lunedì 25 novembre 2013

Pesci, rettili e foruncoli

di Marco Pantaloni


E’ difficile pensare all’esistenza di un legame tra queste specie animali e la fastidiosa affezione dermatologica.
Invece un legame esiste: uno dei preparati medicinali usati per curare la foruncolosi è l’ittiolo, detto anche ictammolo o ammonio solfoittiolato.
Ancora oggi la pomata al solfoittiolato di ammonio F.U. viene usata per fare maturare i foruncoli della pelle in associazione con impacchi caldo-umidi di soluzione fisiologica. Se molto grossi (cd. favi) ma non numerosi (in questo caso sono necessari anche antibiotici), l'ittiolo favorisce la maturazione purulenta della lesione e il suo drenaggio.

A prescindere dalla sua formula chimica – l’ittiolo è un sale di ammonio di un acido solfonato che ha la formula C28 H36S (SO3 H)2 - è l’origine greca della parola (ἰχϑύς "pesce") a darci indicazioni sulle sue origini.
L’ittiolo viene infatti prodotto a partire da depositi di scisti bituminosi, generati dalla grande abbondanza di resti fossili di pesci e rettili marini. L’estrazione dell’ittiolo avviene per distillazione a secco degli scisti, e successivo trattamento di solfonazione e ammoniazione. Il prodotto presenta molte analogie con il catrame, che ha la stessa genesi, e ha un odore pungente di zolfo a causa dei trattamenti nelle fasi di lavorazione.

L’ittiolo si produce, in Italia, da scisti bituminosi che vengono estratti in diverse località: Besano (CO), Mollaro (TN), Giffoni Vallepiana (SA); dagli scisti estratti si ottengono, dopo la distillazione degli oli, prodotti simili all'ittiolo che prendono vari nomi: bitumol, isarol, mollarolo, tionolo, ecc. Prodotti simili all’ittiolo si ottengono anche dal trattamento di materie diverse dagli scisti, come il cosiddetto tiolo, ottenuto dal trattamento di petroli ricchi di idrocarburi non saturi, come quelli estratti in Galizia o nel Caucaso.

In Lombardia, nella zona di Monte San Giorgio in comune di Besano, già a partire dalla seconda metà dell’800 cominciarono scavi industriali finalizzati allo sfruttamento degli scisti bituminosi per l’interessamento dei tecnici per l’illuminazione della città di Milano.
All’epoca si riteneva che gli strati bituminosi fossero databili al Lias; i primi ritrovamenti fossili negli scisti furono segnalati da Giulio Curioni, uno dei più famosi geologi dell’epoca, esperto conoscitore della geologia lombarda, nel 1847; nel 1854 uno studioso del Museo Civico di Scienze Naturali di Milano, Emilio Cornalia, individuò negli scisti un nuovo sauro che chiamò Pachypleura edwardsii, oggi denominato Neusticosaurus edwardsii. Il ritrovamento di questo sauro consentì a Cornalia di assegnare agli strati un’età precedente al Lias. In seguito Giulio Curioni datò la formazione degli scisti bituminosi al Triassico superiore, età che venne corretta nel 1916 da Albert Frauenfelder, che abbassò ulteriormente l’età dell’unità bituminosa al Triassico medio (Anisico-Ladinico).
Emilio Cornalia (Milano 1824–1882)

Nel 1863 le ricerche vennero condotte dalla Società Italiana di Scienze Naturali che ne affidò la direzione all’Abate Antonio Stoppani; gli scavi vennero condotti proprio sugli scisti (noti in letteratura di lingua italiana come Scisti bituminosi di Besano ed in quella di lingua tedesca come Grenzbitumenzone), nei quali furono rinvenuti, oltre ai già citati rettili, anche pesci, bivalvi, ammoniti ed un ramo fruttifero della conifera triassica Voltzia.

A partire dai ritrovamenti di Cornalia e Stoppani della seconda metà dell’800, passando agli scavi compiuti sul versante svizzero, fino ai comuni progetti di ricerca italo-svizzeri, la quantità e la tipologia dei fossili rinvenuti (oltre 20 specie di rettili, un centinaio di specie di pesci, molti invertebrati, alcuni insetti) può senz'altro classificare il sito di Besana come un lagerstätte, ossia un sito paleontologico di importanza primaria.
L’elenco dei fossili rinvenuti negli scisti bituminosi di Monte San Giorgio è lunghissimo. Vanno ricordati i pesci predatori triassici Saurichthys e Birgeria; pesci subholostei con nomi “lombardo-svizzeri”: Sangiorgioichthys, Luganoia, Besania, Meridensia; anche  alcuni rettili hanno nomi familiari: Lariosaurus, Ceresiosaurus.
Tra i vertebrati più curiosi c’è poi il famoso rettile giraffa Tanystropheus longobardicus, che raggiungeva 6-7 m di lunghezza.


Ricostruzione dello scheletro di Tanystropheus longobardicus,Museo paleontologico di Zurigo(immagine tratta da Wikipedia, autore Ghedoghedo)

Fossile di Tanystropheus,Museo dei Fossili di Besano(immagine tratta da Wikipedia, autore Ghedoghedo)
L’attività di sfruttamento industriale per la produzione di ittiolo, che in onore degli importanti rinvenimenti fossili che furono fatti in quegli strati venne commercializzato con il nome di Saurolo, iniziò nel 1902.
Grazie alla sensibilità dei cavatori, però, non si fermò la ricerca paleontologica; qualsiasi rinvenimento fossile veniva delicatamente estratto e consegnato al Museo Civico di Milano.
L’attività estrattiva destinata alla produzione del farmaco cessò subito dopo il secondo conflitto mondiale.
Una confezione di saurolo, sostanza medicinale
per la cura di affezioni dermatologiche
ricavata dagli scisti bituminosi di Besano
(Museo dei fossili di Besano)
In anni recenti si sono avviate attività di studio congiunto sia sul lato italiano che su quello svizzero, con gruppi di ricerca misti lombardi e luganesi.
Besano, dove è stato aperto un Museo civico dei fossili, rappresenta uno dei più importanti siti paleontologici mondiali, punto di riferimento per tutti gli studiosi di rettili fossili.

Si ringrazia il dr. Raffaele Argentieri, nostro affezionato lettore, per gli approfondimenti sugli aspetti medico-dermatologici.

Per saperne di più:
http://paleoitalia.org/places/8/monte-san-giorgio/
http://www.paleonature.org/conglomerate/176-il-saurolo
http://www.unescovarese.com/fotogallery?Filter=1962
http://www.paleonature.org/famous-locations/79-besano-e-monte-san-giorgio-mari-senza-frontiere
http://www.montagna.ch/ita/default.cfm?mode=itinerari&id_area=4&id_sezione=71&id_content=39&output=ac_itinerario
http://www.montesangiorgio.org/Ricerca/Storia-della-ricerca-/La-scuola-di-Zurigo.html

martedì 19 novembre 2013

Il carciofo di Sonnino

di Marco Pantaloni


Il Carciofo di Sonnino (o “La Cattedrale”):
sullo sfondo il caratteristico paesaggio carsico
della piana di Campo Soriano.
(Immagine tratta da www.parks.it)
Pochi chilometri a nord-est di Monte Circeo, a sud di Roma, in provincia di Latina, si sviluppa il Piano carsico di Campo Soriano; si tratta di una vasto altopiano, posto a una quota di 300 m, larga circa 300 m e lunga 3 km.
Quest'area, che si estende per 974 ettari, rappresenta il primo Monumento Naturale istituito nel Lazio, con la Legge Regionale n.56 del 1985; dal 2000 è entrato a far parte del Parco Regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi ed stato approvato il regolamento di gestione, la quale è attualmente affidata al comune di Terracina, posto nelle immediate vicinanze dell’area.
La più significativa caratteristica del luogo è la presenza, nell’altopiano di chiara origine carsica, di alcuni imponenti monoliti calcarei unici, addirittura, nell’intero bacino mediterraneo.
Il più imponente tra tutti si trova nella zona centrale della piana ed è denominato “Rava di San Domenico” o “La Cattedrale”; più prosaicamente, i locali hanno sempre chiamato questa magnifica struttura con il nome di “Carciofo di Sonnino” a causa della somiglianza del monolite con il cardo Cynara cardunculus. Questo monolite misura circa 15 metri d’altezza ed è costituito da una serie di pinnacoli calcarei che si innalzano verso l’alto dando realmente l’impressione di guglie.

martedì 12 novembre 2013

1932: un elefante al Colosseo

di Marco Pantaloni

A pagina 3 del Giornale d’Italia, nell'edizione del 24 maggio 1932, venne pubblicato un articolo con il seguente titolo: “I resti di un elefante preistorico nello scavo accanto al Colosseo”.
Nel mese di maggio infatti, nella zona dei Fori Imperiali, durante le operazioni di scavo per far largo alla costruenda Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali), all'altezza della ormai demolita Collina Velia e quindi a poche centinaia di metri dall'Anfiteatro Flavio,  venne rinvenuto un cranio completo di zanne di un elephas antiquus. La notizia fece, ovviamente, molto scalpore e venne rilanciata da tutti i giornali dell’epoca.
L’articolo del Giornale d’Italia scriveva:
Il 23 maggio del 1932, all'incrocio tra via del Colosseo e via Gaetana Agnesi, avviene una delle scoperte più notevoli, consistente nei resti del basamento dell’edicola del compitum Acili, […]. Nello stesso mese di maggio avvenne il celebre rinvenimento del cranio di elephas antiquus, che fu di stimolo per lo studio geologico di tutta l’area interessata dai lavori compiuto da parte di G. de Angelis d'Ossat (Bull. Comm. Arch. Com., LXIII, 1935, pp. 1-34). Egli si soffermò su una sezione geologica tra le più complete messe in luce durante i lavori, rimasta in piedi vicino al luogo di rinvenimento dei fossili più importanti, quasi come un relitto appoggiato al muro a sacco fiancheggiante il tempio di Venere e Roma. La morfologia dei luoghi, in particolare la conformazione naturale delle alture della Velia e della sella tra il Campidoglio e il Quirinale, è stata ricostruita da de Angelis d’Ossat in una serie di studi degli anni Trenta e Quaranta e ha trovato piena conferma, con qualche ridimensionamento, negli studi più recenti.
Ad occuparsi del ritrovamento dei resti di elephas fu Gioacchino De Angelis D’Ossat che, insieme al più giovane Carlo Alberto Blanc, sono stati i ricercatori che più di ogni altro hanno contribuito al progredire delle conoscenze sul campo delle faune a vertebrati durante il periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo lo studio da parte di De Angelis D'Ossat, dei resti fossili di elephas si perdono le tracce; con molta probabilità la zanna sinistra può identificarsi in quella conservata presso l' Istituto Tecnico Leonardo Da Vinci, a Roma. A conferma di questa teoria ci sono lo stato di conservazione, la morfologia dell’esemplare, la sua lunghezza esterna (dall'alveolo all'apice) e il diametro alla mandibola, tutti elementi che corrispondono con le misure e le descrizioni pubblicate da De Angelis D'Ossat. La zanna appare “malamente” restaurata, usando comune cemento, elemento che coincide ancora con la descrizione di De Angelis D'Ossat secondo il quale la zanna, dopo essere stata consolidata in loco, venne trasportata all'Antiquarium comunale, dove però non è mai stata ritrovata.

Nelle immagini d’epoca appare anche il cranio; questa parte dell’esemplare sembra essere scomparsa. Maccagno nel 1962 afferma che l’esemplare è conservato presso i Musei Capitolini, mentre non è da escludere il suo smarrimento, anche in virtù dell’estrema fragilità e del cattivo stato di conservazione come ebbe a sottolineare lo stesso De Angelis D'Ossat.
Ovviamente, dopo il ritrovamento e il clamore che la notizia ebbe sulla stampa, il volgo romano credette di riconoscere nell'elephas antiquus dei Fori Imperiali più che il resto fossile di un animale del passato, di una vittima in più del bestiario del Colosseo, ancora così vivo nella memoria.
Poche immagini ci rimangono di quel rinvenimento; la necessità di completare la strada, simbolo del ventennio, non permise riprese filmate dell’evento.

Molti anni dopo, invece, altri rinvenimenti di resti di elephas antiquus nei dintorni di Roma vennero immortalati dalle telecamere dei cinegiornali: in particolare quello avvenuto nella zona di Montespaccato, sulla Via Aurelia:


e, nel 1970, sulla Via Flaminia:


Per saperne di più:


giovedì 7 novembre 2013

1797: le Isole Eolie nel viaggio di Lazzaro Spallanzani

di Fabiana Console


I viaggi di esplorazione naturalistica nella prima metà dell’800 ebbero una grande fortuna letteraria incentivata dall'attrazione in quel periodo per lo studio delle scienze naturali in generale legata a visioni paesaggistiche, itinerari turistici ecc.., ma soprattutto alla curiosità verso i fenomeni osservabili e descrivibili in natura : eruzioni, frane, alluvioni, maremoti, vulcani.
Il viaggio per il gentiluomo acculturato di inizio secolo, favorito sicuramente dal miglioramento delle vie di comunicazione e dalla fine delle guerre Napoleoniche, rappresentava la conclusione più ovvia per dare un taglio alla propria formazione “statica” fatta di immensi tomi e noiose lezioni all'Università.
La natura tout court diventa oggetto di indagine e di ispirazione per scienziati di professione ma anche per letterati in cerca di fama dove le suggestioni descrittive del mondo occupano un posto di rilievo.
I resoconti di viaggi rivelano la duplice anima di questi scrittori : l’irresistibile attrazione di una natura in parte sconosciuta descritta attraverso un linguaggio immaginifico e a tratti, anche quando si parla di scienziati non improvvisati, più poetico e letterario che rigorosamente descrittivo/esplorativo.
“Misterioso” e “suggestivo” sono i termini più ricorrenti per descrivere gli spettacoli naturali ed in generale per descrivere fenomeni oggi ampiamente studiati dal punto di vista scientifico.
L’attività scientifica svolta da questi viaggiatori-naturalisti consisteva nell'osservare, descrivere, catalogare, classificare fenomeni ed esemplari viventi e non nonché paesaggi e luoghi sconosciuti ai più.

Ad essi si deve la formazione di straordinarie collezioni mineralogiche, botaniche e zoologiche o di straordinari volumi che narrano descrizioni di viaggi che hanno lo straordinario potere di farci tornare indietro di qualche secolo.




sabato 2 novembre 2013

1839 - da Catania a Clermont Ferrand: viaggio di un naturalista catanese

di Marco Pantaloni

Nel 1838, Carmelo Maravigna, naturalista catanese e professore di chimica nella locale università, grazie alle

paterne cure dell’Augustissimo e Clementissimo Monarca Ferdinando II,
Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, ec.
Duca di Parma, Piacenza, Castro, ec. ec.,
Gran Principe Ereditario di Toscana, ec. ec. ec.

poté compiere un lungo viaggio che, dalla sua città, lo portò al congresso scientifico di Clermont Ferrand.
Già nel 1837 Maravigna era stato invitato ad un precedente Congresso a Metz; sia l’Accademia Gioenia che il Decurionato si premurarono di procurargli il denaro necessario al viaggio, nonostante si fosse in un’epoca “lagrimevole per la capitale della Sicilia”.
Il Maravigna lavorò alacremente per quel Congresso, concentrando la sua ricerca sulle specie mineralogiche dell’Etna. Il lavoro risultò così corposo da meritare di essere trasformato in un compendio su tutta la “Orittognosia etnea”. Non contento, agognando di esporre la sua ricca collezione di cristalli di zolfo, redige una “Monografia sulle forme cristallografiche dello zolfo”, ricca di tavole originali.
E ancora, a integrazione della malacologia siciliana di Poli, pubblicò le “Memorie di malacologia e di conchiologia di Sicilia”, sugli Atti dell’Accademia Gioenia di Catania.
Non solo: volle anche cercare di confutare la teoria che “le tefrine, i basalti e le trachiti sono prodotte da sollevamento di molle materia dalle interne viscere della Terra, che va a prendere forma di cupole” e che, invece, “provengono da vulcaniche eruzioni, che trovansi in corrente”. Scrisse quindi, per il congresso di Metz, una “Memoria su i rapporti fra la tefrina, il basalte e la trachite dell’Etna”.

Purtroppo, però, la mancanza di fondi e la febbre asiatica che colpì la città di Marsiglia nel luglio 1837 impedirono al Maravigna di partire. Venne quindi invitato alla successiva 6a sessione del congresso scientifico, questa volta a Clermont Ferrand.