mercoledì 27 agosto 2014

Alla ricerca delle pietre verdi

di Giovanna Baiguera


 Fig. 1 – Pietre verdi (Appennino Settentrionale).
Tra i lasciti del Prof. Anelli dell'Università di Parma è stato rinvenuto un volumetto di Federico Sacco, con dedica autografata in copertina, dal titolo «I problemi delle formazioni ofiolitifere delle Alpi e dell'Appennino», pubblicato nel 1934 per estratto dal Bollettino del Regio Ufficio geologico d'Italia.

Dal titolo e dall'indice si può già intuire l'ambizione di questo lavoro, che non tradisce le attese.

Nella consueta veste dell'articolo scientifico, con tanto di abstract in italiano e in latino, si cela infatti un album dei ricordi di quel periodo geoscientifico (di 80 anni fa), nonché una sorta di testamento professionale dell'autore, come egli stesso velatamente annuncia nella parte introduttiva (aveva 70 anni all'epoca e morì 15 anni dopo).

Alcuni selezionati passaggi (dove si è scelto di omettere la gran parte delle ripetizioni e dei termini relativi a fossili, minerali e rocce, unità geologiche, località, autori e loro articoli, pure presenti in gran quantità) permettono di cogliere il valore di quest'opera e stimolare qualche interessante riflessione.

Un box in coda ripercorre le nozioni principali oggi riconducibili alla voce ofioliti.
 
Fig. 2 – Copertina.

lunedì 18 agosto 2014

L’Arcomagno a San Nicola Arcella (CS)

di Anna Rosa Scalise


Il tratto di costa della Riviera dei cedri, tra Praia a Mare e Scalea, nell’Alto Tirreno cosentino, è rinomato per l’indubbio fascino: il mare cristallino ha un colore tra il turchese e l’azzurro, i fondali degradanti sono un incantevole scenario per gli appassionati di sub, la costa è alta fino a circa un centinaio di metri ed è caratterizzata da pareti rocciose immergenti verso il mare con inclinazioni che a volte raggiungono i 90°.

Lo scrittore statunitense, Lord Francis Marion Crawford (1984 - 1909) in viaggio con la moglie e con un marinaio per esplorare le coste del sud dell’Italia si innamorò di questo luogo. Durante il soggiorno nella Torre saracena, posta sulla baia, ancora oggi esistente, ammirava il paesaggio e traeva ispirazione per i suoi racconti, alcuni dei quali erano ambientati nelle vie del borgo di San Nicola Arcella che si affaccia proprio in questo tratto di costa.
La linea di costa di quest’area è sottoposta a lenti, ma continui, processi di modellamento per l’azione di erosione e di trasporto operata dai vari movimenti del mare, soprattutto dalle onde e dalle correnti che, quando il mare è in burrasca, possiedono una forza d’urto enorme. La loro violenza distruttrice è accresciuta dalla notevole quantità di detriti, anche grossolani, che esse sollevano e scagliano contro la costa.

Evoluzione della costa alta è il risultato dell’interazione nel tempo delle variazioni del livello del mare che avvengono sia a breve termine con le maree e il moto ondoso, sia a lungo termine con le oscillazioni glacio-eustatiche e i movimenti verticali della costa per cause geodinamiche.
Sollevamenti e basculamenti più o meno marcati si sono verificati da 3 milioni a 20.000 anni fa influenzando la dinamica della fascia costiera della Calabria settentrionale tirrenica e della catena retrostante.




L’intensità dell’erosione marina, ovviamente, non dipende soltanto dall’energia del moto ondoso e dalle variazioni del livello del mare, ma anche dalla struttura della roccia e dalla sua composizione.
Le rocce carbonatiche che affiorano in quest’area, ricadente nel Foglio geologico 220 Verbicaro della Carta geologica d’Italia, in scala 1:100.000 del Servizio Geologico d’Italia – ISPRA, si prestano con maggiore facilità all’erosione marina; esse sono costituite da dolomie grigiastre, stratificate e fratturate, a volte anche massive, e da calcari dolomitici con intercalazioni di conglomerati e argilliti.
Le fratture favoriscono l’erosione sia chimica che meccanica del mare, le acque che si infiltrano tra le fratture e le crepe degli strati le allargano progressivamente. L’acqua, spinta violentemente al loro interno, comprime l’aria presente e, quando si ritira, ne determina una rapida espansione. L’alternarsi dell’effetto della compressione e della decompressione operata dall’aria, allarga le fratture fino a formare nel tempo grotte marine ed altre cavità.

L’abrasione marina si verifica soprattutto nella zona compresa tra i livelli di alta e di bassa marea, dove il costante martellamento del moto ondoso scava un’incisione orizzontale, detta solco di battente o di battigia, a volte marcato, specialmente in rocce carbonatiche con particolari caratteristiche strutturali. Con il passare del tempo il solco si sviluppa in un incavo sempre più profondo che con il variare del livello del mare, si amplia fino ad assumere altezze di decine di metri.
Il promontorio che caratterizza questo luogo è interessato da grotte multiple, scogli e isolotti che sono il prodotto dei vari stadi evolutivi di una costa alta, l’erosione che origina le grotte a volte, riesce a perforare dall’uno all’altro lato del promontorio fino a creare un arco naturale.



L’arco naturale che si è originato sul promontorio di San Nicola Arcella dà l’accesso ad una piccola spiaggia e attribuisce il nome alla località Arcomagno.
Lo scenario che si presenta è incantevole, spiaggia silenziosa, nascosta e isolata, dove la cornice dell’Arcomagno apre l’unica finestra sul mare; in questo luogo sgorga una sorgente sottomarina di acqua dolce, ricca in anidride carbonica, che rende l’acqua del mare frizzante e più fredda.

Le dimensioni dell’arco consentono alle piccole imbarcazioni di raggiungere la spiaggia direttamente dal mare, ma il luogo è raggiungibile anche a piedi attraverso un ripido sentiero a ridosso della spiaggia. Lungo questo sentiero è possibile ammirare la bellissima costiera tra cui anche l’Isola di Dino e la vicina Praia a Mare.



Per saperne di più:

AA.VV. (1986) - Carta Neotettonica d’Italia, con nota illustrativa. CNR, P. F. Geodinamica.
Carobene L. (1972) - Osservazioni sui solchi di battente attuali ed antichi nel Golfo di Orosei in Sardegna. Boll. Soc. Geol. It., vol XCI, fasc.3. p.583- 601.
Castiglioni G.B. (1982)- Geomorfologia. Cap.XIII - Morfologia costiera. Ed. UTET. Torino: p. 329-374.
Servizio Geologico d'Italia - Foglio geologico 220 Verbicaro della Carta Geologica d’Italia in scala 1:100.000.

martedì 12 agosto 2014

La laguna di Orbetello (GR)

di Marco Pantaloni
La laguna di Orbetello e il Monte Argentario


Il promontorio di Monte Argentario raggiunge i 635 m s.l.m. ed è unito alla costa toscana da due barre di sabbia (tomboli) che danno luogo alla laguna di Orbetello, la più importante laguna continentale lungo la costa tirrenica.
Una terza barra di sabbia mediana si diparte dalla costa, ma non raggiunge il promontorio di Monte Argentario; su di essa si sviluppa la città di Orbetello, proprio al centro della laguna.

La laguna di Orbetello ha una superficie di 27 kmq, è divisa in due bacini comunicanti, noti come bacino di Ponente e di Levante; hanno una profondità media di circa 1 m ed una profondità massima di 2 m. La comunicazione tra i due bacini è garantita dalle varie aperture nel ponte (Diga Leopoldiana) che collega Orbetello con il promontorio.

La barra sabbiosa di Orbetello e la Diga Leopoldiana
(foto mp)
Ciascun bacino comunica con il mare: il bacino di Ponente è collegato attraverso il canale artificiale Nassa, posto nella parte sud del tombolo nei pressi di S. Liberata, e dal canale Fibbia, a nord; il bacino di Levante è collegato al mare dal taglio artificiale Ansedonia. Di un quarto canale, il Pertuso nel bacino di Levante, venne pianificata l’esecuzione e iniziati i lavori di scavo, che però non furono mai completati.

La barra di sabbia a nord, il tombolo della Giannella, è considerato parte del delta del fiume Albegna; sviluppa una curvatura pronunciata che rende il suo orientamento circa meridiano. La sua larghezza diminuisce da circa 750 fino a 350 m procedendo dalla foce del fiume Albegna fino al promontorio di Monte Argentario.
La formazione del tombolo della Giannella è causata dell'azione delle correnti marine costiere dirette verso sud, che hanno ridistribuito i detriti solidi del fiume Albegna.
Il tombolo della Giannella
(foto mp)
Il tombolo della Feniglia, a sud, è più ampio di quello settentrionale; comincia appena a nord della capo Torre di S. Pancrazio e raggiunge il promontorio dell'Argentario, inizialmente con direzione EW e, dopo aver raggiunto la sua massima ampiezza (circa 1000 m), con direzione WSW collega il promontorio roccioso chiamato Pertuso.
La linea di riva del tombolo della Feniglia ha una maggiore curvatura nel suo lato convesso, che si affaccia sulla laguna, rispetto al lato concavo rivolto verso il mare. Il tombolo della Feniglia è formato da una serie di dune parallele, formate dalla sabbia accumulata nella direzione dei venti predominanti meridionali.

Il tombolo della Feniglia
(foto mp)
La posizione del Monte Argentario, che era un'isola di fronte alla costa toscana (fig. A), ha causato la diffrazione delle onde che, aggirando l'ostacolo, hanno rielaborato i sedimenti trasportati dal fiume Albegna dando origine alla barra di sabbia mediana (fig. B). La nascita di questa lingua sabbiosa contribuì alla formazione dei due tomboli laterali che, successivamente, impedirono lo sviluppo completo della barra di sabbia mediana (fig. C).

Fig. A

Fig. B

Fig. C

Fino alla fine del 1700, la Feniglia era completamente ricoperta da boschi, con una prevalenza di specie tipiche della flora mediterranea. Nel 1804 il comune di Orbetello, in quel periodo proprietario del terreno, ha proceduto con la vendita di Feniglia a privati che hanno iniziato lo sfruttamento intensivo a pascoli e legname. Questa tipologia di uso del territorio ha portato quindi alla rapida deforestazione: la scomparsa della vegetazione dunare portò infatti ad un rapido processo di erosione dovuti principalmente agli agenti esogeni e all'attività antropica.
Infatti, sotto l'influenza del libeccio, la sabbia delle dune cominciò a muoversi dal mare verso la laguna creando stagni e paludi e causando interramenti, condizioni favorevoli allo sviluppo della malaria. In quel periodo la laguna, grazie alla pesca, era una risorsa primaria per la città di Orbetello. Per risolvere il problema dell’interramento della laguna vennero avviate attività per la costruzione dei canali di collegamento tra la laguna e il mare. Nel 1910 il Comune ha avviato l'espropriazione e la Feniglia divenne Demanio Forestale, procedendo quindi al rimboschimento del territorio. Questi interventi hanno portato alla creazione di un bosco di circa 460 ettari. Nel 1971, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, ha dichiarato il Tombolo della Feniglia Riserva della Foresta sotto la protezione dello Stato.

mercoledì 6 agosto 2014

I diapiri salini di Zinga (KR)

di Marco Pantaloni

Nel marchesato crotonese, a poche decine di chilometri dalla città capoluogo, sorge l'abitato di Zinga.
Il paese è una piccola frazione del comune di Casabona; ubicata su un costone roccioso arenaceo, domina la magnifica Valle del Vitravo offrendo uno spettacolare panorama sulle campagne sottostanti e sulla opposta Timpa di Cassiano, una parete subverticale che interrompe la continuità dello spesso complesso arenaceo tabulare.




Questa caratteristica morfologia, così aspra e inaccessibile, ha permesso lo sviluppo di una tipica vegetazione mediterranea e la nidificazione di diverse specie di rapaci.
Ma l'area di Zinga è caratterizzata anche da alcuni elementi geologici peculiari.
Quello più facilmente visibile è un suggestivo arco naturale, scavato nel massiccio corpo arenaceo. É ben visibile perché ubicato sulla strada principale e perché valorizzato attraverso un breve percorso selciato e un belvedere.



Quello che rende unica l'area di Zinga è la presenza di quelli che, localmente, vengono chiamati “salpìe”, cioè dei corpi diapirici salini.
I diapiri salini di Zinga vengono descritti come elementi unici del continente europeo, grazie alle loro dimensioni e alla loro estensione; esempi analoghi, ma questi di dimensioni maggiori, si trovano nei Monti Zagros nell'area iraniana.
Sul territorio di Zinga e Casabona ne compaiono diversi: un primo, ben visibile, lungo la strada provinciale 14 che collega Zinga a Pallagorio. A pochi chilometri dal paese, sulla destra, è visibile una collina costituita da banconi e strati di gesso microcristallino, laminato, con rare intercalazioni argilloso-marnose, in netto contatto di discordanza con le argille e le marne-argillose circostanti. Il diapiro viene messo in risalto oltre che per il bianco abbagliante delle rocce che lo compongono, in contrasto con il grigio delle argille incassanti, anche per il risalto morfologico con il territorio circostante.





Un'altra affascinante caratteristica è l'intensa attività microcarsica superficiale che incide questo tipo litologico dando luogo a forme tipiche del carsismo carbonatico, tra cui i rillenkarren.




Un altro, interessante esempio di diapiro salino, si rinviene lungo l'alveo del Fiume Vitravo, proprio sotto il centro abitato.
Questo sito si raggiunge, a piedi, dal centro del paese, oppure seguendo una ripida strada asfaltata che, dalla strada provinciale in direzione Pallagorio, conduce ad una azienda agricola.
In prossimità del ponte sul Fiume Vitravo, sulla sponda sinistra, è visibile una scarpata  di natura argillosa nella quale è intercalato un corpo gessoso di dimensioni decametriche, costituito, come prima, da strati di gesso laminato microcristallino e da livelli di gessareniti.






Alla base della parete, sotto il livello gessoso più basso, si apre una piccola cavità, dalla quale scaturisce una piccola emergenza acquifera, sul cui tetto, perfettamente orizzontale, sono in deposizione delle piccole stalattiti calcareo-gessose.

Anche in questo caso l'origine diapirica del corpo gessoso è messa in evidenza dall'anomalo contatto stratigrafico con la formazione incassante, anche se alcuni dubbi vengono ingenerati dalla “disorganizzazione” degli strati causata dai movimenti di versante. Sta di fatto che uno studio più approfondito potrebbe redimere queste questioni, ancora aperte, e valorizzare questo geosito, a nostro avviso di estremo interesse scientifico.

Senza dubbio, però, che la presenza di questi corpi salino-gessosi affioranti in superficie ha segnato la storia locale. In questa zona, fino agli anni '50 del secolo scorso, squadre di minatori locali estraevano il materiale sotto il controllo “fiscale” dei finanzieri, dei quali rimangono i ruderi di due piccole caserme.
Il territorio del marchesato crotonese, affascinante nel suo carattere arido e isolato, porta ancora oggi i segni di un passato fatto di lavoro duro, contrabbando e lotte contadine.


martedì 5 agosto 2014

La duna di Marinella, a Torretta di Crucoli (KR)

di Marco Pantaloni

Geoitaliani è in vacanza.

Non per questo ci si dimentica del blog.
Allora oggi descriviamo la splendida, solitaria spiaggia di Marinella a Torretta di Crucoli, in provincia di Crotone.


Sul retro della spiaggia è ben visibile la magnifica Duna di Marinella, uno dei più interessanti esempi di duna recente di quest'area jonica.


La Duna di Marinella è costituita da sabbie a granulometria media e medio-fine di colore grigiastro, fissate dalla vegetazione, e da silt e limi accumulati nelle aree retrodunari; la duna raggiunge anche altezze di circa 20 metri.
Le sabbie, oloceniche, ricoprono più unita pleistoceniche. Una bellissima macchia mediterranea, costituita da Ammophila, Crucianellum, vegetazione annua e boscaglia fissa e consolida la duna.
La Duna di Marinella, che comprende la duna olocenica e quella pleistocenica, è inclusa nell'area protetta SIC di tipo B (codice IT9320110) tra i siti Natura 2000; è estesa 48 ettari.



L'area ricade nel foglio geologico 554 Crucoli della Carta geologica d'Italia in scala 1:50.000, in corso di realizzazione da parte del Servizio geologico d'Italia – ISPRA.

Come di consueto, purtroppo, nel nostro Paese, la continuità, e l'integrità, del cordone dunare di Marinella è interrotto dalla presenza di alcune costruzioni, tra le quali anche una imponente struttura alberghiera.



Per saperne di più:
ISPRA - Banca dati geositi: http://sgi2.isprambiente.it/geositiweb/