domenica 28 luglio 2013

Geoitalians did it better (ovvero “Del primato italiano nella geologia tra il XVI e il XVIII secolo”)

di Alessio Argentieri e Marco Pantaloni

Seguendo un percorso a ritroso nel tempo, verso le epoche in cui i confini tra le discipline scientifiche erano labilmente definiti, si possono trovare le radici del primato italiano nella geologia: bisogna ritornare tra il XVI e il XVIII secolo, quando gli studiosi erano al tempo stesso medici, botanici, astronomi, geologi, naturalisti, chimici e forse anche un po' stregoni ....

Nella prefazione del volume Four centuries of the word Geology. Ulisse Aldrovandi 1603 in Bologna (2003), che ricostruisce la nascita delle moderne discipline geologiche nell’ambiente culturale bolognese tra il XVI e il XVII secolo, Gian Battista Vai e William Cavazza pongono due fondamentali interrogativi:
  • “Perché il primato italiano nello sviluppo della geologia dal Cinquecento al Settecento- ammirato da Lyell sin dalla prima edizione dei Principles of Geology (1830-1833)- è stato dimenticato dai geologi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e mai preso in considerazione dagli storici della scienza?”
  • “Perché la epistemologia sta diventando riserva di caccia degli umanisti, mentre gli scienziati sono sempre meno consci del loro importante ruolo filosofico e culturale, contribuendo ad allargare il solco fra le due culture?”

giovedì 25 luglio 2013

Attilio Moretti: il cantore della Pietra

di Anna Rosa Scalise
Ritratto di Attilio Moretti,
realizzato da Sergio Pascolini

Attilio Moretti nasce il 26 febbraio del 1910 a Carrara, dove suo padre Ettore, originario di Taibòn in Val d’Agordo, presta servizio come perito, con dedizione e impegno assoluti, presso il locale Distretto Minerario.
A Carrara, dove frequenta le scuole elementari, sono legati i ricordi e le amicizie della sua fanciullezza. Gli studi medi ed universitari vengono svolti a Padova, dove si laurea nel 1933 in ingegneria industriale meccanica, con una tesi riguardante il progetto di una segheria e di un laboratorio per la lavorazione dei marmi; nello stesso anno consegue, presso il Politecnico di Milano, l’abilitazione all'esercizio della professione di ingegnere.
Nel 1935 vince un concorso bandito per due allievi geologi, uno dei quali laureato in ingegneria, presso il Regio Ufficio Geologico. Viene assunto ed è subito impegnato nel rilevamento della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, spaziando dall'Umbria (Foglio Gubbio) alla Sardegna (Foglio Sassari), area quest’ultima nella quale le conoscenze geologiche non avevano, praticamente compiuto alcun progresso rispetto all'opera di Lamarmora, risalente alla metà del 1880.

domenica 21 luglio 2013

I “ponticelli” di Civita di Bagnoregio (Viterbo)

di Giovanni Maria Di Buduo* e Tommaso Ponziani**

CIVITA DI BAGNOREGIO
(Geol. Giovanni Maria Di Buduo)

A Civita di Bagnoregio e nella circostante "Valle dei Calanchi" (corrispondente alle valli del Rio Torbido e del suo affluente sinistro Fosso di Bagnoregio) i processi di modellamento della superficie terrestre sono caratterizzati da una intensità e da una velocità tali da tradursi in un "paesaggio vivente" di straordinaria bellezza e particolarità, tra i più affascinanti del territorio nazionale.
I versanti sono costituiti da argille limoso-sabbiose e limi argilloso-sabbiosi di origine marina, riferibili al Gelasiano-Santerniano, ricoperti da depositi vulcanici del "Distretto Vulcanico Vulsino" del Pleistocene Medio. I sedimenti marini si sono deposti nel "Graben del Paglia-Tevere", bacino estensionale sviluppatosi a partire dal tardo Zancleano in parziale contiguità ad est ai bacini intrappenninici di Rieti e Tiberino e al bacino Romano a sud. La costa si trovava una quindicina di chilometri circa verso est, in corrispondenza delle pendici della dorsale Monti Amerini-Monte Peglia, lungo cui si rinvengono depositi grossolani costieri in un ampio intervallo di quota (tra Orvieto Scalo, Colonnette di Prodo, Corbara, Baschi, Guardea), mentre l'area di Civita di Bagnoregio era rappresentata da un fondale marino profondo presumibilmente un centinaio di metri, su cui si accumulavano i sedimenti più fini portati a mare dai torrenti che solcavano le zone di alto strutturale.
Dopo l’emersione i depositi marini sono stati ricoperti dai prodotti del Distretto Vulcanico Vulsino, attivo nell'intervallo di tempo compreso all'incirca tra 590 mila e 125 mila anni, e costituito da 5 complessi vulcanici: "Paleo-Vulsini" (circa 590-490 mila anni fa), "Campi Vulsini" (circa 490-125 mila anni fa), "Bolsena-Orvieto" (circa 350-250 mila anni fa), "Montefiascone" e "Latera" (circa 280-140 mila anni fa).
Salendo il ponte che conduce a Civita sono ben visibili i prodotti vulcanici che, ricoprendo i depositi marini, costituiscono la base della rupe: tali prodotti vulcanici sono rappresentati da depositi fittamente stratificati in prevalenza da ricaduta riferibili al Complesso "Paleo-Vulsini", alternati a paleosuoli testimonianti lunghi intervalli tra una fase eruttiva e la successiva, e dal tufo litoide dell'"ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio", emessa circa 333 mila anni fa dal Complesso "Bolsena-Orvieto".

Civita di Bagnoregio e la Valle dei Calanchi
(le frecce rosse indicano i “ponticelli”)

mercoledì 17 luglio 2013

La Foresta fossile di Dunarobba


di Marco Pantaloni
La foresta fossile di Dunarobba pochi
anni dopo la riscoperta (foto del 1988)


Sebbene la foresta fossile di Dunarobba sia stata sottoposta a vincolo dal Ministero per i Beni culturali e dalla Regione dell’Umbria solo piuttosto recentemente, sul finire degli anni ’80, i primi ritrovamenti di tronchi fossili nell’area tudina si fanno risalire intorno al 1600.
In particolare, nel 1620, Francesco Stelluti da Fabriano cominciò a studiare i legni fossili ritrovati, che vennero chiamati metallofiti; l’incarico di studio venne conferito a Stelluti dal principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei. Alla fine delle sue ricerche, nel 1637 Stelluti pubblicò il suo "Trattato sul legno fossile minerale
nuovamente scoperto" sui tronchi rinvenuti descrivendo, oltre ai caratteri del fossile, anche il sito di ritrovamento.

sabato 13 luglio 2013

1877: Luigi Baldacci e la carta geologica della Sicilia

di Fabiana Console

Com'è noto il rilevamento per la prima edizione della Carta Geologica d’Italia alla scala di 1:100.000 iniziò nel 1877. Per motivi economici e politici, legati all'estrema importanza mineraria della zona, i primi fogli ad essere rilevati, tra il 1877 ed il 1881, furono quelli relativi all'Isola di Sicilia, che vennero poi stampati tra il 1884 ed il 1886. Il lavoro di rilievo da parte degli ingegneri del Corpo Reale delle Miniere (L. Mazzetti , L. Baldacci. A. Di Stefano, R. Travaglia, E. Cortese, M. Anselmo) fu facilitato, rispetto al resto d’Italia, poiché essi poterono utilizzare come base i 46 fogli a scala 1:50.000 della Carta Topografica dello Stato Maggiore Italiano (1862), poi denominato Regio Istituto Geografico Militare. Ovviamente la scala di tale cartografia risultava troppo poco dettagliata e non era quindi adatta, ragion per cui furono “ingranditi fotograficamente alla scala 1:25.000 tutti i fogli della zona solfifera e regioni limitrofe” e su di esse effettuato un lavoro di rilevamento in campagna.


La direzione scientifica del lavoro, soprattutto la parte relativa alla classificazione dei terreni geologici, la serie dei colori e le loro gradazioni corrispondenti, fu affidata al prof. Gemmellaro. Il rilevamento in loco, che fu coordinato da Toso, esperto della zona solfifera di Caltanissetta e già allora ingegnere del Distretto Minerario della Sicilia, iniziò quando l’Ufficio Geologico, trasferitosi a Roma, poté disporre di “alcuno degli ingegneri delle miniere tornati dagli studi speciali fatti all'estero” tra cui Luigi Mazzetti e Luigi Baldacci.

domenica 7 luglio 2013

Sasso Remenno: il monolito più grande d’Europa

di Marco Pantaloni

Nel resoconto “Raetia”, pubblicato a Zurigo nel 1616 da Guler von Weineck, governatore della Valtellina per le Tre Leghe nel periodo 1587 – 1588, si trova testimonianza di uno dei monumenti naturali più celebri della Val Màsino, il Sasso Remenno.




Nel libro, infatti, si legge: “Poco oltre il villaggio di S. Martino, scendendo dalla valle, si incontra presso la piccola frazione Remenno un enorme e colossale macigno, lungo trentacinque braccia, largo dieci ed elevato quindici, che alcuni ritengono piuttosto un monte (prescindendo dal fatto che esso presenta da ogni parte una struttura quadrata) che non una pietra isolata: tanto più che non si può vedere donde esso possa essersi staccato ed arrivato sin laggiù”.
Nel 1864 venne pubblicata la guida “Central Alps” e l’autore, John Ball, descrive il Sasso Remenno in questi termini: “Sembra che a diversi intervalli enormi massi siano precipitati dalla parete della montagna del lato occidentale della valle. Alcuni dei più antichi sono ricoperti di muschio e la gente ha fatto in modo di far crescere piccoli appezzamenti di patate con terra che è stata portata su e sparsa sulla sommità di alcuni di questi blocchi”.

Il Sasso Remenno fa parte di un impressionante accumulo di blocchi denominato Preda di Remenno, che si raggiunge risalendo la Val Masino, percorrendo la Strada Provinciale Cataeggio – Filorera. Al km 11,5 si passa in una zona dominata da massi erratici, tra i quali il Sasso Remenno, il monolito più grande d’Europa. Due parcheggi consentono l’accesso alla zona, molto frequentata dai praticanti del bouldering e dell’arrampicata.
L’origine della Preda è, naturalmente, glaciale; dal ghiacciaio che copriva l’attuale Val di Mello emergevano solo le cime più alte della valle, il monte Disgrazia, i pizzi Torrone, Badile, Cèngalo, la punta Rasica, la cima di Castello, la cima di Zocca, i pizzi del Ferro. Le forme verticali, lisce, straordinariamente levigate delle numerosissime placche di granito sono dovute senza dubbio all'azione modellatrice del ghiacciaio. Dell'ultimo e definitivo ritiro dei ghiacci resta solo una esigua traccia alle quote più alte. Il ritiro del ghiacciaio determinò, in seguito, il crollo dei grandi blocchi di granito, così come li troviamo ora disposti casualmente nella Preda di Remenno.


Stralcio del foglio 7-18 Pizzo Bernina-Sondrio
della Carta geologica d'Italia in scala 1:100.000
(Servizio geologico d'Italia - ISPRA)

Il territorio è costituito da affioramenti di rocce intrusive: si tratta della granodiorite della Val Màsino denominata localmente “Ghiandone” (a facies porfirica con macrocristalli di feldspato potassico, affiorante nella parte settentrionale della valle) e della quarzodiorite del Monte Bassetta, denominata “Serizzo” (quarzodiorite a tessitura orientata con passaggio a granodioriti o dioriti).

L’area ricade nel foglio 7-18 Pizzo Bernina – Sondrio della Carta geologica d’Italia in scala 1:100.000 (sito ISPRA).

mercoledì 3 luglio 2013

Renato Funiciello, atleta e scienziato

MENS SANA IN CORPORE SANO

di Alessio Argentieri
Renato Funiciello
(Tripoli, 3 Luglio 1939 - Roma, 14 Agosto 2009)


Il 3 Luglio di settantaquattro anni fa nasceva a Tripoli Renato Funiciello, personaggio poliedrico, lungimirante e innovatore nei diversi ambiti delle Scienze della Terra nei quali si è cimentato.
Figura trainante della geologia italiana del ‘900, ha avuto un ruolo di primo piano a livello locale, nazionale e internazionale, conducendo la comunità tecnico-scientifica verso il XXI secolo e lasciandole una preziosa eredità per il futuro. Se Renato ha potuto realizzare i numerosi progetti che oggi costituiscono il suo lascito, sicuramente molto è dipeso dal suo spirito sportivo e goliardico: questo tratto caratteriale, sviluppato in gioventù, lo ha sempre contraddistinto anche nelle fasi più difficili della sua vita, soprattutto durante la malattia che ne ha tormentato gli ultimi anni.