martedì 24 febbraio 2015

Gentiluomini d’altri tempi: Giambattista Dal Piaz nelle Alpi occidentali nei primi anni ‘70

di Alessio Argentieri

Il professor Giorgio Vittorio Dal Piaz, nostro mentore e sostenitore della prima ora di Geoitaliani, ci regala spesso alcune preziose testimonianze dall’archivio familiare.
Ecco un'immagine di suo padre Giambattista (scansione di una diapositiva Rolley in bianco e nero) ripresa nell'estate 1971 presso il Rifugio Duca degli Abruzzi all'Oriondè, alla base del versante italiano del Cervino.



Il professor Dal Piaz, gentiluomo d’altri tempi, calza le pedule senza disattendere gli obblighi di eleganza; unica licenza, il colletto della camicia sbottonato senza cravatta (ma nel taschino c’è una pochette). Alle sue spalle un panorama eccezionale: in primo piano a sinistra la Cresta della Forca, che marca il confine italo-svizzero; e poi maestosa sequenza di ghiacciai: a sinistra il Piccolo Cervino, in mezzo il Plateau Rosa, a destra la Gobba di Rollin.
La storia della geologia italiana passa anche per piccoli momenti della vita dei suoi protagonisti, cristallizzati da una pellicola fotografica.

mercoledì 18 febbraio 2015

La nascita della geologia pisana

di Paolo Sammuri

LA GEOLOGIA PISANA NEL GRANDUCATO DI TOSCANA
Gli inizi degli studi geologici pisani si devono a Giorgio Santi, nato a Pienza, (1746–1822), che si interessò della natura vulcanica del Monte Amiata, di acque minerali e termali e dei “lagoni” boraciferi del senese, tuttavia con i suoi grandi interessi botanici e zoologici egli rimase un vero “naturalista” a tutto campo. Infatti, nel corso dei primi tre decenni dell’Ottocento, la Geologia non occupava un posto di rilievo negli interessi della vivace comunità scientifica pisana. Lo scarso interesse per la disciplina si traduce nel forte ritardo che si accumula a livello delle collezioni e delle opere di riferimento indispensabili alla determinazione dei fossili e alla comparazione dei terreni e degli strati toscani con quelli già studiati negli altri paesi. Tuttavia a partire dagli anni Trenta, con lo sviluppo dell’industria, di fatto fu la necessità vitale di minerali e combustibili per le applicazioni industriali e minerarie che determinò un complesso di fattori economici e sociali, che contribuì a fare della Geologia una disciplina a sé stante. Quando la Geologia diviene disciplina di punta in Toscana e a Pisa, negli anni Quaranta e Cinquanta, le precedenti carenze strutturali si riveleranno difficili da colmare.

Paolo Savi
Il primo vero studioso “sul campo” della geologia toscana nella prima metà dell’Ottocento fu Paolo Savi (Pisa, 11 luglio 1798 – Pisa, 5 aprile 1871).
Prima assistente (1819-1823) del padre Gaetano Savi, docente di Botanica, poi dal 1821 assistente anche di Giorgio Santi alla cattedra di Storia Naturale, di cui assunse l’incarico alla morte del Santi nel 1822; nel novembre 1823 fu nominato professore di Storia Naturale e di Mineralogia, e Direttore del Museo dell’Università. Sviluppò una notevole abilità nelle preparazioni tassidermiche degli animali per il museo, di cui si occupava personalmente; incontrò nel 1824 lo zoologo Andrea Bonelli a Torino, ed i suoi primi studi furono sulla fauna ornitologica toscana, pubblicati nel suo libro del 1827: “Ornitologia toscana : ossia descrizione e storia degli uccelli che trovansi nella Toscana con l'aggiunta delle descrizioni di tutti gli altri proprj al rimanente d'Italia.”

PAOLO SAVI NATURALISTA E GEOLOGO GRANDUCALE (1828-1839)
Nel 1828 il Savi fece un lungo viaggio a Parigi, dove si trattenne per due mesi a studiare in Musei e Biblioteche ed incontrare celebri naturalisti, tra cui il grande anatomista e paleontologo Georges Cuvier (1769-1832), che gli donò una collezione di modelli in gesso dei pezzi più caratteristici dei fossili su cui aveva stabilito parte delle nuove specie degli animali estinti, che il Savi inserì nel Museo da lui diretto. Le prime escursioni geologiche sono del 1828 e 1829 sui Monti Pisani, sulle Alpi Apuane e sugli Appennini e furono pubblicate in tre lettere geologiche nel “Nuovo Giornale de’ Letterati” e, nel 1830, in un Catalogo delle rocce più caratteristiche del macigno della Toscana. Non sappiamo se il crescente interesse di Savi per la Geologia sia derivato dal suo viaggio a Parigi, se egli abbia compreso il grande interesse granducale per le risorse minerarie toscane, o se sia stato invitato direttamente dal Granduca a orientarsi verso lo studio del sottosuolo. Infatti il coetaneo Granduca di Toscana, Leopoldo II (1797-1870), lo volle con sé nel 1830 come esperto nel suo viaggio in Germania, per esaminare i “terreni carboniferi” della Sassonia e della Boemia, durante il quale ispezionò molte miniere e discusse con geologi e ingegneri minerari tedeschi circa l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse minerarie.


Il Granduca di Toscana Leopoldo II
Il Savi tornò dalla Germania con una collezione di circa 1400 reperti geologici, e solo 70 esemplari di mammiferi ed uccelli. Nel 1831 veniva finanziato personalmente dal Granduca ed i suoi interessi erano già decisamente orientati verso la Geologia; in tale periodo intensificò le ricerche sul terreno, visitando l’Isola d’Elba e la Lunigiana, e nel 1833 pubblicava la “Carta geologica dei Monti Pisani”.


Carta geologica dei Monti Pisani
Nello stesso anno gli fu affidato l’incarico di studiare le saline di Volterra, per individuarne i problemi e migliorare la produzione, e raccolse una collezione di rocce e lave del Vesuvio nel corso di un viaggio a Napoli con il Granduca. Su suo incarico visitò la miniera di ferro dell’Isola d’Elba e scrisse una memoria allo scopo di evidenziarne le risorse ed i vantaggi dello sfruttamento. Nel 1834 pubblicò il libro “Sulla Scorza del Globo Terrestre” in cui raccoglieva gli articoli apparsi nei due anni precedenti sul Giornale de’ Letterati, traducendo ed integrando l’opera del geologo francese Costant Prévost sul linguaggio della Geologia. Il Savi in merito all’orogenesi sposava la teoria di Prévost della terra in raffreddamento e quindi della superficie della terra assimilata ad una scorza di mela che si raggrinzisce, e rifiutava la teoria opposta dei “crateri di sollevamento” che spiegava, secondo Elie de Beaumont e Leopold von Buch, la formazione delle catene montuose con l’improvviso e violento emergere di masse magmatiche. In merito al granito, non condivideva l’idea che fosse una roccia primitiva formatasi dal consolidamento di masse magmatiche, ed invece la spiegava in base alla propria teoria del metamorfismo come formata da agenti plutoniani per l’attraversamento di filoni ad altissima temperatura e pressione. Al pari degli altri geologi contemporanei, non riteneva che i reperti paleontologici, per quanto importanti ed interessanti potessero essere utilizzati per la storia della terra e la cronologia degli strati. Da questo la sua idea che la Geologia può essere solo una Geologia locale, che certo può avvalersi di studi ed osservazioni comparative fatte in località più o meno lontane, ma che poi deve tener conto delle particolarità della zona esaminata, per non cadere in errore ed estrapolare a tutta una regione i risultati ottenuti da una singola località. In sostanza la Geologia della Toscana, con le particolarità delle Alpi Apuane, dei Monti Pisani, delle Colline Metallifere e dell’Isola d’Elba era troppo complessa perché vi si potessero applicare le conclusioni tratte dallo studio della Geologia, relativamente semplice, dell’Inghilterra, della Francia e della Germania. Nel 1834 fu approvato il suo progetto di ristrutturazione delle saline, e gli fu richiesto di seguirne l’attuazione; nel 1837 il Granduca gli assegnò un ricco vitalizio perché continuasse a dirigere le saline e perché in futuro fosse disponibile all'esecuzione di ulteriori incarichi.

LA DISPUTA SUL “CARBONE TOSCANO” ED IL CONTRASTO SCIENTIFICO CON LEOPOLDO PILLA (1839-1848)
Nel 1839 si svolse a Pisa il primo Congresso degli Scienziati Italiani, nel quale il Savi partecipò come massimo esperto della Geologia toscana ed interlocutore critico della Geologia europea, esponendo i risultati dei suoi studi sui Monti Pisani e sulle Alpi Apuane e la sua teoria sul metamorfismo.



Nel Congresso presentò anche una memoria sui combustibili fossili della Toscana, in cui giudicò estremamente improbabile di poter trovare strati di vero Litantrace, ed analoghe considerazioni furono fatte dai geologi degli Stati Veneti, Piemonte e Parma; di conseguenza si concluse che non vi era una fondata speranza di trovare il desiderato combustibile di qualità dei terreni carboniferi europei e che i depositi esistenti in Italia appartenevano al macigno, ovvero a formazioni terziarie. Gli ingegneri ed i tecnici minerari non erano di questa opinione, e vantavano la fondazione di Società minerarie e le iniziative già avviate in Toscana per la ricerca di nuovi depositi di Lignite e la coltivazione delle miniere. Nel 1839, dopo la fine del congresso, fu scoperto a Montebàmboli (circa 7 km. a NW di Massa Marittima) un giacimento di “vero Litantrace”, in realtà formato da banchi di Lignite di ottima qualità, che poneva in discussione la credibilità dei geologi italiani. La spinosa questione fu lasciata in sospeso al Congresso di Torino nel 1840 a causa della mancata partecipazione dell’esperto di geologia applicata e giacimenti minerari, il milanese Giulio Curioni (1796-1878), che si era incaricato di sottoporre al giudizio della Sezione di Geologia del Congresso i rilievi, le rocce e i combustibili raccolti nelle Maremme Toscane. Nel 1841 al terzo Congresso a Firenze, nella prima adunanza della Sezione di Geologia, Mineralogia e Geografia fu presentata da Giacinto Provana di Collegno (1794-1856), generale e geologo piemontese, una “Memoria sulle Metamorfosi dei terreni di sedimento, ed in particolare su quelle subite dai combustibili fossili della Toscana”. In questo contributo il Collegno, dopo aver esaminato la genesi a causa del calore degli estesi depositi della formazione carbonifera nordeuropea, forniva una spiegazione in merito alla qualità del combustibile scoperto a Montebàmboli che, pur appartenendo certamente al periodo terziario, e non carbonifero, presentava caratteristiche mineralogiche analoghe al litantrace di Newcastle, di Liegi, di Valenciennes. Egli affermava che le teorie metamorfiche del Savi ne spiegavano le caratteristiche, con “le eruzioni metalliche de’ filoni quarzosi e granitici della Toscana” che, sicuramente posteriori alla deposizione dei terreni terziari, avevano convertito con la loro temperatura e pressione i depositi di Lignite in vero Litantrace. Tale Litantrace, però, doveva essere considerato un “Litantrace anomalo”, perché generato non come i depositi carboniferi da “metamorfosi normale” dovuta all'uniforme calore interno del globo, ma da modificazioni prodotte localmente da fusi di rocce ignee sui depositi sedimentari, cioè da una “metamorfosi anomala” come definita da Elie De Beaumont. Infine il Collegno ridimensionava (giustamente) il valore della scoperta del ”carbone toscano”, sottolineando la convenienza di non esagerarne l’importanza pratica, vista la limitata estensione degli affioramenti terziari e la frammentarietà dei piccoli depositi lentiformi, peraltro sconvolti dalle azioni tettoniche che interrompevano la continuità dei banchi coltivabili, non paragonabili per spessore ed estensione ai depositi nordici. Il presidente Pasini riferiva che il Curioni, al termine dei suoi esami, si era convinto che le rocce e il carbone erano state certamente modificate, e che l’errore dell’Ingegnere Pitiot, direttore delle miniere a Montemassi e Montebàmboli, di considerare le rocce come appartenenti al periodo carbonifero era stato determinato proprio dall'aspetto e dalla durezza che le arenarie terziarie avevano assunto a causa dell’alterazione metamorfica. Il Savi alla fine intervenne, spiegando le ragioni per le quali i depositi di carbone toscani erano contenuti in bacini di estensione molto limitata, e che di conseguenza ci si doveva aspettare che lo strato di combustibile si assottigliasse verso i bordi dei bacini già individuati. Nel 1841 il Granduca, sempre più interessato alle risorse toscane, decise di creare nell'Università di Pisa, che ambiva far diventare una capitale della scienza italiana ed europea, una cattedra di Mineralogia e Geologia, separandola da quella di Storia Naturale; di fronte a questa scelta, il Savi preferì la cattedra di Zoologia, mentre il medico e geologo napoletano Leopoldo Pilla (1805-1848), studioso del Vesuvio ed esperto di vulcanologia, che il Granduca aveva conosciuto personalmente a Napoli, fu nominato nel 1842 Professore di Geologia e Mineralogia.



Il Pilla aveva una ricca esperienza di esplorazioni geologiche in Abruzzo, Gargano, Puglia e Calabria, che gli erano state commissionate dal Regno delle Due Sicilie per riferire sulla situazione delle miniere, sui possibili nuovi giacimenti minerari da sfruttare e per la ricerca di combustibili fossili; queste competenze lo misero in buona luce presso il Granduca di Toscana, visto il notevole interesse granducale per la ricerca del carbone toscano. Tuttavia il Savi non cessò di occuparsi di Geologia, ed Il dialogo scientifico tra lui ed il Pilla fu perlomeno vivace, se non conflittuale, anche perché il Pilla era molto vicino alle tesi ottimistiche di Theodor Haupt, sulle risorse minerarie toscane. Quest’ultimo, ingegnere sassone, dal 1844 nominato consigliere per le questioni minerarie da Leopoldo II, alimentava le speranze di trovare un grande giacimento di carbone di ottima qualità, ed irritava i proprietari terrieri toscani sostenendo i diritti sul sottosuolo del governo granducale, che ne comportavano il controllo e l’intervento diretto. Il Savi invece difese la tesi del moderatismo toscano, sostenuta anche dai Georgofili Ricasoli, Pini e Marzucchi, che contrastava l’interesse superiore dello Stato nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo secondo il modello della legislazione francese. Infatti il Savi contrastava punto per punto le tesi del Pilla sul carbone toscano e su vari argomenti geologici, insistendo sui fatti da lui osservati con precisione rispetto alle facili generalizzazioni e speculazioni, non solo per rivendicare la sua primazia scientifica e conoscenza dei terreni toscani, ma anche per screditare un geologo pericolosamente vicino alle tesi del Regio Consultore per gli affari delle miniere Haupt. Il contraddittorio Savi-Pilla aumentò di intensità sulle questioni prettamente scientifiche della stratigrafia e delle età dei terreni toscani, soprattutto in merito all'assegnazione fatta dal Pilla del macigno ai terreni terziari, che con la proposta del nome di “terreno etrurio” fu accolta dai francesi, mentre il Savi riteneva il macigno erroneamente cretaceo. Inoltre il Savi si opponeva alle divisioni più articolate nel calcare secondario basate sui caratteri mineralogici proposte dal Pilla e collegate al dibattito sulla serie dei terreni europei, contrapponendo osservazioni accuratissime che rendevano problematico trarre conclusioni più ampie e generali ed imponevano di mantenere una grande cautela sui sincronismi, vista anche la scarsità di fossili rinvenuti e delle conoscenze sulla loro distribuzione geografica. Il dibattito in realtà fu troncato nel maggio 1848, quando il Pilla, il suo scomodo collega, ma liberale e fervente patriota, trovò la morte nella battaglia di Curtatone come capitano del Battaglione universitario toscano; su di lui scese l’oblio, la sua cattedra di geologia fu assegnata al naturalista e botanico, specialista in alghe, Giuseppe Meneghini (1811-1889), che si occupò di subito di paleontologia e, evitando ogni rivalità, si dichiarò allievo del Savi che ritornò ad essere l’unico esperto incontrastato della Geologia toscana. Inoltre nel 1847 il Savi era stato nominato socio dell'Accademia nazionale delle scienze, società scientifica italiana fondata nel 1782 col nome di “Società italiana delle scienze detta dei XL”, dai quaranta maggiori scienziati dell’epoca, che comprendeva i migliori scienziati italiani, indipendentemente dagli stati di appartenenza.

LA COLLABORAZIONE CON MENEGHINI (1848-1850)
Il Savi non era un esperto di paleontologia, ma spinse il Meneghini a continuare la collaborazione, che era stata iniziata dal Pilla, con Alberto della Marmora per l’identificazione dei fossili paleozoici in Sardegna. Inoltre insieme al Meneghini si applicò a risolvere definitivamente la questione dell’età del macigno e della cronologia delle serie toscane, in realtà riconoscendo in alcuni casi di aver cambiato idea, in altri integrando alcune idee del Pilla, appoggiandosi e riportando l’idea del geologo scozzese R. Murchison secondo cui la denominazione “terreno etrurio” era geologicamente inammissibile, ed accettando infine di collocare il macigno nel periodo eocenico. Queste tesi furono ampiamente esposte nel loro testo congiunto “Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche concernenti la geologia della Toscana e dei paesi limitrofi “, pubblicato nel 1850, che costituisce anche il suo ultimo lavoro scientifico in campo geologico, eccettuate alcune brevi memorie dei primi anni sessanta. In pratica il Savi considerava definitivamente definita e ormai conclusa la questione stratigrafica ed interpretativa col Pilla, e lasciava definitivamente il campo geologico al suo “allievo” Meneghini.

DAL GRANDUCATO AL REGNO D’ITALIA - LA CARTA GEOLOGICA (1859-1871)
A seguito degli eventi della II guerra d’indipendenza, Leopoldo II abdicò nel 1859 e dopo il plebiscito del 1860 per l'annessione al Regno d'Italia, il Granducato fu soppresso e la Toscana fu unita al Regno di Sardegna. Nel Regno di Sardegna il 18 ottobre del 1822 con le Regie Patenti di Carlo Felice, era stato istituito il Regio Corpo degli ingegneri delle Miniere Sarde, con compiti tecnici ed amministrativi, ed il Consiglio Superiore delle Miniere, con funzioni di indirizzo e controllo delle attività minerarie. Con l’Unità d’Italia le competenze del Corpo e del Consiglio delle miniere furono estese a tutto il territorio nazionale, ed ai compiti minerari si aggiunsero quelli relativi alla Carta geologica. Nel 1861 si svolsero a Firenze (che sarà poi capitale dal 1865 al 1870) le riunioni della “Giunta per la compilazione della Carta Geologica del Regno d’Italia”, con vivaci contrasti, destinati a durare nel tempo, fra ingegneri–geologi, naturalisti-geologi e mineralisti-geochimici. Sarà così che il Comitato Geologico presieduto Igino Cocchi, professore di geologia dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze, gestirà le operazioni della Carta geologica d’Italia dal 1867 al 1873, quando il governo, ispirato da Quintino Sella, assegnerà nuovamente al Corpo delle Miniere la competenza in merito alla Carta Geologica. In questo periodo il compito di traghettare le scienze naturalistiche pisane dall'amministrazione granducale a quella nazionale spettò a Savi, studioso ormai affermato e di grande rilievo culturale, che nel 1862 fu nominato Senatore del Regno d'Italia. Il naturalista Paolo Savi muore a Pisa il 5 aprile 1871, dopo aver trascorso una lunga carriera come botanico, ornitologo, zoologo, geologo in quella Università ed essere stato un protagonista, se non il fondatore, della successiva scuola geologica pisana di Meneghini.


Per approfondire:

https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-00002893v2/document (Corsi Pietro)
http://hsmt.history.ox.ac.uk//staff/documents/la_scuola_geologica_pisana.pdf
http://www.academia.edu/9465532/2001_La_scuola_geologica_Pisana

Bibliografia Essenziale, in ordine cronologico:

Savi Paolo – Studi Geologici sulla Toscana - Pisa, ed. F.lli Nistri, 1833, 47 pagine
Savi Paolo – Sulla Scorza del Globo Terrestre e sul modo di studiarla – Pisa, ed. F.lli Nistri, 1834, 102 pagine
Savi Paolo – Memorie per servire allo studio della costituzione fisica della Toscana – Pisa, ed. F.lli Nistri, 1839, 121 pagine
Atti della prima riunione degli scienziati italiani tenuta in Pisa nell’ottobre 1839 – Pisa, ed. F.lli Nistri, 1840, 314 pagine
Atti della terza riunione degli scienziati italiani tenuta in Firenze nel settembre 1841 – Firenze, ed. Galileiana, 1841, 791 pagine
Pilla Leopoldo – Conoscenze di Mineralogia necessarie per lo studio di Geologia – Napoli, ed. Manuzio, 1841, 71 pagine
Pitiot Francesco – Rapporto generale sulle miniere di carbone e sui lavori eseguiti nelle località di Monte Massi, e di Montebamboli nella Maremma Toscana, dal novembre 1841 fino al luglio 1842. – 1842, 11 pagine 
Savi Paolo – Sopra i carboni fossili dei terreni mioceni delle maremme toscane – Pisa, ed. F.lli Nistri, 1843, 78 pagine
Pilla Leopoldo – Breve cenno sulla ricchezza minerale della Toscana – Pisa, ed. Vannucchi, 1845, 224 pagine
Haupt Theodor – Delle Miniere e della loro Industria in Toscana – Firenze, ed. Le Monnier, 1847, 245 pagine
Pilla Leopoldo – Trattato di Geologia diretto specialmente a fare un confronto tra la struttura fisica del settentrione e del mezzogiorno di Europa – Pisa, ed. Vannucchi, 1847, 614 pagine
Meneghini Giuseppe e Savi Paolo – Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche concernenti la geologia della Toscana e dei paesi limitrofi – Firenze, Stamperia Granducale, 1851, 245 pagine
Meneghini Giuseppe – Saggio sulla costituzione geologica della provincia di Grosseto – Firenze, Ed. Barbera, 1865, 44 pagine
Corsi Pietro – La Geologia – In: Storia dell’Università di Pisa vol.2, 1737-1861 pp. 889-927 Ed. Plus – Pisa University Press, 2000, 1714 pagine
Corsi Pietro – Fossils and Reputations. A scientific correspondence, Pisa, Paris, London, 1854–1857 – Pisa, Ed. Plus, Pisa University Press, 2008 

lunedì 9 febbraio 2015

Cosimo Arcangelo De Giorgi e la prima carta geologica del Salento

di Fabiana Console
Ritratto di Cosimo De Giorgi
Con licenza Pubblico dominio
tramite Wikipedia 

Quello che rende peculiare un personaggio come Cosimo Arcangelo De Giorgi (1842-1922) è la sua poliedricità ed i suoi molteplici interessi che si svilupparono intorno alle scienze naturali a tutto tondo uniti al suo amore per il territorio salentino, sua terra di origine. Non si può infatti parlare di scienza e Salento di fine XIX secolo senza avere il suo nome, in decine di settori, sempre in primo piano.
Laureatosi in Medicina a Pisa nel 1864 e specializzatosi nel 1866 in Chirurgia a Firenze, nel 1867 ritornò a Lizzanello, suo paese natio in provincia di Lecce, per assistere la sua famiglia colpita da una grave epidemia di colera.
Ottenne l’insegnamento di Storia Naturale nella Scuola Tecnica-Normale di Lecce ed avviò una intensissima attività di studio dell’ambiente salentino con interessi che spaziarono dalla meteorologia alla sismologia, dalla geologia alla paleontologia, dall’archeologia alla storia locale, dall’agricoltura all’igiene.
Iniziò, tra il 1868 e il 1872, la raccolta sistematica delle osservazioni meteorologiche a Lecce e nel 1874 fondò l’Osservatorio Meteorologico, che diresse ininterrottamente fino quasi alla sua morte. All’Osservatorio collegò una rete di 30 stazioni termopluviometriche e altri tre Osservatori, dando vita alla Rete Termopluviometrica Salentina, un’istituzione che fece balzare la Provincia di Lecce ai primi posti in Italia nel settore.
Quello che in questo breve scritto – che non ha caratteristiche di esaustività - si vuole fare emergere è invece il Cosimo De Giorgi geologo e i suoi rapporti con il Comitato Geologico d'Italia, che in quegli anni iniziava i rilievi per il grande progetto della Carta Geologica d’Italia in scala 1:100.000, di cui non fece mai parte ma per la quale collaborò con alacrità ed impegno.

Nel 1877 il Direttore del R. Comitato Geologico, Pietro Zezi, gli chiese di portare a termine uno studio geologico e mineralogico sulla Basilicata e sulla provincia di Lecce poiché era necessario avere, di quelle zone d’Italia, almeno un abbozzo cartografico che si rendeva necessario per poter portare al Congresso Geologico Internazionale di Parigi del 1878 la prima Carta Geologica e Mineraria d’Italia alla scala 1:600.000. A dimostrazione di come un “giovane” Comitato Geologico nato da pochissimi anni e molto in ritardo rispetto al panorama europeo cercasse di recuperare, anche affidando a rilevatori esterni ma competenti, la mappatura del territorio italiano.
De Giorgi aveva infatti edito nel 1876 un volume dal titolo “Note geologiche sulla Provincia di Lecce” dimostrando ottime basi scientifiche e descrittive pur non essendo un geologo o un mineralogista.
Aveva avuto rapporti negli anni precedenti con Capellini con il quale aveva visitato Santa Maria di Leuca nel 1868 e aveva approfondito i suoi studi geologici con i saggi in terra salentina scritti da Brocchi, Mauget e Botti.
Questo volume era, nelle intenzioni dell’Autore, il primo di quattro della serie dedicata allo studio geologico della zona “Contribuzioni alla descrizione geologica dell’Italia”. Nel 1879 pubblicò, nella stessa serie, anche le Note geologiche sulla Basilicata.
Ci dice, infatti, nell’introduzione dedicata a Antonio Stoppani, che in questa prima parte ha solo dato:
…. un cenno generale sull’orografia, sulla litologia, sulla cronologia geologica e sulla idrografia del leccese.
Ha poi ampliato il quadro descrittivo “alle sole formazioni plioceniche […] che formano una buona metà del territorio di questa provincia” intendendo nei volumi successivi, mai editi, passare dalle “formazioni più antiche fino al Cretaceo, alle ricerche sulla idrografia, alle rocce e ai minerali industriali“.
Appena stampato il volume fu inviato al Comitato dallo stesso Autore.
Dal verbale dell'adunanza del R. Comitato Geologico del 28 gennaio 1877 leggiamo dell’incarico che venne dato al De Giorgi che nel 1887 completò i rilievi producendo una carta in più fogli della Basilicata e della Provincia di Lecce, rimasta inedita. Tale carta, su base topografica dell’Istituto Geografico Napoletano del 1874 alla scala di 1:250.000 rappresenta il primo abbozzo di carta geologica della zona che attualmente comprende Campania (Cilento), Puglia e Basilicata. Il foglio n.17 Cilento con nota manoscritta dell’Autore ci informa che tale zona è stata rilevata da aprile a giugno del 1881.

Carta geologica della provincia di Lecce, scala 1:400.000
Cosimo De Giorgi


La successione individuata e descritta da De Giorgi comprende una parte basale costituita da “calcari compatti scuri, coralliferi, con noduli di selce (Giuraliassico)”, ai quali fanno seguito due unità cretaciche: una di età Cretacico medio e inferiore “a sistema alpino” costituita da “calcari bianchi a rudiste e nerinee”; l'altra, di età Cretacico superiore, “a sistema appenninico”, costituita da arenarie grigie e conglomerati calcarei e granitici, scisti galestrini con selce, argille scagliose”.
Anche l'Eocene viene suddiviso nei due “sistemi” alpino (Eocene inferiore)  e appenninico (Eocene medio e superiore): nel primo caso si tratta di calcari bianchi o scuri, talvolta bituminosi, a foraminiferi; nel secondo si tratta di arenarie, scisti a fucoidi, scisti galestrini e calcari nerastri.
La successione mio-pliocenica continua con litologie simili alle cretaciche appenniniche: scisti argillosi e arenarie, seguite da argille sabbiose e turchine plioceniche.
Il Quaternario è costituito da “conglomerati a terrazzi elevati. Alluvioni antiche, brecce.” La successione quaternaria è chiusa da depositi “alluviali”: sabbie, ghiaie, argille dei corsi d'acqua attuali, travertini, sabbie marine e dune litoranee.
Tra i sedimenti miocenici, va ricordata la “Pietra leccese” (che sarà oggetto di un prossimo post), che de Giorgi descrive come un calcare argilloso e magnesifero, tenero, granulare, di struttura fine ed omogenea e di un colore paglierino. Fra i fossili nota la ricchezza in foraminiferi, in particolare di Globigerine, Orbuline, Nodosarie e Rotalie.

La carta geologica e mineraria della Provincia di Lecce fu pubblicata nel 1880 alla scala di 1:400.000 e l’anno seguente, con ancora molti rilievi da completare, l’Abbozzo della Carta geologica della Basilicata. Ricordiamo che nel 1881 a Bologna si tenne il 2° Congresso Geologico Internazionale nel quale l’Italia doveva dimostrare all’Europa geologica quanto fossimo in grado di produrre nonostante un Comitato Geologico nato da poco meno di un decennio.
Moltissimi i rapporti intercorsi tra Cosimo De Giorgi il R. Ufficio Geologico e molto fitta la corrispondenza e le relazioni (cfr. Boll. del R. Ufficio geologico, anni 1877-1922) che De Giorgi inviava a Roma per tenere aggiornati i colleghi. Dall’archivio del Servizio Geologico d’Italia, ancora da studiare approfonditamente, emerge un tesoro sotto forma di rapporti personali, consigli, solleciti e missive che indicano l’altissima stima che in quel periodo si aveva del nostro Autore.
Fu solo nel 1922 che De Giorgi, poco prima di morire, pubblicò la Descrizione geologica e idrografica della provincia di Lecce, con tavole e sezioni geologiche, opera che chiudeva il cerchio dei suoi studi geologici del territorio salentino.
Nota
La cartografia inedita descritta è conservata presso l’Archivio cartografico della Biblioteca ISPRA, già Biblioteca del Servizio Geologico d’Italia.


Bibliografia

  • Console F., Pantaloni M. (2014) - Gli albori della cartografia geologica italiana all’Esposizione Universale di Parigi del 1878. Bollettino Associazione Italiana di cartografia. 150/2014: 20-32.
  • Note geologiche sulla Provincia di Lecce pel Cosimo De Giorgi, Lecce: Tip. Garibaldi, 1876
  • Note geologiche sulla Basilicata pel Cosimo De Giorgi, Lecce: Tip. editrice Salentina, 1879
  • Boll. Serv. Geol. d'It., anno 1877, Verbale delle Adunanze.
  • Descrizione geologica e idrografica della provincia di Lecce: con tavole e sezioni geologiche di Cosimo De Giorgi, Lecce: R. tipografia ed. Salentina, fratelli Spacciante, 1922.