di
Fabiana Console e Marco Pantaloni
Questa
piccola ed agevole guida in 8° fu pensata
e voluta dall’Autore per far conoscere le cave di pietra di lavagna (ardesia) ai
viaggiatori non concittadini che si
apprestavano a visitare i territori che si estendevano da Chiavari verso
levante “dove sorge un monte che lungo la
costiera mette piede in mare”.
Il volume si apre alla curiosità del lettore con una stupefacente veduta panoramica (una litografia in b/n di 80x30 cm) del Monte Sangiacomo, disegnato con dovizia di particolari geografici dal terrazzo dell’Orfanotrofio del paese.
Il volume si apre alla curiosità del lettore con una stupefacente veduta panoramica (una litografia in b/n di 80x30 cm) del Monte Sangiacomo, disegnato con dovizia di particolari geografici dal terrazzo dell’Orfanotrofio del paese.
Veduta panoramica del Monte Sangiacomo, disegnato dal terrazzo dell’Orfanotrofio del paese |
Lo
stesso Della Torre ci informa, nelle note al lettore, che rarissimi stranieri si erano spinti nei secoli precedenti per quei
territori a causa dell’asprezza delle vie
e che per tale motivo le ardesiere
rimasero per secoli ignorate. Plaude pubblicamente Francesco I di Borbone
appena divenuto, alla morte del padre Ferdinando, Re delle Due Sicilie, che con
la consorte Maria Isabella di Borbone nel 1825 visitò la Riviera ligure dando bel esempio per molti imitatori.
Poche
e frammentarie erano infatti le testimonianze storiche di questi territori impervi
ma così produttivi. Nel 1537 Agostino Giustiniani fu il primo a trattare
dell’argomento e la sua descrizione può essere considerata, in ogni modo, un
classico tanto che anche Dalla Torre lo cita nella sua descrizione di un
territorio ricco di
“una lapidicina o sia vena di pietra rara, e qual si trova in pochi altri paesi et la pietra che sia veduta dall’aria, e dal sole è di sua natura molto tenera, e facile a tagliare quasi come un melone, et una rapa, et al modo che si chiappano in Parigi co’ conii le legna di quercia nata all’ombra, e se ne fanno tra le altre cose lastre … sottili quanto è una costa di coltello, nominate da Genuesi Abaini, delle quali coprono le case loro, et è questa copertura bellissima al vedere, ma ancora molto utile perché dura lungo tempo, se ne fanno ancora di queste pietre lastre per far scilicati di case, colonnette, friggi, architravi e cornici et ornamenti ...”.
Nel
1568 Giorgio Vasari descrive l’ardesia come:
“un’altra sorte di pietra che tendono al nero, e non servono agli architetti se non a lastricare i tetti. Queste sono lastre sottili a suolo a suolo dal tempo e dalla natura pe’ servizio degli uomini, che ne fanno ancora pile, murandole talmente insieme... Nascono queste nella riviera di Genova in un luogo detto Lavagna e ne cavano pezzi lunghi dieci braccia; e i pittori se ne servono a lavorarsi su le pitture a olio, perché elle vi si conservano su molto lungamente che nelle altre cose”.
Nel
1610 il cartografo bolognese Magini descriveva con enfasi l’ardesia, la sua estrazione
e la sua lavorazione:
“è meraviglioso il modo con che si cava, il quale è che si cava sottoterra anzi sotto possessioni vignate e cultivate ove nasce gran quantità di vini e olij eccellenti et in queste cave sotterranee cavano massi quadri, larghi lunghi come vogliono essendo in loro mano cavargli di che grandezza e forma piace loro”.
Immagine tratta dal libro di Nicolò Della Torre che illustra le condizioni di lavoro dei cavatori di ardesia |
Nell’800
il primo ad essersi soffermato attentamente ed aver descritto la lavagna delle
Cave liguri fu Giuseppe Mojon in uno scritto del 1805 in cui diede, innovativo
per l’epoca, una soddisfacente definizione scientifica sulla ‘pietra di
Lavagna’:
“è un’ardesia, o scisto argilloso d’un griggio cenerino, poco lucido, di tessitura fina, lamellare, morbida al tatto, che si lascia separare con facilità in strati, o lastre sottili, piane, di mediocre durezza, facile a spezzarsi ed infusibile a fuoco; è d’essa composta d’allumine, di silice, di magnesia e di ferro”.
Ma
per ottenere informazioni storiche più dettagliate e di maggior interesse sul
piano tecnico ed economico occorre aspettare il testo del Mongiardini del 1809,
con la sua mirabile descrizione dei lavoratori delle lastre che
“a forza di scalpelli e picconi penetrano sotto le linee sino a quella profondità che deve avere la gran lastra […]. Quindi, con l’aiuto di alcuni cunei o piedi di capra, facilmente la dividono dal rimanente, badando però di adoperare un forza uguale per ogni lato”.
Ma
fu soprattutto con il lavoro di Nicolò Della Torre del 1838 che si è ricostruita
la realtà socio-economica e organizzativa dell’ambiente della lavagna, nonché i
relativi processi di lavorazione dell’ardesia in epoca storica.
1) Ispezione delle
Cave;
2) Caratteri
fisico-chimici delle lavagne;
3) Usi economici
delle lavagne;
4) Sunto statistico.
Tralasciando
la parte statistico-economica, in questo primo post ci soffermeremo sugli
aspetti descrittivi legati alle metodologie di sfruttamento del giacimento.
L'ardesia detta anche pietra di
Lavagna è una particolare varietà di roccia metamorfica allotigena di origine sedimentaria,
diffusa in Italia
settentrionale e da
molti secoli estratta in Liguria, storicamente nella zona costiera
tra Lavagna (da cui il nome) e Chiavari; Goffredo
Casalis nel suo Dizionario storico geografico statistico commerciale degli
Stati di S.M. il Re di Sardegna, ci aggiorna che, nel 1840:
“Esistono 48 cave di ardesia nei soli territori di Lavagna e Cogorno: sono esse notissime per la quantità di lastre cui forniscono ai bisogni delle due riviere ed anche a quelli di esteri stati, perocché se ne spediscono a Napoli, in Toscana, a Gibilterra, in Portogallo, in Francia, in Corsica, in Sardegna, a Trieste, ad Odessa”.
Dalla Torre, il
primo ad usare il termine ardesiere
lo preferisce a quello di uso comune di chiappaje
di dantesca memoria usato in forma dialettale in Liguria e ne fa derivare
l’etimologia o da Ardes, località irlandese, oppure da Ardenne, provincia
francese in cui si sviluppò una della prime industrie estrattive per la
produzione di lastre sottili di ardesia da copertura.
Il
metodo tradizionale di estrazione prevedeva un sistema sotterraneo, definito a
“tetto”, che consisteva nell’estrarre
il materiale dalla parte bassa del banco per procedere verso l’alto nello
scavo, in modo tale che le lastre venissero staccate proprio dal tetto. In
questo modo si poteva procedere lasciando gli scarti sul pavimento, evitandone
così il trasporto all’esterno e tutte le problematiche ad esso collegate;
inoltre l’acqua piovana, che filtrava tra le fratture della roccia, defluiva
naturalmente verso l’esterno.
Il
cavatore incideva, alla luce dei lumini ad olio, il contorno del blocco, che
poi veniva delicatamente staccato con l’ausilio di cunei costruiti
appositamente.
Lo
spazio per lavorare era stretto ed angusto e l’aria malsana ed irrespirabile a
causa della polvere e dell’umidità; per questo motivo la vita del cavatore era
molto breve e non arrivava ai 50 anni a causa della silicosi e della fatica.
Altre immagini tratte dal libro di Nicolò Della Torre |
Il
compito degli uomini consisteva, dopo avere staccato il blocco, nel trasportare
i ceppi o le lastre all’uscita. Generalmente il trasporto avveniva a mano; dati
gli spazi ristretti, le immagini dell’epoca ritraggono
stuoli di donne scalze portanti lastre di ardesia sul capo disposte in fila
indiana – o appaiate ad due a due fino a
sei coppie ordinate affinchè il peso
sia proporzionato alle forze individuali - che scendevano verso il mare
utilizzando una specie di portantina che permetteva il trasporto d’abbaini con due o talvolta quattro
operaie.
Torme di donne e ragazze di ogni età percorrevano la via più volte al
giorno. In estate, se la cava era prossima alla costa, fino quattro viaggi
giornalieri di andata e ritorno
Le
lastre erano caricate sulla testa, appoggiate su un fazzoletto ripiegato ad
anello, detto in dialetto “sutéstu”, poi in fila ad una ad una le donne partivano percorrendo in discesa gli
sdrucciolevoli sentieri fino a Lavagna dove il materiale veniva preso in
consegna dai commercianti che lo smerciavano per fare lastre da tetti, pietre scolpite, chiappami da pavimenti e lastre da
truogoli.
Le lastre estratte erano normalmente di dimensioni 70x70 cm e D. Bertolotti, nel 1834, calcola che il peso di un carico non fosse inferiore a “7-8 rubbi”, ossia circa 60 kg.
L’ultimo
tratto di trasporto dai magazzini di Lavagna alla spiagge era sempre effettuato
da una quarantina di portatrici che risiedevano nel paese costiero e si
occupavano dell’imbarco. Giunte sottobordo su traballanti passerelle, i marinai
prelevano direttamente le lastre per riporle nella stiva.
Per saperne di più:
Giuseppe
Mojon (1805) - Descrizione mineralogica
della Liguria da Giuseppe Mojon, 8vo, Geneva, 1805.
G.A.
Mongiardini (1809) - Sulle ardesie di Lavagna. Memoria
letta all'Imperiale Accademia delle Scienze e Bella Arti di Genova il giorno 1
dicembre 1808 dal socio G.A. Mongiardini membro della Legion d'onore,
Professore dell'Imperiale Università, e socio di diverse accademie, Genova: stamperia dell'Imperiale Accademia di Genova,
anno 1809.
molto interessante! complimenti davvero
RispondiEliminaGrazie per i complimenti, che volentieri giro a tutti i collaboratori del blog.
Eliminaesisteva un percorso di visita
RispondiEliminahttp://turismo.provincia.genova.it/pdi/ecomuseo-dellardesia-la-della-pietra-nera-e-centro-espositivo-del-chiapparino-temp-chiuso
speriamo venga presto riaperto!
intanto si può visitare questo sito, ricco di informazioni, anche geologiche e storiche:
RispondiEliminahttp://www.fontanabuona.com/portale.asp?swf=menuardesia
Poco tempo fa scompariva Remo Terranova, professore all'Università di Genova nonchè originario di Lavagna/Cogorno e quindi naturalmente appassionato (anche) di questi territori, ai quali ha dedicato una delle sue ultime fatiche, il libro <> (ERGA edizioni, 2011)
RispondiEliminaGrazie delle informazioni e, soprattutto, dell'attenzione dedicata. Stiamo preparando una seconda parte per questo post, nella quale prenderemo in considerazione le sue indicazioni e i suggerimenti. Se volesse scrivere un ricordo sul professor Terranova saremmo ben lieti di ospitarlo sul blog. Ci contatti all'indirizzo e-mail della Sezione. Grazie ancora.
Eliminatitolo del libro: "Le Ardesie della Liguria. Dalla geologia all'arte"
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