sabato 27 dicembre 2014

Dinosauri in Carne e Ossa - Scienza e Arte riportano alla vita i dominatori di un Mondo perduto

di Marco Romano
Riproduzioni in “carne e ossa” di Diplodocus (sulla destra)
e Allosaurus al Dipartimento di Scienze della Terra,
Università di Roma "La Sapienza"

I “Dinosauri in Carne e Ossa” sbarcano alla Sapienza ed è subito meraviglia. 
Meraviglia negli occhi dei passanti curiosi, che, per un attimo, dimenticano il tam tam quotidiano di un fagocitante lunedì pre-natalizio. Meraviglia nei volti di studenti e dipendenti dell’università, che, giunti ignari in Dipartimento, si trovano di fronte la presenza ingombrante dei bestioni del Giurassico, in tutta la loro maestosa bellezza. Il colpo d’occhio è da brivido, per qualche istante spariscono scadenze, esami da sostenere, lavori da chiudere, ultimi regali da acquistare. Si scattano centinaia di foto, i famosi “selfie” della generazione “social network”, si porta a casa un sorriso inaspettato e in tutti i volti traspare la stessa emozione: meraviglia.


Fedele ricostruzione di Spinosaurus aegyptiacus
presso il Giardino sperimentale
del Dipartimento di Biologia ambientale.
Meraviglia e curiosità: questo il binomio imprescindibile da cui scaturì la fontana vivace di dubbi e domande nel bambino di ieri; binomio che deve, o dovrebbe rappresentate, il motore genuino del ricercatore e scienziato di oggi. La stessa meraviglia e curiosità che ha portato un gruppo di artisti, artigiani e paleontologi italiani a concepire il progetto ambizioso e di successo “Dinosauri in Carne e Ossa - Scienza e Arte riportano alla vita i dominatori di un Mondo perduto” ospitato a partire dal 27 dicembre presso gli ambienti del museo di Paleontologia del Dipartimento di Scienze della terra e del Giardino sperimentale del Dipartimento di Biologia ambientale alla Sapienza, Università di Roma.


L’artista Antonio Massari alle prese con gli ultimi ritocchi
prima della grande inaugurazione dell’esposizione.


lunedì 22 dicembre 2014

Portasanta

di Marco Pantaloni

Nel periodo natalizio molti hanno la possibilità di vedere immagini riprese nella Basilica di San Pietro in Roma; pochi sanno, tuttavia, che gli stipiti della Porta Santa della stessa Basilica, così come quelle delle Porte Sante delle Basiliche di S. Paolo, di S. Maria Maggiore e di S. Giovanni in Laterano, sono realizzati con una particolare pietra ornamentale, il cui nome deriva proprio dall'uso in questa circostanza: la pietra usata si chiama, infatti Portasanta.


L'originario nome latino di questa bellissima pietra ornamentale era “Marmor chium” perchè derivava dalle cave presenti nell'isola di Chio, nel Mar Egeo oppure, erroneamente, “Marmor iassense”dalla città di Iasos, in Asia minore. Si trovano anche indicazioni sull'uso del nome Pietra Claudiana perché era la preferita dall'imperatore Claudio Tiberio.
I Romani usarono il Portasanta, per la prima volta, per la pavimentazione della basilica degli Horti di Cesare e, in seguito, nella Basilica Emilia, nella Basilica Giulia e nel Tempio della Concordia, a Roma, oltre che nel Teatro di Pompei.

Il Portasanta è una roccia sedimentaria clastica di origine tettonica a composizione prevalentemente dolomitica. Contiene resti fossili, difficilmente riconoscibili; il giacimento dell'isola di Chio sarebbe da riferire a rocce calcareo-dolomitiche triassiche. Si tratta di una breccia, caratterizzata da un aspetto estremamente variabile; è caratterizzato da una base rosata, venature dal rosso al rosso-bruno, con clasti giallo-arancio, bruni, grigi, di forma variabile e dimensioni da millimetriche a centimetriche. I clasti sono separati da venature biancastre o rosse, larghe pochi millimetri, aventi andamento sinuoso e talora disposizione intrecciata (fonte ISPRA).

L'eterogeneità di questa pietra ornamentale ha dato luogo a numerose varietà di diverso aspetto: il "Portasanta brecciato pavonazzo" dalle macchie rosso-violacee; il "Portasanta lumacato" con fondo rosso-violaceo e macchie biancastre (resti fossili) di forma tondeggiante e dimensioni millimetriche; il "Portasanta bigio" con una brecciatura meno evidente, con un fondo di colore grigio piuttosto uniforme e venature giallo-brunastre larghe pochi millimetri.
Un'altra varietà dello stesso litotipo è il cosiddetto Portasanta Fallani, il cui nome deriva dalla famiglia proprietaria delle cave di Caldana, frazione di Gavorrano in provincia di Grosseto, sulle ultime propaggini delle Colline metallifere. Questa varietà, più chiara e rosata rispetto al litotipo classico, è stata estratta fino al 1970. Si tratta di un prezioso materiale dal quale, grazie alla compattezza dei blocchi estratti, era possibile ricavare colonne monolitiche anche di grandi dimensioni, come dimostrano le splendide colonne all'interno del Vittoriano o del palazzo di Montecitorio.

Il Portasanta fu uno dei marmi colorati più usati nella Roma imperiale, a partire dalla fine del I sec. a.C. Il suo impiego raggiunse il massimo sviluppo agli inizi del II sec. d.C., sotto l'imperatore Traiano. Venne riutilizzato fino al XVII secolo, per la realizzazione di colonne e lastre di rivestimento. E' stato usato durante il Rinascimento anche in Toscana per la costruzione di importanti monumenti come, ad esempio, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, il Duomo di Siena e la Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri a Pisa.
Gli impieghi di questo litotipo sono per la realizzazione di colonne, trapezofori e basamenti, ma anche di rivestimenti , elementi ornamentali e statuaria di piccole dimensioni.

Il museo dell'ISPRA, nella prestigiosa collezione Pescetto appartenente alle collezioni litomineralogiche, conserva tre esemplari di questa roccia ornamentale, provenienti dagli scavi di Roma antica; di questi il campione 261.D è della varietà "Portasanta della Madonna dell'Orto" mentre il campione 263.D è della varietà "Portasanta bigio", e proviene dalle Terme di Caracalla.



Per chi, in visita a Roma, volesse vedere questo splendido litotipo, può osservarlo anche nelle vasche delle fontane laterali di Piazza Navona, in una parte della vasca della fontana di Piazza Colonna, nelle colonne degli altari di S. Sebastiano e della Presentazione nella Basilica Vaticana e in una coppia di colonne della navata a S. Agnese fuori le mura. Anche nella Villa Adriana a Tivoli è impiegato diffusamente in tarsie pavimentali e in alcune colonne.




Per saperne di più:

giovedì 4 dicembre 2014

La santa protettrice dei Geologi: Santa Barbara benedetta, liberaci dal tuono e dalla saetta


Un'immagine di Santa Barbara
 tratta dalla rivista
Mineria y Metalurgia del 1941
di Fabiana Console

In tutto il mondo, oggi si festeggia Santa Barbara, protettrice della Marina Militare e dei Vigili del Fuoco, ma anche dei geologi, dei montanari, dei lavoratori nelle attività minerarie e petrolifere, degli architetti, dei cantonieri, degli artisti sommersi e dei campanari, nonché custode delle armi di artiglieria di torri e fortezze.

La Santa nacque tra il 271 ed il 272 d.C., a Nicomedia di Bitinia, nell’Asia Minore; visse e subì il martirio per aver perseguito la fede cristiana tanto che il 4 dicembre dell’anno 290 venne condannata a morte mediante decapitazione ed il padre, in preda ad una vera e propria frenesia giustizialista, si offrì quale carnefice.

Peggio per lui! Non l'avesse mai fatto! Mentre usciva dalla torre (dove Barbara era stata rinchiusa) e faceva ritorno a casa dopo aver ucciso la figlia, un fulmine a ciel sereno – le cronache riportano essere una assolatissima giornata dicembrina - lo colpì, facendolo diventare cenere.

Quel "fulmine" improvviso e meteorologicamente immotivato ha ispirato il patronato della Santa contro i fulmini e le saette.

Fu seppellita in una zona compresa tra i territori che oggi fanno parte dei comuni di Scandriglia, nella provincia di Rieti, e Montorio Romano, nella provincia di Roma.

Secondo una tradizione locale di Rieti, il corpo di Santa Barbara si trova custodito in una cappella della cattedrale.

Dopo la scoperta della polvere da sparo, che riuniva in sé la potenza del lampo e quella del fulmine, Barbara, che secondo la leggenda non aveva mai toccato un'arma in vita sua, divenne anche la patrona dei Lanzichenecchi, che portavano gli archibugi, dei minatori e di tutte le categorie che avevano a che fare quotidianamente con polveri esplosive e munizioni.

Santa Barbara, ha anche dato il nome al deposito di munizioni sulle navi, che infatti si chiama il "santabarbara"!

Successivamente la popolare santa divenne la patrona dei Vigili del Fuoco che continuano a festeggiarla indisturbati, nonostante dal 1970 la Chiesa ha cancellato dal calendario liturgico romano la festività universale di santa Barbara.

Patrona della Città di Rieti, di particolare suggestione è infatti la tradizionale processione sulle acque del Fiume Velino, che attraversa la città; durante la festa la statua di Santa Barbara viene trasportata da un’imbarcazione del comando dei Vigili del Fuoco, mentre la cittadinanza raccolta assiste dalle sponde del fiume.

Nella cultura tradizionale e popolare delle miniere è consuetudine  rivolgersi a Santa Barbara recitando la seguente preghiera: "Santa Barbara benedetta, liberaci dal tuono e dalla saetta". Per decisione di Enrico Mattei, suo devoto, a lei è stata dedicata la grande chiesa costruita a Milano nel quartier generale del gruppo ENI (Metanopoli).


Dimenticavo….


Auguri alle oltre 30.000 italiane che si chiamano Barbara e a tutti i geologi che dei “fulmini a ciel sereno” non hanno mai paura.