giovedì 29 settembre 2016

Spaventosissima descrizione dello spaventoso spavento che ci spaventò tutti: una sapiente operazione di geo-marketing di 230 anni fa. Con ben due colpi di scena…

di Marco Romano


Lo sciacallaggio mediatico che segue immancabilmente disastri naturali come terremoti, tsunami o eruzioni non è di certo cosa nuova o legata a eventi calamitosi degli ultimi decenni: diversamente sembra affondare profonde e solide radici nel nostro inconscio, nella nostra società e comunità. L’attaccamento a disastri e tragedie, alle storie umane che vi sono dietro, le necessità morbosa di vedere in diretta il dolore altrui e la distruzione più totale, sono sentimenti atavici e inestirpabili del genere umano. Sentimenti in parte giustificabili, forse dai toni esorcizzanti, ma comunque da sempre cavalcati sapientemente da chi ha saputo intercettare al meglio queste debolezze, per trarne profitti prettamente personali. Lo aveva capito benissimo, più di due secoli orsono, l’autore dell’operetta di sole 20 pagine pubblicata nel 1779 dal titolo accattivante: “Spaventosissima descrizione dello spaventoso spavento che ci spaventò tutti coll’eruzione del Vesuvio la sera degli otto d’Agosto 1779 ma (per grazia di Dio) durò poco” (Figura 1). L’operetta è firmata don Onofrio Galeota, auto-definitosi nel testo “Poeta e Filosofo all’impronto”.


Figura 1. Frontespizio dell’opera firmata “don Onofrio Galeota” nelle ristampa del 1825 (Opuscoli burleschi del Giani, in Napoli, presso il Seguin).

Don Onofrio Galeota (1732-1802) nacque a Napoli nel 1732 e divenne presto un personaggio noto e in voga della città partenopea per la scrittura di noti ‘Opuscoli’ del tutto scellerati e diremo oggi ‘politically incorrect’; brevi testi, nella maggior parte sgrammaticati, dove il nostro ‘poeta’ si lanciava in focose invettive contro i più disparati soggetti umani o classi sociali. Tra i più conosciuti figura l’Opuscolo contro i ‘Pescivendoli’ della città, apostrofati da don Onofrio come “ladri, porci, scostumati… …che svergognano la città di Napoli”. In altri opuscoli l’autore se la prende con i “castagnari”, i “pizzicaroli” e i ladri napoletani professionisti, che, appiccando il fuoco al Largo del Mercato, poterono rubare con calma e in santa pace, mentre le forze dell’ordine e la povera gente erano occupate altrove.
Nonostante il carattere scadente e poco significativo delle sue operette, per un periodo diversi autori napoletani scrissero dei pezzi imitando in tutto e per tutto lo stile del Galeota. Don Onofrio ebbe persino la sfacciataggine di presentarsi in pompa magna presso l’Accademia Reale, con la pretesa di essere ammesso tra le loro fila. Memorabile fu la risposta, in genuino stile partenopeo, ricevuta in tale occasione dal Galeota: “Non te pigli scuorno, vieni persino qua a dire che voi essere accademico, noi non ammettiamo ciucci all'accademia”.
Questa la descrizione che ci da il Benedetto Croce (1912) del nostro poeta, nei suoi “Aneddoti e profili settecenteschi”: “Don Onofrio parla e parla molto; il suo tema favorito sono i <<mali costumi>> di Napoli, e le <<sconnessioni>> che ogni giorno si dicono e si stampano: tutte cose che muovono a indignazione il suo petto di filosofo e di letterato. E da letterato fulmina contro di esse in versi all’improvviso; e da filosofo moralizza nella sua prosa sincera, sebbene infiorata di spropositi d’ogni sorta”. Croce continua affermando come le sue “orribili prose” siano state impresse su carta straccia, dove sul frontespizio campeggia, impavido e senza vergogna alcuna, il suo ritratto: “Vendere i suoi libercoli, ottenere qualche pranzo, scroccare qualche mancia, questi sono i suoi fini; e non c’è umiliazione alla quale non si esponga per raggiungerli” (Croce, 1912, p. 254).

Torniamo ora all’operetta riguardante la ‘spaventosissima’ eruzione del Vesuvio. Il testo ci trasporta con la fantasia nella fiera di mercato di una calda notte partenopea nell’agosto 1779, precisamente sotto la Baracca della Sorbetteria; un pergolato in legno di forma semicircolare costruito per l’occasione, coperto di tela e con asse lungo parallelo al Palazzo Reale. Al centro della struttura campeggiano due sfarzose fontane adornate da obelischi; il pergolato è ulteriormente suddiviso in numerose ‘baracche’, dove si espongono i prodotti migliori dell’industria nazionale: dal caffè, alla sorbetteria, piccoli teatri e immancabili osterie. Giovani o meno giovani donne aristocratiche, incipriate e cosparse di accattivanti nei rigorosamente finti, si aggirano ammiccando nei loro corsetti e busti stretti all’inverosimile, in perfetto stile rococò; al seguito un molesto ronzio di aitanti e giovani virgulti dell’alta borghesia partenopea, tra cilindri, sigari, fazzoletti nel taschino e mustacchi curatissimi. Le più giovani s’avanzano nel parapiglia facendosi largo con scollature prorompenti, impreziosite da fantasie di sgargiante garza o mussolina. Tutto sprizza gioia, voglia di vivere, luccicanza, opulenza, lucentezza; una totale e gioiosa ostentazione di colore e curve, come per lasciarsi alle spalle la pesante fuliggine, cupa e tenebrosa, del trapassato barocco.
Come detto correva l’anno 1779. Il giovane Beethoven cominciava la composizione della sua prima sinfonia, a Parigi veniva ideato e costruito il primo velocipede, mentre la Spagna assediava Gibilterra, dopo aver dichiarato guerra alla Gran Bretagna. A Senigallia, il sei di marzo dello stesso anno, nasceva il celeberrimo Giovanni Battista Bugatti, meglio conosciuto come Mastro Titta, ‘er boja de Roma’, noto e temuto esecutore di numerose sentenze capitali nello Stato Pontificio (Figura 2):

Tutt'a un tempo ar paziente Mastro Titta
j'appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene
un schiaffone a la guancia de mandritta.

«Pijja», me disse, «e aricordete bbene
che sta fine medema sce sta scritta
pe mmill'antri che ssò mmejjo de tene»
(Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 68, Er ricordo, 29 settembre 1830)

Figura 2. Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, mostra compiaciuto la testa di una donna appena giustiziata nei pressi di Castel Sant'Angelo.

martedì 13 settembre 2016

Memorie Descrittive della Carta Geologica d’Italia, volume 100: La Cartografia del Servizio Geologico d’Italia.

E’ stato pubblicato online, in concomitanza dell’88° Congresso della Società Geologica Italiana, il volume numero 100 delle Memorie Descrittive della Carta Geologica d’Italia, dal titolo “La Cartografia del Servizio Geologico d’Italia”, a cura di Fabiana Console, Marco Pantaloni e Domenico Tacchia.

L’idea di racchiudere in un unico volume la storia, i risultati e gli sviluppi della lunga produzione cartografica del Servizio Geologico d’Italia potrebbe apparire un’impresa ardua, dovuta anche al lungo arco temporale che intercorre dalla fondazione del Servizio, nel 1873, ai giorni nostri.
Lo spirito che ci ha spinto a raccogliere contributi specifici su questo tema è stata la volontà di avere finalmente un volume che racchiudesse gli aspetti storici e i contenuti tecnico-scientifici della cartografia geologica e geotematica prodotta dal Servizio Geologico d’Italia oltre a quella raccolta nel tempo, conservata e resa fruibile al pubblico dalla Biblioteca dell’ISPRA.
L’organizzazione attuale del Servizio Geologico d’Italia, all’interno di un complesso Istituto di ricerca quale è l’ISPRA, vede tutto il personale coinvolto in numerose e diverse attività; abbiamo ritenuto, tuttavia, che la cartografia geologica e geotematica rappresentasse il minimo comune denominatore di tutti i settori tematici nei quali è strutturato il Servizio.
La realizzazione di questo volume ha visto un’ampia partecipazione da parte di tutti i colleghi del Servizio Geologico d’Italia; questo dimostra un profondo legame dei geologi e dei cartografi alla loro quotidiana attività professionale e alla stessa istituzione. Si è voluto, però, dare spazio anche a contributi esterni, a dimostrazione di un radicato spirito di collaborazione con altri Enti ed Istituti sulle tematiche comuni.
L’analisi del materiale documentale storico, lo studio delle biografie delle persone che hanno lavorato presso l’Ufficio e del materiale tecnico-scientifico prodotto da questi scienziati, ci ha permesso di scoprire anche un lato umano che sottolinea l’attaccamento e la passione dei tecnici e dei geologi verso il proprio lavoro e verso le Scienze della Terra.
Il nostro auspicio è che questo spirito di collaborazione e il senso di appartenenza che ne deriva rimangano come esempio per le future generazioni di geologi, cartografi, storici e bibliotecari che si occuperanno di proseguire la cartografia geologica negli anni a venire.

Il volume è disponibile al download sul sito dell’ISPRA al seguente link:
http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/periodici-tecnici/memorie-descrittive-della-carta-geologica-ditalia/la-cartografia-del-servizio-geologico-ditalia




domenica 11 settembre 2016

Tre secoli di geologia in Italia

Napoli, 7-9 settembre 2016

Riflessioni sull'88° Congresso della Società Geologica Italiana

Tre giorni, tre giorni intensi, faticosi, divertenti; giornate e momenti importanti, di informazioni, notizie, aggiornamenti, discussioni.
Ma soprattutto, per noi della Sezione di storia delle geoscienze della Società Geologica Italiana, un intero venerdì di confronto, scambio, dialogo, presa di coscienza.
Coscienza del fatto che la nostra Sezione, nata in modo informale, è diventata una tra le più seguite e partecipate sezioni della Società alla quale ci pregiamo di appartenere.
Lunga la lista dei contributi orali e delle presentazioni in forma di poster che hanno riempito la sessione dedicata ai “Tre secoli di geologia n Italia”, dalle 8.30 del mattino fino al tardo pomeriggio. Chiusa con un emozionante e proficuo scambio di pareri e opinioni.
Vorremmo raccontare questi giorni descrivendo le nostre emozioni, riassumendo i diversi contributi, presentando gli Autori dei diversi lavori; lo facciamo invece, lasciando al tempo lo sviluppo di quanto nato in questi giorni, attraverso le immagini che sono state raccolte.