di
Giovanna Baiguera
Piramidi di Renon/Ritten (BZ)
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Ebbene
sì, anche in Italia esistono le piramidi.
Sono
definite piramidi di terra e ci ha pensato la natura, non l'uomo, a
costruirle.
Ma
quanto a testimonianza storica nemmeno queste scherzano, considerato che sono
in grado di raccontare quel che è avvenuto negli ultimi 10.000, 100.000, 1.000.000
e anche più anni.
Tutto
ha inizio da un evento geologico che crea le condizioni essenziali per la loro
formazione e poi ci pensa il tempo, che scorrendo provvede a forgiare queste
opere in continua intima trasformazione.
Talora
in forma solitaria, più spesso in gruppo, a volte persino abbracciate, si
presentano all'immaginario collettivo circondate da un alone misterioso, se non
addirittura magico-leggendario.
Ai
geoscienziati, oggi come in passato, il compito di spezzare l'incantesimo,
sfruttare il prezioso contributo informativo di queste rocce e riportarle alla
normalità, rivelando nuovi scenari di altrettanta suggestione.
Piramidi di Segonzano (TN) |
Alte
come piramidi, certo, ma la loro forma può ricordare anche funghi, fiori,
alberi o figure antropomorfe.
Il
grosso della costruzione è costituito da un corpo principale di materiale
piuttosto erodibile, al di sopra del quale spesso poggia un cappello di roccia
resistente, che protegge il tronco dal destino che più rapidamente ha raggiunto
le aree circostanti.
Le
piramidi sono dunque il risultato di un processo di evoluzione geomorfologica
che necessita, come anticipato, di adeguate condizioni di partenza, per
la verità tutt'altro che rare.
Basta
infatti che elementi rocciosi resistenti, crollati da ripidi versanti o
trasportati da alluvioni, frane o ghiacciai, risultino inglobati in o
sovrapposti a materiali rocciosi più friabili, di granulometria più fine,
argillosa, sabbiosa o conglomeratica. Bisogna poi che questi detriti rimangano
esposti alle intemperie.
Tutto
qui? Non proprio, ma il più è fatto.
È
noto che i processi di erosione operano sempre in maniera selettiva,
ovvero con una diversa incidenza sulle differenti parti rocciose di un
affioramento. In depositi come quelli descritti, questa disgregazione costante
ma disomogenea porta le piramidi ad emergere pian piano e, all'apparenza, ad
innalzarsi sempre più in alto, fino a formare pareti aguzze o lunghe colonne
anche di diversi metri di altezza. In un ipotetico replay, si vedrebbe che in
realtà sono i terreni circostanti ad abbassarsi e le colonne rimanere, pur precariamente,
nella posizione originaria.
L'ineluttabile
destino porta il gambo ad assottigliarsi, fino al punto in cui, magari con
l'aiuto di una scossa sismica, il masso finalmente cade. Il corpo a quel punto
non può che subire una “decrescita” relativamente rapida, sempre ad opera del
dilavamento superficiale.
Piramidi di Zone (BS) |
Ora
sembra proprio che sia stato detto tutto. Ma si può saperne di più.
La
configurazione geologica ideale, e più frequente in Italia, almeno per
quanto riguarda le emergenze più ampie, è rappresentata dalle spesse coltri di depositi
morenici quaternari, diffusi nelle aree prealpine. Le dinamiche
glaciali/periglaciali sono infatti capaci, nella loro potente azione
distruttrice-costruttrice, di scavare, sostenere, trasportare e ricompattare
caoticamente ingenti quantità di materiale roccioso, composto dalle taglie più
diverse e poi lasciato in preda agli agenti meteorici o fluviali.
Una
curiosità sul termine morena (moraine in francese e in inglese).
Deriverebbe dal savoiardo morène, a sua volta probabilmente radicato
nell'italico “mora”, significante per l'appunto “ammasso di pietre” (fonte:
Treccani).
La
Savoia, entità territoriale ancora viva nelle comunità locali,
corrisponde a una zona delle Alpi Occidentali ceduta dal Regno di Sardegna
all'Impero francese nel 1860, insieme alla Contea di Nizza. Fu il Trattato di
Torino a sancire l'annessione, frutto degli accordi (Plombières e successivi)
tra il primo ministro Cavour e Napoleone III, il quale, come contropartita per
le nuove terre, avrebbe fornito il suo appoggio politico alla monarchia sabauda
nel processo di unificazione italiana. Oggi queste aree costituiscono i
Dipartimenti Savoie e Haute-Savoie nella Regione Rhône-Alpes, confinanti con la
Valle d'Aosta e il Piemonte.
L'occasione
è propizia per ricordare un documento che vide la luce proprio all'indomani
della proclamazione del Regno d'Italia, considerato pietra miliare nella
geologia di questi territori e tra i primi esempi di cartografia geologica
nazionale: la Carta geologica di
Savoja, Piemonte e Liguria, pubblicata infatti in prima
edizione nel 1862 e poi nel 1866. Porta il nome di Angelo Sismonda,
scienziato piemontese che sviluppò stretti rapporti con le terre d'oltralpe,
tra l'altro contribuendo in maniera determinante alla realizzazione del tunnel
ferroviario del Fréjus, iniziato nel 1857 e aperto al traffico nel 1871 (a
cui seguì, in tracciato parallelo, quello stradale), a tutt'oggi uno dei
principali collegamenti transfrontalieri d'Europa. L'accuratezza dei suoi
rilievi geologici preliminari dovrebbe essere meglio riconosciuta tra le
ragioni della straordinaria velocità con cui i lavori vennero condotti e
portati a termine (si dice addirittura nella metà del tempo originariamente
previsto), velocità troppo spesso attribuita, dalle cronache ufficiali, alla
sola messa a punto di tecniche di perforazione rivoluzionarie o all'adesione
della Francia al finanziamento dell'opera in corso.
Carta geologica di Savoja, Piemonte e Liguria in scala 1:500.000 (1866), del Cav. Angelo Sismonda, pubblicata per cura del governo di S. M. Vittorio Emanuele II Re d'Italia. (disponibile al download su opac.isprambiente.it) |
Fungo di Piana Crixia (SV)
La
struttura massiva e l'esposizione costituiscono dunque i
presupposti ideali per la formazione delle piramidi. Potrebbero però non essere
sufficienti.
In
effetti, la ricetta perfetta non trascura le componenti climatiche,
connotate da un certo equilibrio tra fasi piovose e asciutte e dall'assenza di
forti venti persistenti, a garanzia della tenuta dell' “impasto” piramidale e
del suo cappello. Occorre poi che la mescolanza di materiali diversi abbia
un'idonea proporzione granulometrica, superata la quale, verso i due
estremi opposti, il deposito sarebbe troppo permeabile per essere modellato
oppure troppo tenero per mantenere il giusto portamento e l'adeguata portanza.
Si direbbe che il tronco possa reggersi quanto più somigliante al calcestruzzo
(o viceversa?). Persino la composizione dei clasti avrebbe una sua
influenza, a favore della formazione di piramidi in caso di presenze magmatiche
o metamorfiche, mediamente meno propense, rispetto a quelle sedimentarie, a
degradarsi e dissolversi in fango o a produrre cementazioni. Per i massi
sospesi conta ovviamente anche la forma: elementi troppo arrotondati
risulterebbero più instabili.
Ciciu del Villar, loc. Villar San Costanzo (CN)
|
Al
termine di un ciclo erosivo (inteso in senso lato), i massi potrebbero
costituire gli unici residui del deposito originario complessivamente dilavato,
anzi si può dire che sia proprio questo il destino che spetta a tutti gli
affioramenti di piramidi ad oggi osservabili nel nostro territorio, almeno
fintanto che prevale l'opera di smantellamento. E' tuttavia ancora possibile,
con il procedere dell'evoluzione morfologica, che l'erosione prediliga le unità
sottostanti i massi caduti, ed ecco che possono ricominciare a formarsi nuove
piramidi, o funghi o umanoidi, formati da membra ancor meno “consanguinee”.
Che
cosa accadde? Cosa accadrà?
Si
può chiedere a un geoesperto. Forse non avrà tutte le risposte ma probabilmente
qualcuna in più della sfera di cristallo..
Intanto
non resta che continuare ad ammirare e studiare questi edifici geologici, con
l'avvertenza di non sostare sotto il cappello. La caduta del masso sommitale è
infatti inevitabile e pressoché istantanea, ma soprattutto imprevedibile nel
tempo.
Piramidi di Segonzano (TN)
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