Io ho sempre pensato, che non già dai tempi si
debbano giudicare le opere, ma piuttosto dalle
opere si debba giudicare dei tempi.
Ermenegildo Pini
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Carlo Pini (Milano 1739-1825) veste l’abito talare nel 1756 assumendo il nome di Ermenegildo,
e l’anno successivo prende i voti come chierico barnabita.
Studia teologia a
Roma e a Napoli e nel 1763 torna a Milano, dove conclude il proprio iter
formativo.
Nel 1766 viene nominato docente di Matematica e successivamente
di Storia naturale al Liceo S. Alessandro e assume l’incarico di curare, ampliare
e tutelare le collezioni naturalistiche dell’annesso museo che divenne per lui
ragione di numerosi viaggi. Nel 1782, viene eletto delegato delle miniere,
incarico che motiverà diverse escursioni sulle Alpi e Prealpi lombarde; famoso è
il suo studio mineralogico del 1783 sul San Gottardo.
È però nella Milano napoleonica che il prestigio di Pini
aumenta e nel 1801 viene eletto deputato nella Consulta di Lione, assemblea che
aveva il compito di approvare la costituzione della nuova Repubblica Cisalpina.
Anche durante la Restaurazione, Pini continua a godere della fiducia del
governo, mantenendo il ruolo di figura di riferimento nel campo delle questioni
minerarie e naturalistiche.
Singolare e quanto mai originale nel suo genere il piccolo
volumetto, in forma epistolare, dal titolo : Viaggio geologico per diverse parti meridionali dell’Italia.
In nove lettere dedicate ad un Amico (datate da luglio a novembre 1792) Pini ci accompagna e
descrive non senza ironia, poesia e spirito prosaico, il suo viaggio
naturalistico attraverso l’Italia meridionale partendo da Modena ed arrivando a
Pozzuoli.
Nella prima lettera, la più filosofica delle nove, ci narra
dell’utilità della “nuova scienza”, la geologia, e di come i primi geologi che
scalavano le montagne avessero provocato nei pastori una ridente meraviglia, giacché negli anni passati non incontravano mai
nessuno sulle loro alture.
Il veder comparire alle alpestri loro capanne persone colte che si andavano arrampicando sulle più aride cime verso le quali non mai spinsero nemmeno i loro più parchi armenti ; il vederle sdrucciolare su ripidissime pendenze per osservare quelle dirupate pendici…il vederle giungere alle cime più alte per farvi bollire una pentola d’acqua e poi non riuscire ad accendere il fuoco, erano per essi oggetti di una ridente meraviglia.
Scopo principale del nostro Autore, ben sottolineato e
dichiarato in questo testo, è quello di
riconoscere le rivoluzioni intervenute … per l’azioni delle acque … sul globo terrestre
dove si avanzava la teoria dei moti del mare.
Tale teoria entrò presto in collisione con il pensiero coevo
di John Playfair, Illustrations of the Huttonian theory of the Earth,
con cui si presentava la teoria dei movimenti verticali del suolo. Queste due
concezioni teoriche si contesero il campo in ambito geologico nei successivi
decenni, l’una alternativa all’altra, e sulle quali si strutturarono molte riflessioni
in ambito scientifico. Ad avere la meglio fino ancora a metà Ottocento fu,
com’è noto, la prima ipotesi, mentre quella di Playfair non venne accettata
dalla comunità scientifica per una serie di resistenze culturali che rendevano difficile
l’accettazione dell’idea di una crosta terrestre perpetuamente instabile.
Nella nona e ultima lettera Ermenegildo Pini ci fornisce una
spiegazione dello strano fenomeno che presentano i vermi marini rannicchiati nelle colonne del Tempio di Serapide sito in Pozzuoli.
Il Tempio di Serapide, il Macellum di Pozzuoli, una delle maggiori
testimonianze archeologiche dell’area flegrea, venne alla luce a metà
Settecento (1753) e fu
per oltre un secolo meta preferita dei viaggiatori impegnati nel Grand Tour e divenne, per
naturalisti, ricercatori e “curiosi”, un laboratorio en plein air nonché
un luogo in cui i segni evidenti di una oggettiva oscillazione del livello del
mare erano sotto gli occhi di tutti.
Oggetto per quasi un secolo di una controversia “geologica”
non fu esente dall’assumere toni anche accesi; un dibattito che soltanto nei primi anni
del Novecento approdò a soluzioni condivise.
Come già per Ercolano e Pompei, anche per l’inedita rovina
di Pozzuoli si ravvide la possibilità di studiare il rapporto tra la storia del
monumento e le vicende della natura. Grazie all’evidente interazione tra la
prima ricerca naturalistica e i rudimentali metodi storico-antiquari che lo
studio del monumento esigeva, si colse precocemente l’importanza del fenomeno
erosivo delle colonne e si intravidero molto presto le implicazioni sul piano
della storia naturale.
Invaso e sommerso dalle acque il tempio rappresentò per
alcuni secoli l'indice metrico più prezioso e preciso che si aveva per misurare
il fenomeno del bradisismo. Tre delle quattro grandi colonne di marmo
cipollino grigio ancora diritte sulle loro basi servirono come strumento di
misurazione del fenomeno; infatti lungo il loro fusto, i fori dei litodomi - conosciuti
con il nome di “datteri di mare” - indicano chiaramente il livello più alto a
cui è giunta in passato l'acqua del mare (6,50 m ca.), a testimonianza della
sua massima sommersione marina avvenuta in epoca medievale (IX secolo)
quando il monumento risultava sepolto nelle parti basse, mentre superiormente
era parzialmente sommerso dalle acque marine.
A seguito della seconda crisi
bradisismica del 1983,
accompagnato da una intensa attività sismica, il tempio attualmente risulta ad
una quota superiore rispetto al livello del mare.
Pini fu uno dei primi ad occuparsi di questo fenomeno da un
punto di vista geologico già nel novembre del 1792, nonostante tale tipo di
studio si rivelasse difficoltoso in quanto l’Autore ammette che l’acqua
stagnante e malsana gli aveva creato la prima volta
un deposito di febbre provenut[ogli] dall’aria pestifera di quella spiaggia.
Il nostro Autore, rapito
da tale oggetto che era in stretta relazione con la rivoluzione del globo
terrestre prodotta dall’azione delle acque, tornò comunque per una seconda
visita a quelle colonne forate e ci
informa che
lo fece con ben sei occhi, avendomi favorito della loro compagnia due valenti mineralogisti ed osservatori il Sig. Dottore in Medicina D. Guglielmo Thomson e il P. Scipione Breislach delle Scuole Pie Professore di Chimica e Mineralogia al Corpo Reale dell’Artiglieria di Napoli.
Per mettere in vista
la singolarità del fenomeno e la plausibilità della spiegazione che esporrà in
questa lettera egli ci fornisce una lunga ed esaustiva descrizione del Mytilus Litophagus
cioè il Mangiapietre o Forapietre.
La pietra che viene forata da tutti quei vermi è calcaria o altra arenosa o argillosa : ed infatti anche i pezzi del Tempio così forati sono calcarei così che nelle grandi colonne di marmo cipollino, nel quale sono mischiate alcune glandole di quelle pietre selciose, che chiamasi quarzo, e feldispato, queste si trovano del tutto intatte.
Man mano che questi litofagi crescono di dimensione con la
loro conchiglia aumenta il foro che creano nella colonna, rimanendo però sulla
superficie della pietra più piccolo così
che l’animale vi rimane come chiuso in una prigione dalla quale non è tratto che per passare ancora vivo nella bocca di chi ne è ghiotto.
Quando il Pini visita le rovine del Tempio ci informa che
Il pavimento è circa un piede (29,64 cm) più basso del livello del mare e ne è distante solamente 100 piedi: onde non è verosimile che questa sia la sua originale elevazione e quanto più che sarebbe stato certamente esposto alle inondazioni sì delle acque marine come delle terrestri e piovane. La bassa situazione che ora ha il Tempio per rapporto al livello del mare può essere provenuta o da elevazione delle acque marine […] o da abbassamento del Tempio rimanendo invariato il livello del mare [..].ma le circostanze locali e le storie rilevasi che la cagione prevalente fu l’abbassamento dell’edificio.
La causa di questo fenomeno è, per Pini, molto semplice: la
vicinanza della città di Pozzuoli a zone dove spesso sono accaduti terribili tremuoti che hanno subbissato molti edifici pubblici, come già aveva studiato Scipione
Mazzella tra il 1458 e il 1538.
Cercando invece il motivo per cui il Tempio sia stato
seppellito per così tanti anni, Pini ravvede la causa nelle eruzioni dei vicini
vulcani: l’eruzione della Solfatara nel 1198 e del Monte Nuovo nel 1536.
Quindi sulle macerie del Tempio si formò un lago d’acqua mista ai vermi di mare che si
insediarono nelle colonne e l’acqua raggiunse quell’altezza grazie all’azione
vulcanica e soprattutto alle grandi variazioni nell’altezza delle acque ma non
di certo con le generali rivoluzioni e
variazioni intervenute sulle superficie terrestre.
Ribadisce ancora una volta il suo caposaldo geologico concludendo
che
il mare ha subissato più volte le cime delle montagne anche se non per lungo ma per breve tempoIn quelle inondazioni molti animali antici e i vermi marini devono essere certamente conservati vivi senza l’intervento di una particolare provvidenza […]. In alcune di queste acque rimaste nei rinvallamenti […] dovettero trovarsi animali marini vivi o almeno i loro semi o germi e questi potettero moltiplicarsi fuori dal mare presente. Così dunque le conchiglie forapietre potettero dopo il ritiro del mare rannicchiarsi nelle pietre circostanti […] dopo l’asciugamento vennero nei soliti disfacimenti dei monti trasportate altrove quelle pietre in cui ora si trovano le Forapietre annicchiate.
Tratto dal volume conservato presso la Biblioteca ISPRA (già Biblioteca del Servizio geologico d’Italia)
Per saperne di più:
- Viaggio geologico per diverse parti meridionali dell'Italia esposto in lettere di Ermenegildo Pini. - Edizione seconda conforme alla prima fatta nel tomo IX delle memorie della Società Italiana delle Scienze l'anno 1802. - Milano: nella stamperia Mainardi, l'anno I della Rep. Ital.
- Cesare Rovida (1832) - Elogio di Ermenegildo Pini. Truffi, Milano.
- Luca Ciancio (2009) - Le colonne del Tempo. Il “Tempio di Serapide” a Pozzuoli nella storia della geologia, dell’archeologia e dell’arte (1750-1900). Firenze, Edifir.
- http://www.ov.ingv.it/ov/campi-flegrei/storia-eruttiva.html
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