di Marco Romano
"Sei stato pesato sulle bilance e il tuo peso si è rivelato insufficiente …"
Queste
le parole scritte da mano invisibile sul palazzo del re Balsassàr, figlio del
grande Nabucodònosor, il quale aveva fatto asportare i vasi d'oro e d'argento
dal tempio di Gerusalemme. Balsassàr pensò bene di recuperare i preziosi vasi e
farli portare alla sua presenza, per farvi bere, in modo sfacciato e senza
ritegno alcuno, i sui dignitari, le sue mogli e le sue concubine. L’‘Onnipotente’,
come riporta la Bibbia, non deve aver apprezzato particolarmente questo gesto: così
Daniele, il ‘deportato dei giudei’,
dopo aver declamato a gran voce la scritta sul muro sentenzia in conclusione: “Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto
fine”. Sei stato pesato, caro re Balsassàr, ma non hai superato l’esame, ci
dispiace.
Se
è vero che nella vita gli esami non finiscono mai, quante volte ci siamo seduti
davanti a una commissione, magari in camicia a maniche lunghe nella canicola
impietosa di un luglio romano. E così, grondando di sudore tra una sigaretta e
un'altra, trangugiando l’ennesimo caffè della mattinata e mandando a memoria i
piani angusti del Carbonifero, “siamo stati pesati sulle bilance”. Sicuramente
moltissime volte, come molti, o quasi infiniti, sono gli aneddoti legati agli
esami universitari, tra professori burberi, domande improbabili e risposte degli
studenti spesso al limite della psichedelia. Ogni dipartimento di Scienze della
Terra dello Stivale ha sicuramente la sua memoria storica di aneddoti,
situazioni divertenti, leggende e grandi spauracchi; nel mio piccolo, ricordo
con piacere (il piacere è solo a posteriori ovviamente) le macchiette del
Dipartimento romano, e parte di questo ricordo sarà, dunque, necessariamente
personale.
Come
dimenticare i sudati calcoli a mano agli esami di Carlo Felice Boni, Bozzano e
Scarascia; il cladogramma da costruire con gli euro appena messi in
circolazione all’esame di Nicosia, usando 100 lire come outgroup; e ancora, i
profili a vista con Bruna Landini e Di Filippo, il metronomo che scandiva il
tempo all’esame di anatomia comparata di Cristaldi (Figura 1), il rimpianto Marx
nostrano.
Figura 1 - Il Prof di Anatomica Comparata Mauro Cristaldi (il Marx nostrano) gioca con piedi di teropodi nella stanza ‘ordinata’ di Nicosia. |
All’esame di paleontologia ci fu chi parlò una buona mezzora usando
sempre il termine “triboliti” al posto di trilobiti; il buon Santantonio, all’orale
di rilevamento, si dovette sorbire i famosi “sfilatini sedimentari” al posto
dei filoni; secondo uno studente dell’ultimo anno il Sus strozzii del Valdarno era chiaramente uno ‘struzzo’, causando
l’implosione del povero Odoardo Girotti all’esame di Geologia del Quaternario. Una
volta la Prof. Conti mise ‘15 e lode’ a uno studente che aveva studiato in modo
eccelso metà del programma, tralasciando deliberatamente la seconda metà. Quando
si bluffa, come a poker, bisogna saper essere assolutamente convincenti…
Negli
anni abbiamo visto realmente di tutto. Chi sfidò pubblicamente il Prof. Giacomo
Civitelli (“Civitelli Re di Roma”, come recitavano le scritte sui banchi al
primo anno) a lezione, pronunciando la sciagurata frase: “io ignorante?, lo vedremo all’esame”.
Civitelli (Figura 2) che in escursione riusciva a girarsi una sigaretta con una
mano sola, continuando a spiegare con disinvoltura, e martellando con la
seconda mano; tutti gli studenti di solito perdevano il filo della spiega, distratti
dalla mirabile prodezza. Il buon Lesti sequestrato e chiuso a chiave durante
l’orale della temuta Fisica 1, dal noto professore argentino che doveva andare
a pranzo; professore che, secondo la leggenda, era scappato in Italia come
rifugiato perché dissidente politico.
Figura 2 - Il Prof Giacomo Civitelli durante un momento ‘sigaretta’ all’escursione presso Pietrasecca per gli studenti del primo anno di Scienze Geologiche (foto di Martina Mignardi). |
Il Prof. Lucio Loreto di Mineralogia 1,
era solito infilzare un ovetto kinder con degli stuzzicadenti (che diventavano
magicamente assi di simmetria) per spiegare le simmetrie nei sistemi
cristallini. Dopo di che l’ovetto, oramai trasformato in una pericolosa arma
pungente, veniva lanciato in aula con un sorrisetto sadico allo studente che
indovinava il gruppo mineralogico. La seconda ora di lezione consisteva,
essenzialmente, nel montare le sorprese degli ovetti dalle retrovie dell’ultima
fila, incuranti del reticolo di Bravais o degli indici di Miller.
Personalmente
ricordo con divertimento (sempre a posteriori) il mio esame con il ‘temibile’ Prof.
Ernesto Centamore (Figura 3), il leggendario rilevatore, il geologo “pantagruelico”
come lo ribattezzò lo stesso Alvarez, nel noto libro sulla sezione del
Bottaccione e sul livello anomalo di iridio al limite K-Pg, “T-Rex and the
crater of Doom”. Per l’esame si era accompagnati da un professore di supporto
(quasi di ‘sostegno’ oserei dire), con cui si realizzava una tesina per rompere
il ghiaccio all’inizio del temuto orale.
Figura
3 - Il Prof. Ernesto Centamore con il suo ex-tesista ‘geoitaliano’ Alessio
Argentieri, durante i festeggiamenti per il trentennale del Dipartimento di
Scienze della Terra della Sapienza.
|
Scelsi la Prof. Conti come “effetto
tampone”, e dedicai due buoni mesi e molto impegno a una bella revisione del
margine di Tornimparte e relative rudiste. Il giorno dell’esame il buon
Centamore prese la tesina in mano, e iniziò a sfogliarla con in volto quel
sorriso sornione romano alla Aldo Fabrizi, che molti conoscono e ricordano. Dopo
circa un minuto chiuse la tesina e si rivolse al sottoscritto con la seguente
frase scoraggiante:<<Embè, che ce
famo co’ le rudiste, la pastasciutta? Parlame un po’ dell’Avanfossa Complessa
sensu Ricci Lucci>>. Non so se l’espressione di sconforto peggiore fu
la mia o quella della Conti, tuttavia resta un bell’esempio di quando gli esami
non erano semplici presentazioni in power point e potevano realmente togliere
il sonno per settimane. A chi si sedette al patibolo dopo il sottoscritto non
andò di certo meglio. La tesina di Alessandro Mancini non venne neanche aperta:
gli venne gentilmente richiesto un profilo speditivo a memoria dal Gran Sasso
all’Adriatico. A ogni piccolo nuovo tratto del transetto aggiunto con fatica,
il buon Centamore integrava la spiegazione indicando tutte le possibili
trattorie e ristoranti della zona, frutto di un esperienza ruspante sul
terreno, altro che ‘Trip Advisor’ o “Gambero Rosso” radical chic. Ricordo
chiaramente le sue parole al raccordo tra primo e secondo transetto: “ecco vedi, proprio qui dove il Gran Sasso
accavalla sulla Laga, c’è un posto dove fanno i cojoni de mulo migliori del
centro Italia”.
Tuttavia
lo studente, quando messo alle strette, come il topo costretto nell’angolo, si
ferma, smette di arretrare, può reagire o addirittura attaccare. Può avere
persino l’illuminazione geniale, la ‘luccicanza’, andando a risolvere magari un
problema che attanagliava lo stesso professore. Successe sicuramente a Enrico
Fermi che, all’esame di ammissione a Roma, risolse un problema che arrovellava
da tempo i grandi e chiarissimi luminari della Sapienza. Certo di Enrico Fermi
o Majorana se ne contano pochi nel giro di un secolo, ma questa potenzialità
dello studente l’aveva afferrata bene, negli anni cinquanta del secolo scorso, il
Prof. Carmelo Maxia. Proprio da questo tentativo, quasi disperato, di trovare
la risposta a un mistero persino nel ‘povero’ studente, nasce la leggenda: il
temibile “Sasso di Maxia”.
Carmelino
Maxia (1903-1984), detto Carmelo (Figura 4), è stato un geologo e paleontologo
di origine sarda, che ha condotto la prima parte della sua carriera a Cagliari,
sotto l’ala protettrice del grande Silvio Vardabasso. Gli anni a ridosso del
secondo conflitto mondiale lo vedono impegnato essenzialmente in studi
mineralogici, paleontologici e geologici sensu
lato dell’isola di Sardegna, compilando anche il primo elenco catastale
delle grotte della regione.
Figura
4 - Il Prof. Carmelino (Carmelo) Maxia.
|
Nel
1938 Maxia lascia l’isola e, come dicono i sardi, viene in continente,
ricoprendo il ruolo di assistente nell’Istituto di Geologia e Paleontologia
nell’Università di Roma, seguendo essenzialmente il direttore Giuseppe
Checchia-Rispoli; quest’ultimo, personaggio di primo piano, aveva già diretto
l’istituto di Cagliari, dove un giovane Maxia era cresciuto sul piano
accademico. Di questi anni sono i famosi studi sul Mesozoico della campagna
romana, con i lavori sui Monti Tiburtini, Prenestini, Cornicolani e Lucretili.
Si dedicò tuttavia anche a studi prettamente paleontologici come l’analisi
delle malacofaune della Tripolitania e le faune dei depositi pliocenici,
osservabili in destra idrografica del fiume Tevere. Seminali sono stati poi i
suoi studi estesi sul travertino e sua genesi nella campagna romana, con particolare
interesse dedicato al famoso bacino delle Acque Albule. Degli anni cinquanta
sono importanti monografie che hanno fatto da riferimento per decenni, tra cui
la nota ‘Geologia dei Monti Cornicolani’, di cui conservo gelosamente a casa
una rarissima copia personale (come le bobine della ‘Corazzata Potëmkin’ del
Dottor Guidobaldo Maria Riccardelli, nel Secondo Tragico Fantozzi).
Una
volta conseguita la libera docenza, nel 1954 Maxia divenne direttore
dell’Istituto di Roma, prendendo il posto lasciato da Ramiro Fabiani dopo la
sua morte (con un altro aneddoto che forse troverà un giorno spazio in queste
pagine). Erano gli anni ruggenti della gloriosa “primavera romana” (Figura 5), che
sarebbe proseguita poi dal 1960 con l’arrivo successivo di Bruno Accordi e dove,
accanto al buon Centamore già menzionato, figuravano personaggi del calibro di
Farinacci, Colacicchi, Angelucci, Zalaffi, Sirna, Cocozza, Francioni, Minniti, Devoto,
Durante, Ristori, Menichini (da leggersi rigorosamente a voce alta e per
terzine, come la formazione del grande Torino di una volta).
Tra
questi anche un giovane Praturlon, che ebbe la fortuna di seguire gli ultimi
corsi di Maxia, prima della venuta a Roma del Prof. Bruno Accordi, di cui
divenne uno dei primi laureandi romani. Lontani erano i tempi, con l’avvento
del nostro casereccio boom economico, della crisi planetaria e dell’immane
difficoltà di trovare un lavoro come geologo o ricercatore. Come racconta
Praturlon, al suo arrivo da Cagliari rimase stupefatto del vedere le miriadi di
annunci di compagnie petrolifere, tra cui anche l’Agip, che tappezzavano
l’Istituto in cerca di giovani geologi del terzo e quarto anno, per assistenza
ai pozzi nelle penisola: il famoso appello di Enrico Mattei ai giovani. Il
partigiano Mattei che, appello o non appello, meno di un decennio dopo
precipiterà a bordo dell’aereo di addestramento Morane-Saulnier MS.760 Paris nelle campagne di Bascapè, vittima
dell’ennesimo attentato e ‘mistero’ all’italiana. Come l’assassinio passionale
farsa di Pierpaolo Pasolini, che, guarda caso, stavo proprio lavorando a un voluminoso
libro scomodo dal titolo conciso ed eloquente: Petrolio…
Tornando
all’Istituto di Roma anni cinquanta, come consuetudine (e ci siamo passati
tutti), parte dell’esame di geologia consisteva, anche all’epoca, nel
riconoscimento macroscopico di campioni di roccia, con descrizione del
litotipo, possibile genesi e inferenza sull’ambiente di formazione. Ed è in
queste occasioni che il ‘perfido’ Maxia tirava fuori di soppiatto dal cassetto
il grande spauracchio dello studente di geologia anni cinquanta: il terribile
“Sasso di Maxia”. Un campione infido di pochi centimetri, grezzo da un lato, finemente
levigato sul lato opposto, dove compariva un’inquietante fitta alternanza di
livelli rosso fegato e livelli avana chiaro; veramente una diavoleria per i
depositi spesso estremamente monotoni dell’appennino o pre-appennino: la famosa
‘calcaria’ che il grande Gian Battista Brocchi, nel 1822, apostrofava come “sterile roccia, che così nojose fa riuscire
le peregrinazioni del mineralogista”. Il povero studente, che balbettava
incerto anche su una semplice grovacca, si trovava tra le mani il ‘sasso’
maledetto e, nelle migliori delle ipotesi, manteneva un dignitoso silenzio.
Il
sasso della discordia era stato recuperato da Maxia durante le sue
peregrinazioni geologiche nell’appennino, in zona “Borgo Collefegato”, oggi
conosciuto come Borgorose nella valle del Salto, in Provincia di Rieti. All’epoca
lo studio geologico del preappennino e dell’Appennino era in una fase realmente
pionieristica; su scala internazionale il nuovo paradigma della tettonica delle
placche sarà dimostrato e accettato universalmente (a parte qualche oppositore
tardivo russo particolarmente accanito) solo negli anni settanta, e non si
aveva ancora un idea chiara di successioni ridotte o condensate e alti
strutturali giurassici. Capitava dunque al buon Maxia di imbattersi in litotipi
particolari e spesso difficilmente interpretabili: le famose “misteriti”, come
quelle di Cottanello, che trovarono una spiegazione grazie agli studi
pionieristici della Prof. Anna Farinacci (Figura 6), e successivamente
nell’operato della sua scuola romana (scuola, in fin dei conti, riconducibile per
via diretta allo stesso Maxia). Così, per semplice divertimento, e sperando
veramente nel colpo di genio di uno studente, il Prof. Maxia durante gli esami
tirava fuori il suo sasso dal cilindro, sperando nel miracolo…
Il
‘Sasso di Maxia’ scomparso all’incirca dagli anni settanta, chi vociferava nella
sassaiola durante la famosa cacciata del segretario della CGIL Luciano Lama
dall’Università, nel febbraio del ’77 (Figura 7), è stato clamorosamente
ritrovato quest’anno per caso in Dipartimento, in un cassetto con appunti e
sezioni sottili della Prof. Anna Farinacci (Figura 8). Dormiva il suo lungo
sonno di quasi mezzo secolo, incurante del mondo che in qualche modo andava
avanti, tra guerre del golfo, terrorismo estero e nostrano, fine della prima
repubblica, maxiprocessi e 11 settembre. Probabilmente messo in salvo in un cassetto
dalla Prof. Farinacci stessa nei momenti di maggior concitazione: a Lama si
poteva lanciare di tutto, ma non di certo il ‘Sasso di Maxia’.
Figura
7 - Il segretario della CGIL Luciano Lama tiene il famoso comizio sindacale il
17 febbraio 1977 alla Sapienza, quando tra gli studenti “iniziò a serpeggiare
un certo malumore”…
|
Figura 8 - Il leggendario “Sasso di Maxia” da poco ritrovato tra gli appunti della Farinacci. |
La
sua posizione attuale è stata segretata, e chissà, in un futuro non troppo
lontano, potrebbe di nuovo comparire per magia durante un esame di
riconoscimento rocce a Geologia, tra le mani di un “fortunato” studente del
primo anno. I miti e le leggende restano tali solo e soltanto se non ne viene
svelato l’arcano. Quindi non riveleremo in questa sede la vera natura del leggendario
Sasso di Maxia.
Forse
perché in fondo non la sappiamo neanche oggi, e speriamo sia già nato lo
studente che risolverà il mistero…
Per saperne di più
- Álvarez, W. (1997). T. Rex and the Crater of Doom. Princeton University Press.
- Argentieri A. (2008) - Maxia, Carmelino. Dizionario Biografico degli Italiani. http://www.treccani.it/enciclopedia/carmelino-maxia_(Dizionario-Biografico)/-
- Brocchi, S. (1822) - Osservazioni naturali fatte in alcune parti degli Appennini degli Abruzzi. Bibliot. Itale quattordici, 363.
- Pantaloni M. (2013) - 1948: il “Ponte sfondato” sul Torrente Farfa. http://www.geoitaliani.it/2013/09/1948-il-ponte-sfondato-sul-torrente.html.
- Praturlon, A. (2016) - Carmelino Maxia e l’Istituto di Geologia dell’Università La Sapienza negli anni ’60. http://www.geoitaliani.it/2016/11/maxia.html.
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