martedì 28 gennaio 2014

Il Monte Lama: la montagna delle lame di pietra

di Giovanna Baiguera


Il diaspro è una roccia sedimentaria silicea di origine chimica-organogena, deposta in ambiente marino profondo, caratterizzata da grana finissima, aspetto compatto, liscio, frattura concoide, in diverse varietà di colore, talora molto intense, dal rosso al verde, dal nero-marrone al giallo.
Il diaspro non è una pietra preziosa ma ha assunto, sin dagli albori della storia dell'uomo, un valore essenziale per la sua sopravvivenza, prima, e successivamente per il suo progresso.
Non tutti sanno, ad esempio, che il termine “pietra di paragone”, usato ormai più che altro in senso figurato, corrisponde proprio ad una varietà di diaspro nero (“pietra lidia”), adoperata specie in passato per verificare (per strofinamento) i metalli preziosi utilizzati come merce di scambio e poi come moneta, fino a quando venne introdotto il conio, ovvero il sistema di “certificazione” del peso e del valore del metallo da parte dei governi di emissione.
Ma l'interesse dell'uomo per il diaspro risale alla notte dei tempi, cioè a quando iniziò a servirsi di questa roccia, insieme ad altri materiali di seconda scelta, per la realizzazione (intenzionale) dei più primitivi manufatti litici. Pochissime altre rocce, infatti, potevano risultare altrettanto adatte ad essere tagliate (tramite elementari percussioni) e a tagliare.
Possiamo quindi considerare il diaspro una delle prime rocce di vero interesse nella nostra storia, prima a divenire attrezzo e anche merce di scambio.
Fra i ritrovamenti archeologici di sfruttamento del diaspro, uno dei più interessanti e antichi è certamente quello del Monte Lama, nell'Appennino Ligure-Emiliano, la cui scoperta si deve a un giovane archeologo autodidatta, Osvaldo Baffico, prematuramente scomparso in un incidente stradale.

Foto di reperti siglati della raccolta di Baffico.Tratta da Ghiretti (2003).


L'affioramento
Il Monte Lama è situato a cavallo tra le province di Parma e Piacenza, alla congiunzione delle valli dei torrenti Ceno, Arda e Nure. Raggiunge i 1.342 m slm e occupa un'estesa costa ad andamento meridiano, culminante a nord con la cima più elevata del Monte Menegosa (1.356 m slm). La dorsale del Monte Lama è occupata da un'estesa placca di diaspri rossi giurassici (spessore complessivo di qualche decina di metri), sovrastanti, in successione rovesciata, unità calcaree, a loro volta poggianti su argilliti o brecce poligeniche, con elementi ofiolitici, tutte unità riferibili all'antico oceano detto “Ligure-Piemontese”.

Disegno di una veduta del Monte Lama da WSW, località Boccolo dei Tassi (Bardi) che evidenzia la grande placca rovesciata con Diaspri e Calcari a Calpionelle (d+cC), insieme alle ofioliti (o) e ai complessi ad argille e brecce (a). Le ofioliti del Monte Menegosa si trovano a sinistra (verso nord) di questa veduta. Modificato da Società geologica italiana (1994).

Le antiche frequentazioni
Le favorevoli condizioni di esposizione e di qualità (“vetrosità”) di questi diaspri hanno reso il Monte Lama un luogo di fortissima attrazione per l'uomo preistorico. Recenti ricerche dimostrano che questa materia prima, unica nel raggio di decine di chilometri, fu estremamente ricercata e diffusa per lunghissimo tempo, dall'età della pietra a quella dei metalli.
I primi reperti sono stati ricondotti al Paleolitico medio e superiore, all'epoca della glaciazione wurmiana, rinvenuti all'interno di depositi eolici (loess) interpretati come sedimentazioni terminali di fasi pleniglaciali, più fredde, intervallate da impulsi a clima più temperato. Tali contesti climatici più favorevoli, di cui si trova conferma nelle sequenze paleobotaniche (palinologiche) registrate nelle torbiere circostanti, con oscillazioni vegetazionali da steppa a prateria arborata, avrebbero avuto una durata di alcuni millenni. Durata sufficiente a spiegare le antiche frequentazioni di queste quote, relativamente elevate, legate all'economia di sussistenza delle prime comunità di cacciatori-raccoglitori, che si servivano della pietra scheggiata per il taglio degli alberi, la costruzione di capanne, la macellazione delle prede, il trattamento di pellame e la lavorazione di ossa e corna di animali.
Proprio in questi orizzonti paleolitici, il cui livello più antico pare risalire a circa 50.000 anni fa, avrebbe avuto luogo, come in pochissimi altri siti in Italia, l'avvicendamento tra l'Uomo di Neandertal e l'Uomo Sapiens, collocabile intorno ai 30-40.000 anni fa. Reperti di entrambe le specie, infatti, sempre contenuti in sedimenti loessici, testimoniano sia le prime frequentazioni musteriane, del Paleolitico medio, da parte del Neandertal, sia quelle aurignaziane, del Paleolitico superiore, da parte del Sapiens. Da notare che entrambe le specie comparvero più di 100.000 anni fa, coesistendo dunque per molte migliaia di anni, prima che solo il Sapiens si salvasse dall'estinzione, unico sopravvissuto a tutte le specie del genere Homo.
Diaspri scheggiati rinvenuti sul Monte Lama, in località Ronco del Gatto (Bardi), da Baffico. Punta “Levallois” ritoccata attribuibile al Musteriano (Paleolitico medio, Uomo di Neandertal) e bulino “busqué” attribuibile all'Aurignaziano (Paleolitico superiore antico, Uomo Sapiens). Figure tratte da Ghiretti (2003). Disegni di F. Negrino.

Come dimostrano i manufatti reperiti in aree circostanti, dopo l'ultima glaciazione, intorno ai 10.000 anni fa (quindi a partire dall'Olocene), altre popolazioni tornarono ad appropriarsi di questi luoghi, per la caccia stagionale degli ungulati, seguendo la loro migrazione primaverile dalle foreste di pianura ai boschi e pascoli in quota, sfruttando nuovamente le pietre scheggiate del Monte Lama, che quindi si presume abbia mantenuto la sua funzione anche nel Mesolitico e nel Neolitico.
Ma fu durante il periodo dei metalli, in particolare durante tutta l'Età del Rame, ovvero per mille anni intorno al 3000 a.C., che il Monte Lama conobbe una nuova consistente frequentazione per l'approvvigionamento e la lavorazione del diaspro, ormai molto specializzata, anche nella produzione di semilavorati (“preforme”), utilizzati come merce di scambio, anche da “esportazione”. Numerosi ritrovamenti appaiono infatti come forme incomplete di cuspidi di freccia (elementi più piccoli) o lame di pugnale (elementi di maggiori dimensioni), per la cui realizzazione ci si accontentava della varietà più opaca del diaspro, trascurata dall'officina paleolitica che aveva potuto sfruttare quella più pregiata.
L'interesse delle comunità preistoriche e protostoriche per il Monte Lama fu talmente intenso e duraturo da diffondersi ben oltre i suoi apparenti confini morfologici. Non è un caso che nelle catene operative di questa “fabbrica a cielo aperto” si riscontrino, in proporzione, pochi prodotti finiti e molte preforme o scarti di lavorazione, anche in roccia “alloctona” (cioè estranea all'affioramento). Contestualmente, sono riferiti diversi ritrovamenti di diaspri, con tutta probabilità di questi diaspri, in aree distanti anche diverse decine di chilometri. Ciò dimostra chiaramente contatti e spostamenti più o meno organizzati di individui, singoli o in gruppi, e di merci. In altre parole, l'industria di Monte Lama non si limitava alla tecnologia della scheggiatura del diaspro, ma prevedeva pure la distribuzione dei materiali, in una sorta di commercio all'ingrosso ante-litteram!

Diaspro scheggiato a forma di ogiva,
rinvenuto sul Monte Lama in località Ronco del Gatto (Bardi).


Cuspide di freccia a losanga databile tra la fine del Neolitico e l'Età del Rame, rinvenuta sul Monte Barigazzo, in località Piana della Chiesa (Varsi), interpretato come prodotto finito ricavato dalle preforme ad ogiva del Monte Lama. Figure tratte da Ghiretti (2003). Disegni di F. Negrino.

La “Collezione Baffico”
La scoperta dei giacimenti di Monte Lama si deve a Osvaldo Baffico, nato a Savona nel 1944 e morto a Isola del Cantone (GE) nel 1979. Laureato in economia e commercio e ricercatore presso la Facoltà di Economia dell'Università di Genova, fu un appassionato archeologo autodidatta che condusse, fin da quando era studente liceale e per un arco di tempo di 10-15 anni, un'intensa attività di ricognizione, prevalentemente di superficie, spinto da un entusiasmo esemplare e da un'innegabile intuizione sul valore dei reperti.
Sostenuto e talvolta accompagnato dai genitori Jole ed Erminio, raccolse un'ingente quantità di materiale, decine di migliaia di reperti siglati e catalogati, corredati da un “quaderno di campagna” le cui annotazioni hanno guidato i ricercatori successivi nel ritrovamento degli originari siti di esplorazione (più di trenta), stimolando nuove attività di analisi.
La Collezione Baffico si trova ora a Genova, sotto la tutela della Soprintendenza Archeologica della Liguria, che ha riconosciuto gli intenti positivi di quel giovane ricercatore attento e scrupoloso e il suo prezioso contributo allo sviluppo delle conoscenze scientifiche sul tema.

Come i nostri lontani predecessori seppero individuare e utilizzare ampiamente la "montagna delle lame di pietra", così Baffico e gli altri studiosi, nella loro riscoperta, hanno saputo metterne in luce il valore, altrimenti del tutto ignorato.
I reperti raccolti si sono rivelati una testimonianza assai preziosa, un modesto ma potente strumento didattico a disposizione di tutti, per vedere, comprendere e conservare i segni del nostro territorio e anche riflettere sull'importanza di una roccia così “umile” quanto utile per il destino stesso dell'umanità.

Attenzione: i ritrovamenti e le scoperte di materiale archeologico sono regolati dal D.Lgs. n. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Per saperne di più:
(1) Società Geologica Italiana (1994), collana Guide Geologiche Regionali, Vol. 6, Appennino Ligure-Emiliano, Itinerario 8 (a cura di E. Costa, P. Vescovi e G. Zanzucchi), BE-MA editrice.
(2) Ghiretti A. (2003), Preistoria in Appennino. Le valli parmensi di Taro e Ceno, Grafiche STEP, Parma.
(3) Bertoldi R. (1980), Le vicende vegetazionali e climatiche della sequenza paleobotanica wurmiana e postwurmiana di Lagdei (Appennino Settentrionale), in “L'Ateneo Parmense” Acta Naturalia, V 16(3), pp. 147-175.
(4) Negrino F. (2003), Modificazioni tecno-tipologiche ed utilizzo delle materie prime nell'Appennino tesco-emiliano e nell'arco ligure tra Paleolitico medio recente e Paleolitico superiore antico, tesi di dottorato di ricerca in Archeologia Preistorica, XIII ciclo (1998-2002), Università di Roma “La Sapienza”, inedita.
(5) Felloni G. (1979), Necrologie - Osvaldo Baffico, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, Nuova Serie XX (XCIV) Fasc. II (biblioteca digitale).
(6) Convegno “La montagna dei coltelli di pietra” (2000), Bardi (PR)
(7) Convegno “Preistoria e protostoria dell'Emilia-Romagna” (2010), Modena
         http://www.comune.modena.it/museoarcheologico/servizi/convegnoiipp.shtml

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