giovedì 1 marzo 2018

Da schisto a scisto: storia di un termine “addolcito”


di Fabiana Console

Capita, affrontando la lettura della letteratura di fine ‘800, o ancor prima, di imbattersi in termini ormai desueti, in disuso o completamente abbandonati.
La lingua italiana e i vocaboli delle geoscienze non si sottraggono a questa regola; l’italiano è una lingua in continua evoluzione, in cui ci sono parole che scompaiono lasciando il posto a parole nuove.
Chi decide e quali sono gli eventi contingenti per cui ciò accade è spesso sconosciuto ai più.
Curioso e fortuito è imbattersi però in manoscritti che certificano un cambio di rotta di una intera comunità scientifica come quella dei geologi con una data ed una motivazione ben precisa.

Nell’organizzare il Secondo Congresso Internazionale di Geologia a Bologna nel 1881, Felice Giordano stabilì tre obiettivi prioritari per poter presentare la prima carta geologica d’Italia alla scala di 1:1.000.000: uniformare la scala cromatica dei colori, uniformare la serie dei terreni e, non ultima, uniformare le regole nomenclaturali (Vai, 2004).

Nell’Archivio del Servizio Geologico d’Italia, conservato presso la Biblioteca dell’ISPRA, un fascicolo contenuto nel Faldone del 1880 è dedicato proprio al Glossario da uniformare.


Tra i tantissimi termini da scegliere, eliminare o modificare per poter tradurre correttamente dalla terminologia straniera, si ragionò molto sulla parola Schisto, e derivati.
L’etimologia del termine deriva dal greco "σχιστός - schistós" (fisso, scisso; σχίζω come verbo scindere), in riferimento alla modalità di fratturazione degli scisti lungo i piani di foliazione.
Nei primi dizionari di storia naturale, il significato dato al termine è “Rocce divise in grandi fogliette parallele fra loro ed al piano degli strati principali”.
Arduino nel 1772 fu uno dei primi autori a definirne le caratteristiche chimico-fisiche nel suo “Saggio mineralogico di lithogonia e orognosia” e a sostenere l’idea dello schisto primitivo (Vaccari, 1996). Con questo termine Arduino intendeva, già nel 1761 (sensu Agricola, 5; Plinius 36,20), il significato di Lapis fictilis, tradotto infatti in lingua tedesca schifer (prima traduzione in tedesco del “De Re Metallica” nel 1557, anno successivo all’edizione in latino di Agricola)
Nel 1813 nel “Catalogo di una collezione di minerali disposta secondo il sistema del celebre Werner ed acquistata per uso de' licei del Regno d'Italia a Freyberg dalla Direzione Generale di Pubblica Istruzione”, alla quale in quel periodo stava “a cuore che possibilmente bene imbevuti de' primi rudimenti di mineralogia passino gli studiosi giovani alle Università del Regno”, fu tradotto dal tedesco l’elenco completo di “462 esemplari mineralogici destinati ai licei del napoleonico Regno d'Italia”. Tra questi si annoverano 15 campioni tradotti con il termine schisto (es. schisto marno-bituminoso, schisto tripoliano, schisto vischioso, schisto Alluminoso, schisto Risplendente, ecc.)
Solo per citare un padre della geologia in Italia, l’abate Antonio Stoppani, autore del “Il Bel Paese”, nel suo Corso annuale di geologia agli allievi ingegneri di Milano riporta la seguente definizione di schistosità come l’“effetto della compressione esercitata sugli strati normalmente o obliquamente al piano degli strati medesimi […] è l’effetto di una laminatura prodotta dall’effetto delle masse sovrapposte o dalle oscillazioni del globo” (Stoppani, 1870).
A onor del vero non si può non citare Leonardo Porta che, nel lontano 1857, nel suo volume “L'astronomia e la geologia per l'intelligenza di ogni ordine di persone“, utilizzava già i termini scisto e micascisto, completamente controcorrente rispetto ai suoi coevi colleghi.

La lettera di cui parliamo, anonima, fu indirizzata a Felice Giordano, e conteneva un “suggerimento”, successivamente accolto, sulla necessità di abbandonare il termine schisto a favore del termine scisto.



“In Italia alcuni dei geologi scrivono scisto, scistoso, altri schisto, schistoso, come anche per conseguenza alcuni scrivono micascisto, talcoscisto e altri micaschisto, talcoschisto.
Però si usano da tutti ad un suono dolce il verbo e derivati, cioè scindere, scisso, scissile, scindula, scissura.
Il suono duro schisto usato da alcuni è una derivazione dell’antico greco skizos, come dovea essere derivato il latino schistum. È però da notare che se i latini aveano conservato il suono duro pel sostantivo schistum, vocabolo che ben di rado dovea usarsi, avevano però addolciti il verbo e derivati, scindere, scissum, scissilis, scindula, scissura.
Ora perché mai l’idioma italiano che è dolce soprattutto dovrebbe, per amore eccessivo di antiquarismo, conservare quel durissimo suono antinaturale di schisto, con micaschisto, talcoschisto? Tutti i popoli moderni, compreso il greco, usano oggidì addolcito anche il sostantivo scisto. Li spagnuoli non hanno tale vocabolo che traducono con pizzarra (lavagna), ma i portoghesi hanno schisto dolce, i francesi schiste pur dolce; gli inglesi schist ed infine i tedeschi schieper dolce. E sì che nella lingua tedesca non mancano le durezze e le K, tuttavia schisto vi è addolcito. Non havvi ragione perché l’italiano non faccia progredire la sua pronuncia, come già fecero tutti li altri popoli e abbandoni dei suoni tartarici, come quelli di schisto, micaschisto, talcoschisto.
Fatto è che molti dotti stranieri nell’udire simile modo di pronunciare in Italia esprimono la loro meraviglia e disapprovazione”.

Dal 1881 una quasi maggioranza di scienziati non usò più il termine “tartarico” schisto ma scisto (ed i suoi derivati), ma come tutte le regole che si rispettino ci sono sempre le eccezioni (Desole, 1962).
Un eccezione poetica è invece quella del 1910 per mano di Gabriele D’Annunzio:
“tanto rilucevano gli schisto che parevano quasi crepitare come le stoppie in fiamme”.


Riferimenti bibliografici:


  • Desole L. (1962) - Monte Linas nuovo anello di congiunzione nell'areale della Scilla obtusifolia Poir. Giornale botanico italiano, 69.
  • D’Annunzio G. (1910) - Forse che si forse che no. Presso i Fratelli Treves, Milano.
  •  Vaccari E. (1993) – Giovanni Arduino (1714-1795): il contributo di uno scienziato veneto al dibattito settecentesco sulle scienze della terra. Olschki ed.
  •  Vai G.B. (2004) - The Second International Geological Congress, Bologna, 1881. Episodes Vol. 27, no. 1.


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