di
Giovanni Maria Di Buduo* e Tommaso Ponziani**
CIVITA
DI BAGNOREGIO
(Geol. Giovanni Maria Di Buduo)
A Civita
di Bagnoregio e nella circostante "Valle dei Calanchi" (corrispondente
alle valli del Rio Torbido e del suo affluente sinistro Fosso di Bagnoregio) i
processi di modellamento della superficie terrestre sono caratterizzati da una
intensità e da una velocità tali da tradursi in un "paesaggio vivente" di
straordinaria bellezza e particolarità, tra i più affascinanti del territorio
nazionale.
I
versanti sono
costituiti da argille limoso-sabbiose
e limi argilloso-sabbiosi di origine marina, riferibili al Gelasiano-Santerniano, ricoperti da depositi vulcanici del "Distretto Vulcanico Vulsino" del Pleistocene Medio. I
sedimenti marini si sono deposti nel "Graben del Paglia-Tevere", bacino
estensionale sviluppatosi a partire dal tardo Zancleano in parziale contiguità
ad est ai bacini intrappenninici di Rieti e Tiberino e al bacino Romano a sud. La
costa si trovava una quindicina di chilometri circa verso est, in
corrispondenza delle pendici della dorsale Monti Amerini-Monte Peglia, lungo
cui si rinvengono depositi grossolani costieri in un ampio intervallo di quota
(tra Orvieto Scalo, Colonnette di Prodo, Corbara, Baschi, Guardea), mentre
l'area di Civita di Bagnoregio era rappresentata da un fondale marino profondo
presumibilmente un centinaio di metri, su cui si accumulavano i sedimenti più
fini portati a mare dai torrenti che solcavano le zone di alto strutturale.
Dopo l’emersione i depositi marini sono stati ricoperti
dai prodotti del Distretto Vulcanico Vulsino, attivo nell'intervallo
di tempo compreso all'incirca tra 590 mila e 125 mila anni, e costituito da 5
complessi vulcanici: "Paleo-Vulsini" (circa 590-490 mila anni fa), "Campi
Vulsini" (circa 490-125 mila anni fa), "Bolsena-Orvieto" (circa 350-250 mila
anni fa), "Montefiascone" e "Latera" (circa 280-140 mila anni fa).
Salendo
il ponte che conduce a Civita sono ben visibili i prodotti vulcanici che,
ricoprendo i depositi marini, costituiscono la base della rupe: tali prodotti
vulcanici sono rappresentati da depositi fittamente stratificati in prevalenza
da ricaduta riferibili al Complesso "Paleo-Vulsini", alternati a paleosuoli
testimonianti lunghi intervalli tra una fase eruttiva e la successiva, e dal
tufo litoide dell'"ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio", emessa circa 333 mila
anni fa dal Complesso "Bolsena-Orvieto".
Civita di Bagnoregio e la Valle dei Calanchi (le frecce rosse indicano i “ponticelli”) |
Il
particolare assetto geologico e l’approfondimento delle valli avvenuto in
particolare durante l’ultimo stazionamento basso del livello marino (circa 18
mila anni fa durante l’ultimo acme glaciale) hanno condotto ad una rapida evoluzione
dei versanti legata a fenomeni complessi interagenti fra loro; tali fenomeni di
instabilità si manifestano attraverso molteplici tipologie di frane, sia per
quanto riguarda i meccanismi di movimento, che per le velocità e i materiali coinvolti.
L’evoluzione
del paesaggio assume in alcuni luoghi una rapidità e una spettacolarità uniche,
come per esempio nella zona dei "ponticelli", una sottile cresta argillosa in
prossimità del borgo di Civita, caratterizzata da pareti verticali alte alcune
decine di metri, su cui gli abitanti del luogo transitavano per raggiungere i
campi; lo smantellamento operato dall'erosione ha impedito il passaggio nel
giro di poco tempo, come testimonia di seguito il Prof. Tommaso Ponziani.
Civita di Bagnoregio e i “ponticelli” (foto: www.luanamonte.com) |
I
PONTICELLI PERDUTI
(Prof. Tommaso Ponziani)
All'inizio
degli anni ’60, quando avevo 14-15 anni, i ponticelli erano la temeraria porta
d’accesso di un mondo ignoto e affascinante da esplorare con indomito spirito
d’avventura: la Valle
dei Calanchi, che allora, con gli occhi di un giovane ragazzo, mi appariva
selvaggia e quasi sconfinata.
Ci
si addentrava nella valle guidati dai ragazzi più grandi di qualche anno
(ricordo gli amici Vittorio Mangione e Franco Gatti), percorrendo di corsa quella
stretta e ardita lama di argilla quasi sospesa nel vuoto; ricordo che era larga
all'incirca un paio di metri ed era ricoperta da traversine della ferrovia,
sistemate per agevolare il passaggio. Già allora però il percorso non era
integro: a volte durante la corsa ci si trovava euforici col cuore in gola a
fare un salto per evitare una traversina mezza franata o addirittura una buca
che si spalancava sull'abisso.
I “ponticelli” negli anni ‘50 |
Era
necessario guardare lontano se qualcun altro stava percorrendo, magari a dorso
di mulo, i ponticelli in senso contrario: in tal caso, con un tacito accordo,
chi si trovava in prossimità di un punto più largo doveva aspettare per facilitare
il reciproco passaggio, evitando così che l'incrociarsi fosse ancora più
pericoloso di quanto non lo fosse già.
Le
persone facevano spesso avanti e indietro non solo per puro divertimento come
noi, ma anche e soprattutto per recarsi a coltivare i campi e a governare gli
animali facendo un tragitto molto più breve rispetto alla strada normale.
Purtroppo
già verso la fine degli anni ‘70 era diventata una (triste) consuetudine
arrivare ogni tanto fino al "montijone" (uno sperone di roccia tufacea subito
prima dei ponticelli) a constatare lo stato di smantellamento della cresta, su
cui ormai era impossibile avventurarsi.
I “ponticelli” nel 1969 (foto: E. Ramacci) |
Vedere
i ponticelli come sono ridotti oggi mi procura un tuffo al cuore: un senso di
nostalgia per i giorni spensierati della mia giovinezza a Bagnoregio, e una
sensazione di profonda inquietudine per la caducità di un incantevole
territorio, la cui metamorfosi nel corso degli anni incanta e al tempo stesso rattrista
perché a volte conduce alla perdita dei luoghi dei bei ricordi.
I “ponticelli” oggi |
I “ponticelli” oggi; in alto a sinistra il “montijone” (foto: www.luanamonte.com) |
Per
saperne di più:
*
Curatore e Responsabile dei Servizi Educativi del “Museo Geologico e delle Frane”,
Civita di Bagnoregio, Viterbo
**
Direttore del “Museo Geologico e delle Frane”, Civita di Bagnoregio, Viterbo
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