Fig. 1 - Ponte Gobbo, uno dei simboli di Bobbio
(opera di origine romana,
dalle tipiche arcate irregolari)
|
La
valle del Fiume Trebbia, nel piacentino, costituisce un luogo di
importanza unica nella storia dell'umanità e delle geoscienze,
fatalmente incardinata sulla cittadina di Bobbio.
Bobbio
deve la sua gloria innanzitutto a San
Colombano
e all'Abbazia da lui fondata nel 614, esattamente 1400 anni fa, poco
prima della sua morte.
Furono
i regnanti longobardi Teodolinda e Agilulfo ad affidare al monaco
irlandese Colombano quest'area produttiva, dove abbondavano acque
correnti (quindi pesci e mulini per le macine) e terre da coltivare
(soprattutto per vino, olio e farina di castagne), adatte anche
all'allevamento del bestiame, specialmente di ovini, preziosi per la
realizzazione della pergamena. La zona era anche nota, sin dai tempi
dei Romani, per le sorgenti termominerali, utilizzate per la
produzione di sale e per uso terapeutico, attività ben presto
assunte tra le occupazioni dei monaci.
La
scelta del luogo non fu casuale e si rivelò strategica dal punto di
vista politico, religioso e culturale.
L'abbazia,
facendo leva sulla sua biblioteca/scriptorium,
divenne un punto nevralgico delle scuole monastiche sparse
nell'occidente allora conosciuto. Il feudo monastico di Bobbio si
estendeva verso le attuali Toscana, Liguria, Lombardia e Piemonte, e
comprendeva altri possedimenti sparsi in tutta Italia, con una flotta
di imbarcazioni che collegavano, attraverso i mari, i fiumi e i laghi
alpini, vaste aree del settentrione italiano. Lungo gli itinerari
noti ai monaci si diffusero numerosi monasteri, anche in Europa,
collegati da tante strade che divennero vie di pellegrinaggio e di
scambio, dando impulso alla costruzione di castelli e fortificazioni.
Colombano,
in virtù delle radici educative celtiche e al contempo cristiane, se
da un lato, in forza della sua convinta conversione, assunse una
propria rigida regola monastica (poi progressivamente sostituita da
quella benedettina), seppe tuttavia anche intuire le necessità di
apertura (potremmo dire di globalizzazione, in termini relativi)
verso un futuro all'epoca tutt'altro che definito. Basti pensare che
alla produzione di codici di argomento religioso si affiancava la
copiatura di testi antichi sui più svariati argomenti, storici,
artistici e scientifici, la cui divulgazione capillare nel territorio
europeo contribuiva tra l'altro a diffondere la lingua latina e a
tramandare le indimenticate tradizioni celtiche (1),
in linea con un'idea-chiave del monaco irlandese, ovvero l'elevazione
della dignità umana attraverso l'istruzione, per ciò aperta anche
ai laici.
A
Colombano si attribuisce pure la modernizzazione del sacramento della
confessione e della penitenza, in forma privata anziché pubblica,
nonché la prima citazione del termine Europa
(«totius
Europae»,
di tutta l'Europa),
contenuta in una lettera indirizzata al papa Gregorio Magno, in cui
auspicava l'unione dei popoli in una sola comunità cristiana.
Simbolo
iconografico del Santo è la colomba bianca, spesso raffigurata sulla
sua spalla e legata al suo nome, nonché a svariate leggende, da cui
si ritiene tragga origine anche il tradizionale dolce pasquale
italiano.
Fig. 2 – Immagine di San Colombano,
dalla vetrata della cripta che ospita la sua tomba, a Bobbio. |
Facendo
un salto di svariati secoli, arriviamo al '900, quando Bobbio torna
al centro dell'attenzione, stavolta della comunità scientifica,
italiana e straniera.
Si
erano già consumate, nei secoli addietro, le dispute tra le diverse
scuole di pensiero di impronta filosofico-religiosa e scientifica
sull'origine ed evoluzione della terra e sulla conoscenza delle
rocce, finalmente viste quali testimoni dello svolgersi del tempo (di
un tempo sempre più dilatato) e del tramutarsi dello spazio
conosciuto. Una volta superati gli scogli etici e grazie alle
scoperte che andavano sviluppandosi sui diversi fenomeni naturali e
sul modo di servirsene per i più diversi scopi, furono possibili
notevoli avanzamenti nel campo delle scienze.
Tuttavia,
rimanevano diverse conquiste da compiere all'inizio del secolo, quasi
scontate per noi oggi ma non banali per l'epoca.
Per
quanto ci riguarda era ancora in atto, ad esempio, relativamente alla
formazione dell'Appennino Settentrionale, una contrapposizione
particolarmente accesa tra le concezioni autoctoniste
e quelle alloctoniste.
La quasi totalità dei geoscienziati italiani, autoctonista,
assisteva diffidente alle ipotesi faldiste di quelli stranieri, di
formazione alpina. Si narra che i primi outsider italiani furono
osteggiati dal Regio Comitato Geologico che rifiutò i loro lavori,
ancorché pubblicati sul Bollettino della Società Geologica (eravamo
intorno al 1930 e la teoria della deriva dei continenti era appena
maggiorenne).
Ma
le teorie faldiste divennero ben presto irrinunciabili, prendendo
forma anche in Appennino, come dimostra la definizione, nel 1929,
della Finestra
di Bobbio,
che potremmo considerare un inizio della resa allo schema
interpretativo basato sulla sovrapposizione di terreni
stratigraficamente disgiunti.
Ciononostante,
in un primo tempo, i meccanismi di dislocazione erano ancora
sottovalutati e prevalentemente attribuiti a fenomeni per lo più
gravitativi a grande scala (si parlava di frane orogenetiche, cunei
composti, intrusioni diapiriche, ecc.). Il concetto di falde di
ricoprimento si affermò solo alla fine degli anni '50, quando si
riconobbe definitivamente nella tettonica
il motore delle traslazioni, di entità finalmente ampia e
sufficiente a mettere in relazione anche l'evoluzione alpina con
quella appenninica.
Ancora
una volta, le evidenze emiliane si rivelarono strategiche per
supportare le nuove concezioni. La Finestra di Bobbio, in
particolare, conobbe una vera e propria esplosione della ricerca
stratigrafica e strutturale negli anni '60 e '70. Gli elementi di
osservazione spaziavano su più temi e su diverse scale (quelle
massime e minime possibili per le cognizioni del tempo).
Per
giunta, si era da poco sviluppata l'idea delle risedimentazioni ad
opera di correnti di torbida sottomarine, le cosiddette torbiditi,
che vennero riconosciute e studiate in maniera pionieristica proprio
nel cuore della Finestra. Fu lì che nacque, infatti, una vera e
propria scuola interpretativa delle successioni torbiditiche, che
spaziava dall'individuazione del singolo evento (l'accoppiata
arenaria-argilla, riconosciuta come prodotto di un unico franamento
subacqueo e utilizzata per definire l'unità stratigrafica più
elementare, lo strato, ciò che potrebbe considerarsi il bit della
stratigrafia del XX secolo) al concetto di sequenza, dall'analisi di
facies al modello geologico, con
la definizione di classificazioni e modelli di notevole interesse
accademico, ed anche economico, per le ampie applicazioni nella
ricerca degli idrocarburi.
Le
torbiditi rappresentano grandi
volumi di sedimenti trasportati per lunghe distanze, spesso associati
a fasi di intensa deformazione o comunque legati a eventi
catastrofici, come sismi e poderose alluvioni. In
più, dalle loro caratteristiche, di spessore, composizione
mineralogica, orientamento delle paleocorrenti, ecc., si possono
ricavare informazioni impareggiabili sulle evoluzioni bacinali e,
quindi, paleogeografiche di una determinata area.
Fig. 3 – Torbiditi della Formazione di Bobbio (Arenarie di San Salvatore Auctt.).
(da osservare: strati in sezione a diverse scale, con livello a slump indicato dalla freccia gialla; basi di strato con strutture da carico e da trascinamento; porzioni sommitali di strato con increspature e bioturbazioni)
Ma
che cos'è esattamente la Finestra di Bobbio?
Una
finestra tettonica costituisce un affaccio sul substrato sovrascorso,
normalmente nascosto.
Si
tratta, in questo caso, dell'evidenza in affioramento della
sovrapposizione
delle Unità Liguri sulle Unità Subliguri, a loro volta sovrapposte
alle Unità Toscane,
ovvero delle tre principali unità tettoniche dell'Appennino
Settentrionale. Unità geneticamente differenti,
impilate, dopo un trasferimento di centinaia di chilometri, per
effetto della convergenza tra la placca iberico-europea
e quella adriatico-africana,
dapprima separate da un oceano e
poi coinvolte nelle deformazioni compressive, in profondità con la
subduzione di una placca sotto l'altra e in superficie con la
costruzione dell'edificio appenninico.
Al tetto le unità più vecchie (fino
almeno al Cretacico) ospitano le vestigia di quell'antico oceano,
mentre le unità sottostanti, originate, nelle loro componenti più
giovani, in tempi molto più recenti (fino al Miocene),
rappresentano la cospicua sedimentazione di avanfossa torbiditica,
associata ai margini continentali della placca adriatica in
sottoscorrimento.
Questa
e altre poche Finestre
emiliane
(vedi figura seguente)
rivelano dunque che le Unità Toscane, estesamente affioranti
nell'Appennino toscano e umbro-marchigiano, si prolungano al di sotto
delle Unità Liguri, superando
il “nodo” delle Alpi Apuane.
Fig. 4 – Schema 3D dell'Appennino Settentrionale (Canetolo sta per Subligure)
(Elter 1994, da Itinerari geologico-ambientali nella Val Trebbia della Regione Emilia-Romagna, op. cit.)
|
Ulteriori
scoperte
riguardanti queste aree si sono rivelate assai preziose nella
ricostruzione degli eventi passati.
In
primo luogo, nelle giovani arenarie toscane affioranti al nucleo
della Finestra (costituite da uno spessore complessivo di circa 1000
m) è stata riscontrata la presenza di rocce
metamorfiche di provenienza alpina, prova
che
nel Miocene l'apparato alpino era già formato, emerso e in forte
erosione, tanto da rifornire i profondi bacini marini del dominio
appenninico.
Informazioni
altrettanto importanti sono state dedotte dalle analisi sulle
torbiditi subliguri (in posizione cronologica e paleogeografica
intermedia tra le unità toscane e liguri) affioranti nella valle del
Torrente Aveto, tributario del Trebbia a monte di Bobbio. La
composizione andesitica di queste arenarie, di colore tipicamente
verde, rimanda agli
archi magmatici connessi alle zone di subduzione, a conferma dei
processi ancora attivi durante l'Oligocene.
Ancora,
le sorgenti termominerali testimoniano la presenza di fluidi (nei
serbatoi arenacei delle torbiditi) in condizioni prossime a quelle
connate o comunque fortemente influenzate dalle vicende di sepoltura
e successivo sollevamento.
Occorre
infine rendere omaggio al gioiello paesaggistico dei meandri
incassati,
unico nel suo genere, almeno per quanto riguarda le nostre montagne,
e strettamente legato alla presenza della Finestra.
Si
ritiene infatti che le arenarie presenti al nucleo della Finestra
siano state portate alla luce da due fattori concomitanti: un alto
strutturale del Dominio Toscano e una forte erosione di fondo operata
dal Trebbia nel corso degli ultimi millenni (a partire dal
Pleistocene iniziale, si stima). L'importanza del fenomeno si
manifesta in tutta evidenza a monte di Bobbio, dove, per diversi
chilometri (lungo il Trebbia e lungo l'Aveto), profonde incisioni
meandriformi solcano la dura arenaria. Un andamento sinuoso che
normalmente si sviluppa su terreni pianeggianti (come nell'attuale
Po, ad esempio proprio in corrispondenza del capoluogo provinciale) e
che in questo tratto del Trebbia ha potuto in passato formarsi e poi
conservarsi, proprio grazie all'elevata resistenza delle arenarie,
fornendo interessanti indizi circa l'evoluzione
idrografico-geomorfologica e quindi geologica dell'area.
Fig. 6 – Meandri del Po e meandri del Trebbia(freccia gialla: punto di scatto dell'immagine successiva)(da Google Earth) |
Fig. 7 – Un meandro del Trebbia |
(1) La
diffusione della cultura
celtica
da parte dei missionari irlandesi, vista dal fronte delle conoscenze
storiche, ha il sapore di un bizzarro recupero di echi mai del tutto
spenti in questi territori.
Infatti, nei secoli a.C., queste come altre aree furono abitate da gruppi tribali celtici, poi massicciamente spiazzati (tramite processi di assimilazione, sottomissione o anche espulsione) dalle genti di origine greca e romana, che imposero la loro cultura nel continente europeo, tanto più in quello mediterraneo.Secondo alcuni studiosi, lo stesso nome di Bobbio potrebbe derivare da Boi, gruppo celtico di origine boema che si stabilizzò in Emilia attorno al III-II sec. a.C..Non dimentichiamo, poi, che le presenze celtiche in questa zona sono riferite dalle cronache storiche in relazione alla battaglia del Trebbia, episodio della seconda guerra romano-punica in cui si dimostrò chiaramente l'atteggiamento delle diverse tribù locali, sempre pronte a rifornire i campi di battaglia di contingenti forti e spietati, ma ripetutamente in bilico tra i diversi schieramenti, in questo caso di Roma e Cartagine, per godere dei favori del vincitore. La battaglia fu combattuta nel dicembre del 218 a.C. a valle di Bobbio, sugli ampi terrazzi alluvionali del fiume, quando l'esercito di Annibale, composto da uomini ed elefanti, attraversate le Alpi dalla Spagna giunse nella pianura padana decimato, ma poi significativamente rafforzato in loco dalle popolazioni celtiche, arrivando a sconfiggere le truppe alla guida dei consoli romani (anch'esse peraltro affiancate da Celti), i cui sopravvissuti si ritirarono nelle colonie di Piacenza e Cremona. Via via, però, con l'avanzare della potenza romana, i vari gruppi celtici residui si arresero ricevendo dignità di colonie latine.I secoli che seguirono, con la decadenza dell'Impero Romano, indebolito dalle invasioni barbariche, trasformarono l'Europa in una terra che appariva, agli occhi delle gerarchie religiose dell'epoca di Colombano, in gran parte germanizzata e scristianizzata. Dell'antica presenza celtica (lontana ma molto duratura) permanevano tracce significative, nei toponimi, nei tipi fisici, nelle tradizioni popolari, senza contare che al mondo celtico avevano pure attinto, per altra via, gli stessi popoli classico-mediterranei o germanici.
Infatti, nei secoli a.C., queste come altre aree furono abitate da gruppi tribali celtici, poi massicciamente spiazzati (tramite processi di assimilazione, sottomissione o anche espulsione) dalle genti di origine greca e romana, che imposero la loro cultura nel continente europeo, tanto più in quello mediterraneo.Secondo alcuni studiosi, lo stesso nome di Bobbio potrebbe derivare da Boi, gruppo celtico di origine boema che si stabilizzò in Emilia attorno al III-II sec. a.C..Non dimentichiamo, poi, che le presenze celtiche in questa zona sono riferite dalle cronache storiche in relazione alla battaglia del Trebbia, episodio della seconda guerra romano-punica in cui si dimostrò chiaramente l'atteggiamento delle diverse tribù locali, sempre pronte a rifornire i campi di battaglia di contingenti forti e spietati, ma ripetutamente in bilico tra i diversi schieramenti, in questo caso di Roma e Cartagine, per godere dei favori del vincitore. La battaglia fu combattuta nel dicembre del 218 a.C. a valle di Bobbio, sugli ampi terrazzi alluvionali del fiume, quando l'esercito di Annibale, composto da uomini ed elefanti, attraversate le Alpi dalla Spagna giunse nella pianura padana decimato, ma poi significativamente rafforzato in loco dalle popolazioni celtiche, arrivando a sconfiggere le truppe alla guida dei consoli romani (anch'esse peraltro affiancate da Celti), i cui sopravvissuti si ritirarono nelle colonie di Piacenza e Cremona. Via via, però, con l'avanzare della potenza romana, i vari gruppi celtici residui si arresero ricevendo dignità di colonie latine.I secoli che seguirono, con la decadenza dell'Impero Romano, indebolito dalle invasioni barbariche, trasformarono l'Europa in una terra che appariva, agli occhi delle gerarchie religiose dell'epoca di Colombano, in gran parte germanizzata e scristianizzata. Dell'antica presenza celtica (lontana ma molto duratura) permanevano tracce significative, nei toponimi, nei tipi fisici, nelle tradizioni popolari, senza contare che al mondo celtico avevano pure attinto, per altra via, gli stessi popoli classico-mediterranei o germanici.
Per
saperne di più:
- Ludwig O. (1929), Geologische Untersuchungen in der Gegend von Bobbio im Nord Apennin, Geologische Rundschau, Vol. 20, Issue 1, pp. 36-65.
- Kuenen Ph.H. e Migliorini C.I. (1950), Turbidity currents as a cause of graded bedding, Journal of Geology, Vol. 58, pp. 91–127.
- Bouma A.H. (1962), Sedimentology of some flysch deposits, a graphic approach to facies interpretation, Elsevier, Amsterdam, 168 pp.
- Campbell C.V. (1967), Lamina, laminaset, bed and bedset, Sedimentology, Vol. 8, pp. 7-26.
- Mutti E. e Ghibaudo G. (1972), Un esempio di torbiditi di conoide sottomarina esterna: le Arenarie di San Salvatore (Formazione di Bobbio, Miocene) nell'Appennino di Piacenza, Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, Serie 4, n. 16, pp. 1-40.
- Mutti E. e Ricci Lucchi F. (1972), Le torbiditi dell'Appennino settentrionale: introduzione all'analisi di facies, Memorie Società Geologica Italiana, Vol. 11, pp. 161-199.
- Mutti E., Bernoulli D., Ricci Lucchi F. e Tinterri R. (2009), Turbidites and turbidity currents from Alpine ‘flysch’ to the exploration of continental margins, Sedimentology, 56, pp. 267–318 (e relativa bibliografia riepilogativa).
- Ogata K., Pini G.A., Carè D., Zélic M. e Dellisanti F. (2012), Progressive development of block-in-matrix fabric in a shale-dominated shear zone: Insights from the Bobbio Tectonic Window (Northern Apennines, Italy), Tectonics, 31, TC1003, 21pp (e relativa bibliografia riepilogativa).
- Servizio Geologico d'Italia, Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000, con Note Illustrative, Foglio 197 Bobbio (1999).
- Servizio Geologico d'Italia, Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000, con Note Illustrative, Foglio 179 Ponte dell'Olio (2005).
- Regione Emilia-Romagna, Itinerari geologico-ambientali nella Val Trebbia, scala 1:30.000 (2002).
- http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/divulgazione/link/val-trebbia (descrizione dell'itinerario geologico-ambientale della Val Trebbia)
- I Celti, Guida alla mostra in Palazzo Grassi, Venezia, testi a cura di Arslan E. e Kruta V. (1991).
- http://www.amicidisancolombano.it/ o https://it-it.facebook.com/AmiciSanColombano (associazione culturale in memoria di Colombano)
- http://www.ilnotiziariobobbiese.net (attualità e passato del bobbiese)
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