di Marco Pantaloni
La foresta fossile di Dunarobba pochi anni dopo la riscoperta (foto del 1988) |
Sebbene la foresta fossile di Dunarobba sia stata sottoposta
a vincolo dal Ministero per i Beni culturali e dalla Regione dell’Umbria solo
piuttosto recentemente, sul finire degli anni ’80, i primi ritrovamenti di
tronchi fossili nell’area tudina si fanno risalire intorno al 1600.
In
particolare, nel 1620, Francesco Stelluti da Fabriano cominciò a studiare i
legni fossili ritrovati, che vennero chiamati metallofiti; l’incarico di studio
venne conferito a Stelluti dal principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia
dei Lincei. Alla fine delle sue ricerche, nel 1637 Stelluti pubblicò il suo "Trattato sul legno fossile minerale
nuovamente scoperto" sui tronchi rinvenuti descrivendo, oltre ai caratteri del fossile,
anche il sito di ritrovamento.
Nonostante queste progredite descrizioni, dei legni fossili
venne pressoché persa memoria, anche da parte degli abitanti dei luoghi, che
riscoprirono i tronchi fossili solo dopo la prima guerra mondiale, quando
cominciarono ad usarli come fonte di riscaldamento. In seguito alla crescente
necessità di combustibile, nel primo dopoguerra venne avviata una serie di
ricerche sistematiche in tutto il territorio italiano per la coltivazione di
torba e ligniti, che coinvolsero anche l’area di Avigliano Umbro.
Infatti, nel 1929,
venne avviato lo sfruttamento industriale dell’area con l’apertura di 3
gallerie nelle quali lavoravano 50 minatori.
Ancora nel 1933, da parte della
“Società Anonima Ligniti Dunarobba”, vennero aperti numerosi altri pozzi per la
coltivazione in tutta l’area di Avigliano Umbro, dai quali si estraevano torba
e lignite e nei quali trovarono impiego più di 600 operai. La maggiore
difficoltà che si rinveniva durante gli scavi veniva proprio dai tronchi
fossili che conservavano ancora la loro posizione di vita.
L’attività
estrattiva si interruppe nel 1952 quando, a scala nazionale, presero il
sopravvento nuovi combustibili fossili più redditizi ed efficienti rispetto
alla torba e alla lignite. L’attuale foresta di Dunarobba venne riportata in luce
verso la fine degli anni ’70 all’interno di una cava per l’estrazione di
argilla destinata all’edilizia.
Oggi l’area della foresta fossile di Dunarobba è sottoposta
a vincolo paleontologico nazionale e a vincolo ambientale a livello regionale.
La foresta comprende circa cinquanta tronchi di alberi mummificati e non
fossilizzati. Si tratta di tronchi di diametro variabile tra 1 e 4 metri, con
altezze che arrivano anche a 8 m; in realtà alcuni sondaggi riportano la
presenza di tronco anche a profondità di 25 m dal piano campagna. L’analisi
pollinica, istologica e delle foglie dimostra che si tratta di esemplari del genere
Taxodion, una forma di sequoia
estinta simile all’attuale Sequoia
sempervirens, autoctona della California.
Dalle caratteristiche geologiche del terreno su cui poggia
l’apparato radicale degli alberi è possibile datare la foresta di Dunarobba al
Pliocene medio – superiore, posizionata in un’area paludosa al bordo
dell’antico lago Tiberino che, partendo da Città di Castello, copriva gran
parte della regione Umbria arrivando fino a Terni e Spoleto.
La foresta, visitabile, è gestita dal “Centro di
Paleontologia Vegetale della Foresta Fossile di Dunarobba”; presso il centro
visite è allestita una ricostruzione dell’antica foresta e un museo con
malacofauna e resti macropaleontologici.
Nell’aprile del 2000 le Poste Italiane, in una serie dedicata ai siti di interesse geologico-naturalistico, hanno emesso un francobollo del
valore nominale di 0,41 euro dedicato alla foresta fossile di Dunarobba.
Per saperne di più:
F. Famiani e F. Landucci, Il geosito di Dunarobba, in Naturamediterraneo Magazine, n. 7, anno 2
Ottimo post. Questo blog sta facendo un ottimo lavoro per far coniscere il mondo dellavgeologia in modo semplice ma mai banale
RispondiEliminaScusa i refusi dovuti alla tastiera piccola del mobile
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