliardico e ironico, tratto caratteriale contagioso di Funiciello, una risorsa preziosa per affrontare la vita. Pensavo di sciorinare la lunga serie di aneddoti divertenti che direttamente o indirettamente ho immagazzinato in memoria, prendendo spunto dalla foto, scattata da Giorgio Vittorio Dal Piaz, che ritrae Renato con corona di lauro, porgente una meravigliosa cartocciata di affettato suino ai congressisti nell’escursione del congresso SGI del 1986 in Appennino centrale. Fu il più eclatante dei suoi coups de theatre, con il quale, assecondando il suo vezzo di “sorprendere il bifolco”, egli a sorpresa riapparse redivivo (e come è noto, non si tratta di un’iperbole) alla comunità geologica nazionale, pochi mesi dopo l’incidente del febbraio di quell’anno e la conseguente near death experience.
 
“Natura viva con luce caravaggesca” ritratta da Giorgio Vittorio Dal Piaz all’escursione
73° Congresso SGI “Geologia dell’Italia Centrale” (settembre - ottobre 1986):
da sinistra: Renato Funiciello, una cartocciata di capocollo, una botticella di vino,
Leonello Serva, Alberto Castellarin e un barbutissimo Domenico Cosentino.


Poi, dopo posata riflessione, ho capito che l’aneddotica non serviva. Chiunque lo ha conosciuto possiede in testa una propria lista di episodi analoghi (molti dei quali naturalmente sovrapponibili con quelli altrui). Ho virato perciò su una vicenda specifica, che chi avrà voglia, sfogliando il libro, potrà leggere.

Con il professor Funiciello l’interazione non era affatto facile, come è normale avvenga con simili personalità. Dava molto e ogni tanto qualcosa toglieva (solo temporaneamente, lo si riesce a comprendere solo con la visione del poi), andando a individuare e sfruculiare i punti deboli dei propri interlocutori, per lasciarli smarriti e privi delle difese che essi istintivamente si erano costruiti. Barriere effimere, che un bravo allenatore ha il dovere di smantellare per aiutare (con fatica e sofferenza) a costruirne di nuove e più solide, superando i propri limiti.
Anche questo, a mio parere, emerge dalle varie testimonianze. Tra di esse, ne menziono una sola che, per il periodo dal 1993 in poi, forse rappresenta e inanella tutte le altre: è il racconto di Letizia Maravalli, storica e preziosa segretaria del nuovo Dipartimento di Scienze Geologiche di Roma TRE. Chiunque abbia partecipato, più o meno a lungo, alla nascita e allo sviluppo di quel polo di formazione spero condivida questa impressione e ci si riconosca.

 
Figure seguenti: la presentazione del volume, a seguire la manifestazione sportiva “Trofeo Renato Funiciello”, presso lo Stadio degli Eucalipti (Roma, 10 Maggio 2018)












martedì 1 maggio 2018

La "Rocca tu Dracu" e i "Caddareddi" di Roghudi

di Marco Pantaloni

Nella Calabria greca, su uno sperone roccioso affacciato sul corso della Fiumara Amendolea, si trova il borgo di Roghudi. La sua posizione isolata ha permesso la conservazione delle usanze e del dialetto dai tipici caratteri neogreci. Il nome del paese, Richùdi o Rigùdi in greco di Calabria, si fa derivare dal termine greco ῥάχῃ (rupe) o ῥαχώδθς (rupestre).




L’abitato di Roghudi vecchio, abitata sin dal 1050, venne abbandonata dopo due fortissime alluvioni avvenute nel 1971 e nel 1973 e l’attivazione di alcune frane. Per circa 18 anni, la popolazione originaria venne distribuita nei paesi limitrofi fino al 1988, quando venne edificata Roghudi nuova, a circa 40 km di distanza dal vecchio centro, lungo la costa ionica in prossimità di Melito di Porto Salvo.
A distanza di qualche chilometro da Roghudi vecchio, ubicata sui versanti dell’Aspromonte, sorge la frazione Ghorio, un piccolo nucleo di case quasi disabitato. Da qui è possibile raggiungere un curioso sito geologico, particolarmente interessante.

Si tratta di un masso conosciuto localmente come “Rocca tu Dracu“ (roccia del drago), un grosso monolite trapezoidale da un vago profilo aquilino, caratterizzato dalla presenza, su un lato, di due cogoli arrotondati che alludono a grandi occhi. In prossimità di questo, si trova poi un affioramento roccioso con evidenti gibbosità sulla superficie, anch'esse dovute a fenomeni erosivi, la cui presenza richiama la leggenda di piccole caldaie contenenti latte (Caddareddhi) che alimentavano un drago custode di un ricco tesoro.


Immagine tratta da: www.calabrianotizie.it
La "Rocca tu Dracu" (Rocca del Drago)
I "Caddareddi" (Le caldaie del latte)



Di Roghudi e dei problemi dei fenomeni franosi del territorio calabrese si occupò il vulcanologo napoletano Venturino Sabatini. Infatti, nel 1908 Sabatini fu incaricato di studiare i fenomeni franosi del territorio calabrese e nel 1909 partecipò ai lavori della Commissione reale per la designazione delle zone più adatte alla ricostruzione degli abitati colpiti dal terremoto di Messina e Reggio di Calabria del 28 dicembre 1908. Dopo i suoi rilievi compiuti nel territorio dell’Aspromonte, pubblicò nel 1909 un lavoro dal titolo “Contribuzione allo studio dei terremoti calabresi”, nel Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, vol. 10, pagine 235-345, nel quale analizzò gli effetti al suolo del sisma e riprodusse, in due figure, le spettacolari forme di erosione che, evidentemente, colpirono la sua attenzione.


Immagine contenuta in:
Sabatini V. (1909) - Contribuzione allo studio dei terremoti calabresi.
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, 10, 235-345

L’analisi della Cartografia Geologica d’Italia in scala 1:100.000, pubblicata nel 1885 a cura di Emilio Cortese, riporta il sito di Roghudi e della frazione Ghorio, come costituito da scisti anfibolici, micascisti e gneiss.

Stralcio del foglio 254 Messina - Reggio Calabria
della carta Geologica d'Italia alla scala 1:100.000
(Servizio Geologico d'Italia - ISPRA)

Stralcio della legenda del foglio 254 Messina - Reggio Calabria
(Servizio Geologico d'Italia - ISPRA)

Per saperne di più: