lunedì 20 aprile 2015

L’inselberg di Cavour

di Marco Pantaloni

Inselberg, una parola tedesca composta dai termini insel (isola) e berg (montagna) spiega perfettamente l’”oggetto” del quale parleremo: il “monte isola” di Cavour, comune piemontese a sette km dal versante orientale delle Alpi Cozie.
L’inselberg, detto anche monadnock, è un modesto rilievo o un piccolo monte isolato che emerge dalla piatta superficie di una pianura o di un'area caratterizzata da un moderato rilievo.
Il termine monadnock veniva utilizzato dai nativi americani per indicare un rilievo isolato emerso nella pianura perché sopravvissuto all'erosione. L'origine del nome discende, forse, dal linguaggio Abenaki, derivando dalle parole menonadenak ("montagna liscia") o menadena ("montagna isolata"). Con questo nome viene chiamato un rilievo del New Hampshire (USA): Mount Monadnock.
In Africa unità morfologiche simili all’inselberg di Cavour vengono chiamate kopje, termine che deriva dalla parola di lingua Afrikaans "koppie".
Queste strutture sono tipiche, ma non esclusive, delle aree tropicali. Anche i vulcani o i processi intrusivi possono originare masse rocciose resistenti all'erosione all'interno di corpi rocciosi più teneri e quindi maggiormente soggetti all’erosione.
Anche durante gli eventi glaciali si possono verificare situazioni tali da lasciare rilievi che “emergono” rispetto al corpo glaciale, dando quindi luogo a quello che viene definito “nunatak”.
Gli inselberg più conosciuti al mondo sono quello di Uluru, in Australia, il Pão de Açúcar a Rio de Janeiro in Brasile, oltre naturalmente al Monte Monadnock, nel New Hampshire negli USA.

L’inselberg della Rocca di Cavour è costituito da un modesto rilievo alto 162 metri, isolato in mezzo alla pianura; è rivestito da boschi e rappresenta una rottura nel monotono paesaggio della pianura coltivata; grazie a queste caratteristiche rappresenta un’oasi naturale per gli uccelli di passo. Per tali motivi il territorio della Rocca di Cavour, già considerato Riserva Naturale Speciale della Regione Piemonte con Legge Regionale n° 48 del 1980, dal 1995 è inserito all’interno del Parco del Po cuneese. Nella zona è inoltre stato istituito il Sito di interesse comunitario Rocca di Cavour.




Una rapida analisi geologica e geomorfologica indica che la Rocca di Cavour è costituita da una enorme blocco di gneiss isolato dal contesto morfologico grazie all’azione erosiva operata, nel Quaternario, da fiumi e torrenti.
Da quanto risulta cartografato sul foglio 67 Pinerolo della Carta geologica d’Italia in scala 1:100.000, pubblicato dal Servizio geologico d’Italia, rilevato nel periodo 1890-1910 dai più famosi geologi del primo Novecento E. Mattirolo, V. Novarese, S. Franchi e A. Stella, e ristampato nel 1951, risulta che il corpo roccioso costituisce una unità litologica “specifica”; in legenda risulta, infatti, indicato con la lettera greca gamma e definito come “Granito a due miche, talora granatifero, con struttura gneissica verso il contatto superiore (Rocca di Cavour)”, curiosamente inserito, però, tra le rocce eruttive. Il settore settentrionale della Rocca, tuttavia, risulta costituito da “Scisti macchiati a chiastolite, non di rado a grandi elementi laminati e metamorfosati”. Questa struttura è “immersa” nell’ampia estensione rocciosa cartografata con i tenui colori del giallo e del verde pallido caratteristici, secondo le regole ben conosciute dai geologi, alle unità di età quaternaria dei depositi alluvionali recenti e terrazzati.



Numerose guide, disponibili anche in rete, ilustrano vie e sentieri che, dall’abitato di Cavour, permettono un periplo e la salita verso la Rocca; si tratta di sentieri brevi, piuttosto facili, ma ricchi di osservazioni naturalistiche e storiche. Permettono osservazioni panoramiche con il Monviso in primo piano, almeno nelle giornate di buon tempo.

Il comune di Cavour raccoglie le spoglie mortali di uno dei più illustri geologi del Novecento: Alessandro Pòrtis, successore dal 1888 di Giuseppe Ponzi nella cattedra di geologia e paleontologia nell'Università di Roma, tra i soci fondatori e presidente della Società geologica italiana nel 1908.




Per saperne di più:



mercoledì 15 aprile 2015

Giovanni Arduino. Il geologo che "inventò" le ere

Figura 1 – Giovanni Arduino
(Biblioteca del Museo Correo, Venezia)
di Francesco Grossi


Geoitaliani si spinge lontano nel tempo, nel XVIII secolo, per “festeggiare” uno dei padri della geologia moderna, Giovanni Arduino (fig. 1), nato a Caprino Veronese il 16 ottobre 1714 e spentosi a Venezia il 21 marzo 1795, di cui nel 2014 ricorre il trecentenario della nascita.
Fu professore di chimica, metallurgia e mineralogia a Venezia e precursore in Italia dei metodi di indagine stratigrafica, nonché geologo a tutto tondo quasi un secolo prima del fondamentale volume di Charles Lyell “Principi di Geologia”, che riprendeva sistematizzandole in modo organico le teorie di Hutton ed è da molti considerato il testo fondatore della geologia moderna.
Un’epoca pionieristica, quella della prima metà del Settecento, per gli appassionati di Scienze della Terra nell’Italia non ancora unificata: in una lettera del 18 gennaio 1758 ad Antonio Vallisnieri figlio, Arduino parla de: “…la grande difficoltà che si ha, specialmente in questa nostra Italia, di far raccolte di Pietre, di Minerali e di Fossili, non solo delle Regioni a noi lontane, ma anche dei Paesi che ci sono vicini…” e in un'altra, del 3 aprile 1758 a Girolamo Festari, manifesta la sua passione per una disciplina che permetteva di studiare regioni anche lontane dalla patria veneta: “Ella continui con coraggio, e con perseveranza l’incominciato cammino, e faccia questo onore a se stessa, alla Patria [veneta] e all’Italia, di far conoscere non essere solo oltremonti e nel freddo Settentrione che il Regno Sotterraneo si osserva; che i Fossili si conoscono…”. 
Come accadde anche ai geologi che vissero nel secolo successivo, molti dei quali attivi fautori dell’unità d’Italia, anche Arduino intuì che le analogie tra le caratteristiche geologiche e stratigrafiche di porzioni di penisola italiana appartenenti a stati diversi permettevano di parlare già in nuce di un’Italia “unitaria”. In particolare, oltre alla sua naturale propensione per le escursioni geologiche, Arduino trovò diverse conferme grazie alla sua professione di geologo minerario e metallurgo, le cui committenze lo portarono ad operare in diverse località, soprattutto in Veneto e in Toscana.
Come tutti i grandi uomini di scienze (anche applicate) fu socio delle più prestigiose società dell’epoca: dalla Società Italiana (detta poi dei XL), all’Accademia dei Fisiocritici di Siena, dalle Accademie delle Scienze di Torino e di Mantova alla Società degli Amici Scrutatori della natura di Berlino, fino all’Accademia di agricoltura di Vicenza, di cui fu anche segretario. Mantenne estesa corrispondenza (fonte di preziose informazioni scientifiche) con eminenti scienziati italiani e stranieri, tra cui citiamo Déodat de Dolomieu, geologo francese da cui presero il nome il minerale dolomite e le omonime montagne italiane, e lo svedese Carl von Linné, più noto come Linneo, uno dei più grandi naturalisti della storia.

Gli inizi e la Pesciara di Bolca
Dopo aver compiuto i primi studi a Verona, si recò giovanissimo, grazie all’aiuto di un mecenate, nelle miniere di ferro di Chiusa (Bolzano) per apprendervi la metallurgia, la mineralogia e "tutto ciò che riguarda la scienza del regno fossile", come egli stesso dice in uno scritto autobiografico. Trasferitosi a Schio nel 1740, vi esercitò per otto anni la metallurgia, fornendo le sue consulenza per la conduzione di miniere nel Bergamasco e nel Modenese.
Arduino non poteva non occuparsi anche di uno dei giacimenti fossiliferi più noti del mondo, Bolca, località dei Monti Lessini, proprio nella provincia di Verona. Il giacimento ha restituito un’abbondantissima fauna dell’Eocene (circa 50 milioni di anni fa), costituita soprattutto da pesci fossili (fig. 2) ma anche da rettili marini, molluschi, crostacei e piante, che hanno arricchito i musei paleontologici non solo di tutta Italia.


Figura 2 – Il pesce fossile Mene rhombea, esposto al Museo di Geologia e Paleontologia di Padova