Questo post è la sintesi di un lavoro omonimo
pubblicato nel periodico “Naturalista Siciliano”
che l'Autore ci ha gentilmente concesso di pubblicare.
(Naturalista sicil., S. IV, vol. XLI (2), 2017, pp. 199-200)
Nel 1970 tornava all'Università di Palermo, dopo dieci anni di assenza, il professor Marcello Carapezza (1925-1987), vincitore del concorso per la cattedra di Geochimica Applicata.
Il suo arrivo avrebbe impresso una svolta agli studi nel campo delle Scienze della Terra all'Università di Palermo: oggi ci sembra doveroso ricordarlo alle giovani generazioni affinché se ne custodisca la memoria. Nel corso del 2017, nel trentennale della sua prematura scomparsa, Carapezza è stato celebrato in più sedi come il fondatore di un’innovativa scuola di Geochimica, come scienziato umanista promotore di innumerevoli progetti culturali, oltre che come primo presidente della ricostituita Società Siciliana di Scienze Naturali. Molto opportunamente, l'editore Sellerio ha raccolto in un volume un’antologia di saggi scientifici e di articoli divulgativi sulla storia e sulle applicazioni sociali della vulcanologia e della geochimica, scritti da Carapezza nel corso degli anni ‘70-’80. Essi, nella loro sorprendente attualità, illustrano appieno la forza anticipatrice delle idee e delle realizzazioni di questo scienziato (Carapezza M., Molti fuochi ardono sotto il suolo. Di terremoti, vulcani e statue, Sellerio 2017; cfr. recensione ne Il Naturalista Siciliano, 41, 1, 2017, pag. 116).
Chimico di formazione, Carapezza aveva iniziato la carriera universitaria nel 1948, diventando assistente alla cattedra di Mineralogia; poco dopo i suoi interessi si erano estesi alle Scienze della Terra e alla Geochimica in particolare. Fin dagli esordi, Carapezza si era distinto per la sua attitudine a guardare ben oltre i ristretti campi di ricerca locali e a saper cogliere le spinte innovative, in piena sintonia con le grandi trasformazioni delle Geoscienze in ambito internazionale. Queste aperture lo avevano portato a trasferirsi, alla fine degli anni ’50, da Palermo a Bologna; ma, prima ancora, a sviluppare un intenso periodo di ricerche in Petrologia Sperimentale presso il College of Earth & Mineral Sciences della Pennsylvania State University, negli USA, dove era attivo un gruppo di studiosi che hanno fatto la storia della Petrografia, come E. F. Osborn, J. W. Greig, P. Wyllie, G. Ulmer. Il giovane Carapezza fu incluso nel gruppo di ricerca e prese parte a una serie di esperimenti in cui, utilizzando speciali contenitori sottoposti a temperature e pressioni elevate, si simulavano quei processi di fusione, raffreddamento e cristallizzazione dei materiali che avvengono all'interno del nostro pianeta e negli apparati vulcanici attivi. Si tentava così di ricostruire le interazioni fra i costituenti della crosta e del mantello terrestri, definendo le condizioni fisiche e chimiche in cui ogni minerale si forma e rimane stabile. Nel corso di queste ricerche era emerso un parametro da cui dipende la composizione non solo del nostro pianeta, ma anche degli altri corpi celesti rocciosi del sistema solare: si chiama fugacità di ossigeno e si potrebbe spiegare come la pressione parziale di questo elemento gassoso quando è presente in una miscela formata da svariati composti in diversi stati fisici. Marcello Carapezza scoprì che le olivine, silicati di magnesio e di ferro molto diffusi nel mantello e nella crosta terrestri, possono essere usate come un indicatore naturale, la cui analisi permette di ricavare e misurare quel parametro in maniera continua. Sarà questo il suo più importante contributo alla Petrologia Sperimentale che lo scienziato ebbe l’opportunità di affinare al suo rientro in Italia, all’Università di Bologna, dove poté riprendere tutte le intuizioni e attività sperimentali iniziate negli Stati Uniti, creando un laboratorio sul modello di quello frequentato negli USA e consegnando alla letteratura scientifica i risultati dei suoi studi.
Rientrato all'Università di Palermo, Carapezza impresse una nuova svolta alle sue ricerche, trasferendo direttamente nelle aree vulcaniche attive metodologie e tecniche d’indagine che si sarebbero affermate anni dopo e aprendo un nuovo campo d’indagini nell'area scientifica palermitana: la geochimica dei fluidi applicata ai sistemi naturali. Il successo di queste esperienze, sviluppate assieme a una nuova generazione di allievi che si andavano formando alla sua scuola, fece nascere a Palermo, all'inizio degli anni ’80, l’Istituto di Geochimica dei Fluidi (IGF) di cui Carapezza fu direttore fino alla sua morte prematura, nel 1987. L’IGF continuò a operare fino al 2001, quando fu inglobato nell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), diventando la Sezione di Palermo di questo ente.
All’IGF, fin dalla fondazione, fu avviato un sistematico programma di controllo geochimico dell’attività dei vulcani siciliani, iniziando con una sperimentazione nell’isola di Vulcano che, a quei tempi, dava preoccupanti segni di riattivazione, poi rientrati. Il cratere e i campi di fumarole dell’isola furono cosparsi di sensori per la registrazione in continuo di numerosi parametri fisici e chimici in grado di fornire informazioni sullo stato dei fluidi magmatici e idrotermali profondi. Tutti questi dati, aggiunti a quelli più squisitamente geofisici (tremori, terremoti), erano teletrasmessi alla sede dell’IGF di Palermo che diventò il modello e l’antesignano dei moderni centri di sorveglianza automatica dei vulcani attivi. La nascente Protezione Civile, in cui Marcello Carapezza ebbe un ruolo fondamentale di consulenza, fece tesoro di queste sperimentazioni che, negli anni successivi, ebbero applicazione in altri contesti vulcanici attivi, come quelli di Stromboli, dell’Etna, del Vesuvio e dei Campi Flegrei.
L’attenzione su Marcello Carapezza geochimico non deve mettere in ombra altri aspetti della sua ricca personalità: il raffinato gusto per le lettere, l’amore per la musica e le arti, l’attenzione per il patrimonio archeologico, architettonico e ambientale. A questa sfera d’interessi appartengono alcuni lavori di Carapezza e dei suoi collaboratori che rappresentano brillanti applicazioni della geochimica allo studio dei beni culturali. Fra questi, la determinazione delle proprietà chimiche e mineralogiche delle sculture in pietra, o metope, del tempio di Selinunte (VI sec. a.C.), con l’individuazione delle varie cave di calcarenite da cui furono tratti i materiali per realizzarle; un analogo studio sui marmi di una statua rinvenuta nell'isola di Mozia; e diversi contributi per prevenire il degrado di beni archeologici e architettonici.
In un saggio sul sistema universitario italiano, il chimico Mario Pagliaro ha voluto mettere in evidenza il fatto che l’impegno scientifico, culturale e sociale di Marcello Carapezza e del suo gruppo si sia inserito in un momento quasi magico per la città di Palermo. In quegli anni, nel capoluogo della seconda regione più depressa d’Italia, brillò simultaneamente una pleiade d’intellettuali. Tra di essi, lo scrittore Leonardo Sciascia, il pittore Renato Guttuso, e gli scienziati Marcello Carapezza e Alberto Monroy, quest’ultimo fondatore di una scuola di Biologia dello Sviluppo di fama internazionale. E accanto a questi personaggi, interagenti e attivi nel tessuto sociale cittadino con mostre, conferenze, articoli e libri, fiorirono iniziative culturali come la casa editrice Sellerio e la scuola di giornalismo di Vittorio Nisticò al giornale L’Ora. Quella vera e propria rinascita culturale della città di Palermo fu, purtroppo, un fenomeno transiente, che tuttavia non ha mancato di lasciare tangibili segni positivi. Fra i tanti, la ripresa e il completamento dei restauri di Palazzo Steri dei Chiaramonte, in piazza Marina. Fu un’intuizione di Marcello Carapezza, allora Prorettore, che il complesso dello Steri dovesse diventare la sede del Rettorato e degli uffici ad esso connessi, primo nucleo della rinascita di un’area del centro storico allora gravemente degradata e in pieno abbandono. L’impegno profuso nel restauro dello Steri e il senso di riscatto cittadino che Marcello Carapezza seppe dargli furono determinanti nel convincere Renato Guttuso a donare all'Università la Vuccirìa, che oggi fa bella mostra di sé nella sala dei Baroni. In omaggio a tutti questi straordinari contributi, l’Università di Palermo ha dedicato al nome di Marcello Carapezza la sala di Palazzo Steri in cui oggi si tengono le riunioni del Senato Accademico.
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