Un personaggio straordinario
Nel marzo del 2007, grazie ad Dott. Edoardo Martinetto (Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Torino) che mi ha fornito un estratto della rivista GEAM (da cui ho attinto sia per la foto che per diverse notizie), sono finalmente riuscito a sapere quando il professor Giovanni Charrier è mancato ed apprendere qualche notizia in più sulla sua vita.Al Prof. Charrier (Torino, 1920 - Fabriano, 2000) infatti devo molto e mi sembrato giusto dedicare un breve scritto in memoria della sua persona che, dalla fine degli anni settanta, non ebbi più occasione di incontrare.
Ero già appassionato di paleontologia fin dal 1969, e nel 1974 grazie ad un personaggio straordinario, il Prof. Giovanni Charrier (laureato in Farmacia e in Scienze Naturali, libero docente di Paleobotanica) docente di Geologia presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, la mia passione ebbe una seria svolta "scientifica".
Al professore parlò di me e della mia passione per i fossili un suo allievo, mio caro amico, e subito il professore volle conoscermi e così mi fu presentato.
Probabilmente il professor Charrier vedeva in me un giovane mosso da una grande passione per questa materia e gli ricordavo la sua gioventù: mi aveva addirittura messo a disposizione il suo studio nel Politecnico di Torino per consultare testi e pubblicazioni di paleontologia sotto la sua guida. Mi consigliò anche di iscrivermi alla facoltà di Sienze Naturali, cosa che feci, ed alla SPI (Società Paleontologica Italiana) a cui sono associato fin dal dal 1975.
Il sabato mattina spesso mi recavo in quella stanza delle meraviglie piena di cassettini zeppi di fossili, vetrini campioni, ecc. C'erano anche molte pubblicazioni, che usavo per classificare i campioni che raccoglievo nelle uscite su terreno. Avevo chiesto infatti chiarimenti riguardanti fossili rinvenuti nei dintorni di Asti. Come tutti gli appassionati di paleontologia piemontesi di quel tempo, anche il sottoscritto iniziò ad appassionarsi alla materia classificando bivalvi e gasteropodi fossili con l'aiuto dei volumi dell'opera chiamata brevemente il "Bellardi-Sacco" che mi venne messa gentilmente a disposizione.
Il Prof. Charrier, personaggio d'altri tempi, allora già verso la pensione, mi raccontò che durante l'ultima guerra era solito aggirarsi sulle pendici del piccolo colle torinese del Monte dei Cappuccini alla ricerca di fossili.
Il Monte dei Cappuccini che si trova lungo la riva destra del Po, è un'amena località cara a tutti i torinesi, sede dell'omonimo convento e chiesa (consacrata il 22 ottobre 1656) al cui fianco sorge oggi anche il Museo della Montagna, ma era anche conosciuta dai paleontologi quale località fossilifera del Miocene. Il giacimento (ormai scomparso) è noto fin dalla metà del Seicento, infatti durante la costruzione del convento, la storia ricorda che i frati scavando le fondamenta rinvennero moltissime conchiglie fossili.
La cosa si ripeté durante la Seconda Guerra Mondiale: i soltati che stavano scavando le gallerie di un vasto rifugio antiaereo nel corpo collinare, estraevano infatti numerosi fossili. Il giovane Charrier, già allora appassionato di paleontologia, scambiava i reperti che i militari trovavano con delle ambite sigarette. I fossili più difficili da ottenere erano dei grossi denti di squalo, probabilmente Otodus (Carcharodon) megalodon, che i militari infilavano nella retina dell'elmetto quale fiero ornamento.
In alto: il professor Federico Sacco (Fossano 1864 - Trofarello 1948), in basso il professor Giovanni Charrier (Torino, 1920 - Fabriano, 2000). |
Ricordo di uno studente.
La risposta di Charrier la ricordo ancora ora: "nei miei studi ed in quelli oggi a me noti di altri accademici paleontologhi, non vi è alcuna evidenza scientifica che una nuova specie sia nata dal processo evolutivo di una specie preesistente, per noi studiosi è ancora un mistero".
Pochi mesi addietro, ho assistito ad una conferenza tenuta dal Prof. Oddifredi sul suo ultimo libro su Darwin. Al termine della conferenza ho preso la parola, per chiedere se quanto avevo appreso dal Prof. Charrier sull'origine delle specie, fosse ormai superato e risolto, chiedendo indicazioni su eventuali pubblicazioni di sua conoscenza, in merito alla questione
Dalla risposta completamente evasiva ho avuto la conferma che sull'argomento siamo ancora non lontani da quanto ci aveva detto il nostro Prof. Giovanni Charrier.
Un articolo quasi profetico
La rivista GEAM (Associazione Georisorse e Ambiente) al tempo ne pubblicò il necrologio a cui ho attinto sia per la foto che per le diverse notizie sulla produzione scientifica del professore che seguono. Ho deciso di riportare letteralmente tale testimonianza che fu usata per introdurre anche il suo ultimo lungo, ma bellissimo articolo, mai pubblicato, dal titolo Riflessioni sulla Terra del passato del presente e dell'avvenire. La rivista GEAM scriveva quanto segue.La recente scomparsa del Prof. Giovanni Charrier (Torino, 1920 - Fabriano, 2000) ha suscitato emozione e rimpianto in quanti, amici, studiosi ed allievi, ebbero modo di frequentarlo e di apprezzarne le peculiari doti sul piano umano, scientifico e didattico.
Intensa ed esemplare in tutto l'arco della carriera (dal 1949 al 1981), ed anche oltre, fu la sua attività di studio e di ricerca, documentata da tre libri di testo e da un'ottantina di pubblicazioni, che ne evidenziano la pluralità di interessi scientifici, la vasta cultura e la solida preparazione tecnica: da ricordare particolarmente l'alto grado di specializzazione nell'analisi di pollini e spore fossili e nell'interpretazione delle loro sequenze stratigrafiche.
Dei cospicui risultati di così ragguardevole operosità Egli sapeva ben avvalersi, riversandoli, vivificati dalla naturale inclinazione per gli aspetti speculativi della scienza, nell'insegnamento della Geologia, non esitando talvolta a sconfinare dai limiti programmati di un corso di tipo istituzionale per avventurarsi e coinvolgere i fortunati (a suo dire pazienti) allievi nel campo avvincente, a tratti profetico, della filosofia naturale.
A quei trascorsi ormai lontani, ma ancora vivi nel ricordo di molti, sono ispirate queste "Riflessioni" a sfondo escatologico sull'evoluzione del nostro pianeta, ultimo lavoro del Prof. Charrier compiutamente redatto per la pubblicazione: come tali rappresentano per noi un lascito aggiuntivo di dottrina e di pensieri maturati nel volgere di un'esistenza singolare, estranea ai clamori accademici, trascorsa nel raccoglimento dello studio e nel silente adempimento del dovere.
Anche se attualmente il testo di quello scritto, dopo più di venti anni, per alcune notizie, risulta scientificamente forse un poco obsoleto, si tratta in effetti di un articolo che direi molto attuale, e addirittura quasi profetico per i suoi contenuti in riferimento ai tempi odierni.
Grazie anche all'interessamento del Dott. Barale (CNR, Istituto di Geoscienze e Georisorse di Torino) ho rintracciato il cartaceo completo del pezzo (si trattava di fotocopie) l'ho riscritto emanuensemente ed integralmente e l'ho inserito al fondo di queste pagine. Penso che valga la pena di leggerlo attentamente. Qui la storia del nostro pianeta viene riassunta con l'occhio dello scienziato adottando una sintesi -che, secondo me è geniale, e fa comprendere quanto la nostra Terra sia unica e preziosa.
Notizie sulla produzione scientifica del Prof. Charrier
I principali campi di ricerca ai quali il Prof. Giovanni Charrier (laureato in Farmacia e in Scienze naturali, libero docente in Paleobotanica) si è dedicato sono stati i seguenti.Geobotanica - Tra il 1947 e il 1951 ha compiuto il rilevamento floristico della Val Sangone e del Bacino del Chisola (Piemonte), finalizzato alla rappresentazione cartografica ed all'interpretazione fìtogeografica dell'assetto vegetazionale di quelle vallate. Altri studi di carattere geobotanico riguardano la distribuzione di alcune specie di piante vascolari in Sardegna.
Rilevamento geologico - Nel corso di impegnative campagne, dal 1952 al 1961, ha rilevato settori dei quadranti HI e IV del Foglio 181 (Tempio Pausania) e I, II e IV del Foglio 207(Nuoro) della carta geologica della Sardegna. Alcune note illustrano le caratteristiche geologiche del territorio esplorato.
Paleontologia e stratigrafia - In numerose pubblicazioni, corredate da una ricca documentazione iconografica, sono consegnati originali contributi alla conoscenza della flora fossile (in particolare legni silicizzati) di alcune regioni italiane, della formazione oligocenica di Pianfolco nell'Appenino Ligure della fauna pliocenica di Lessona nel Biellese, della malacofauna di arenali a clima caldo del Tirreniano nel Golfo di Oroseì (Sardegna).
Climatologia - Una copiosa serie di lavori di largo respiro, basati studio di reperti paleofloristici (particolarmente da depositi torbosi e lacustri) e paleofaunistici, integrato dal ricorso ai moderni metodi di datazione, ha recato nuove e risolutive conoscenze sull'evoluzione del clima e dell'ambiente durante il Quaternario nel settore delle Alpi occidentali italiane.
Segnalo infine i libri di testo (pubblicati dalla Libreria Editrice Universitaria Levrotto e Bella di Torino) di cui il Prof. Charrier è stato autore.
- Lezioni di Paleontologia vegetale ed animale (1° ed.), 1953;
- Paleontologia (2° ed. di Lezioni di Paleontologia vegetale ed animale), 1973;
- Fondamenti moderni delle scienze geologiche, 1962;
- Geologia - Introduzione allo studio delle scienze della Terra, 1978.
Riflessioni sulla Terra del passato, del presente e dell'avvenire
La storia terrestre ci conduce a esaminare le vicende di un singolare pianeta di natura rocciosa, che si individuò durante lo sviluppo del Sistema Solare iniziatosi 4.600 MA (MA sta per un milione di anni) or sono, per effetto dell'esplosione catastrofica di una "super-nova".
L'origine del cosmo fu un evento molto più antico che cominciò con la dilatazione di un grumo di materia super concentrata nello spazio secondo la teoria del big bang e dell'universo in espansione, tesi osannata, criticata e oggi rivalutata anche per la scoperta di documenti dell'evento primordiale (neutrini fossili).
Da una nube interstellare di polveri e gas, residuo della supernova, si formò quella piccola stella di seconda generazione che è il Sole, con il suo corteggio di oggetti planetari e dei loro satelliti, che si sono andati costruendo a poco a poco. Pianeti sin dall'origine distinti in due classi: terrestri (Mercurio, Venere, Terra e Marte) più vicini al Sole, ad elevata densità, poveri di elementi leggeri perduti per effetto termico e formati essenzialmente da materiale roccioso, e giovani (Giove, Saturno, Urano e Nettuno), più lontani dal Sole e con densità e composizione simile a quella del Sole. Ma solo la Terra si trovava nella posizione più adatta rispetto al Sole, non troppo vicina e non troppo lontana, per proseguire il prestigioso cammino che l'ha condotta attraverso molte vicende e trasformazioni, fino alla condizione attuale.
Un oggetto planetario di tipo terrestre si forma per progressiva agglomerazione di polveri, di particelle e di frammenti sempre maggiori (planetesimali) in moto accelerato verso l'interno, sotto la guida del campo gravitazionale, che si sta creando. L'energia cinetica viene convertita in calore determinando la fusione dei materiali interessati da questo processo.
Al centro del corpo planetario si portano le frazioni più pesanti, che daranno vita al nucleo metallico del pianeta mentre i materiali silicei galleggiano originando il mantello.
Il nucleo metallico ha la possibilità. di mantenersi totalmente o parzialmente in stato di fusione e con i suoi movimenti dà vita a un campo magnetico (magnetosfera), che subisce periodiche inversioni di polarità facendo variare la funzione di schermo sui convogli energetici provenienti dallo spazio. In piccoli corpi planetari come nel caso della Luna o di Marte può mancare il nucleo metallico, così che essi risultano totalmente rocciosi.
Per quanto si riferisce alla Terra va sottolineato che il calore originario proveniente dalla conversione dell'energia cinetica si sarebbe disperso forse in soli centomila anni, se non fosse esistita all'interno una fonte di calore legata al processo di decadimento dei nuclei degli elementi radioattivi, che compensa largamente la perdita del calore originario. Quando il nostro pianeta si fu alfine individuato, ebbe inizio la storia geologica che ha condotto la Terra ad assumere le caratteristiche attuali, attraverso continue trasformazioni nel corso di una durata di oltre tre miliardi di anni, per effetto di fenomeni decorrenti all'interno o alla superficie. Sono i fenomeni geologici, che sembrano raggrupparsi in una serie di cicli (cicli tettonici, magmatici, sedimentari, ecc.), anche se nulla si è ripetuto esattamente e la Terra ha sempre dimostrato una spiccata capacità di trasformazione.
La ciclicità indica solo il riproporsi di episodi che hanno delle analogie con quelli che li precedono o che li seguono ma che non si riproducono allo stesso modo. Tali cicli costituiscono spezzoni utilizzabili come modelli ritagliati nel flusso incessante e irreversibile della storia della Terra.
Oggi si tende a sottolineare che la fenomenologia geologica non esclude affatto il catastrofismo caro a quel sommo naturalista che fu Giorgio Cuvier (teoria delle catastrofi e delle creazioni successive) in contrasto con l'attualismo del Lyell. I fenomeni geologici sono per loro natura di estrema complessità.
Operano vistose modificazioni degli assetti preesistenti, in tempi lunghi, a meno che non si tratti di eventi catastrofici, e coinvolgono grandi masse di materiali. Per tali ragioni non sono riproducibili in laboratorio. Tra i fattori in gioco ricordo l'apporto energetico del Sole entro certi limiti variabile, il calore interno legato alla presenza di elementi radioattivi in corso di decadimento, che è responsabile della tettonica e del magmatismo, il bombardamento meteoritico, che fu intensissimo alle origini ma che continuò durante tutta la storia geologica , causa prima di eventi catastrofici di grande rilevanza come sarà in seguito precisato.
La Terra delle origini fu lontana dalla condizione attuale. Per effetto del surriscaldamento, che disperdeva gli elementi leggeri volatili, solo in un secondo tempo poté conservare un'atmosfera e accogliere un'idrosfera. L'acqua attraverso interminabili diluvi si raccolse nei crateri originati dalla collisione con oggetti meteoritici, ma acqua e aria erano prive di ossigeno libero e contenevano larga messe di composti dell'idrogeno, dell'azoto, del carbonio e dello zolfo, un chimismo che favoriva la sintesi di molecole complesse, che sono distrutte dall'ossigeno.
Ma uno sguardo va rivolto anzitutto alla condizione della crosta, che si stava modernizzando per effetto della tettonica e dell'attività magmatica. A partire dai materiali fusi risalenti dal mantello distinto in una regione profonda, rigida, la sclerosfera, seguita da un involucro quasi fluido, l'astenosfera, si originò per cristallizzazione la crosta terrestre o litosfera.
Dai convogli differenziati in senso acido derivarono per intrusione, la più nobile delle rocce, il granito, o le pegmatiti filoniane, e per effusione gli espandimenti lavici, che consolidarono come coperture del tipo dei porfidi quarziferi, mentre dalle masse fuse di silicati ferro-magnesiaci si formarono le rocce di natura peridotitica. Si manifestò fin dalle origini un netto dualismo nella litogenesi magmatica tra Sial costituente della crosta continentale e Sima legato alla crosta oceanica.
Da tempi remoti la crosta principiò a frantumarsi e così si originarono le placche crostali in movimento di allontanamento tra di loro con la conseguente formazione di oceani interposti a fondo simatico, o di scontro con la formazione di catene di montagne (orogenesi).
Su questa Terra primordiale comparvero precocemente i precursori della vita, che invece tardò a lungo a manifestarsi in forme primitive, ma già riconoscibili allo stato fossile. Nelle lagune fangose sature di idrocarburi si immagina che la vita si sia iniziata 3.800 MA orsono attraverso la formazione di aminoacidi, che finirono per strutturarsi in catene del DNA (acido desossiribonucleico), grosse molecole capaci di riproduzione e di programmazione.
Qualcuno ha supposto persino un intervento di extraterrestri. Ma la cosa ha solo sapore fantascientifico. Di recente su Titano, satellite di Saturno, sono state scoperte molecole primordiali della vita.
Le rocce metamorfiche della serie di lsua (scudo groenlandese) vecchie di 3.800 MA hanno rivelato la presenza di carbonio con valori della composizione isotopica tali da far ritenere un legame con attività esplicate da organismi o almeno da precursori macromolecolari della vita organica in senso stretto.
Ma la prima più sicura segnalazione della vita ci giunge dallo scudo australiano ed è offerta da rocce del tipo delle "stromatoliti", datate a circa 3.500 MA che affiorano a Warrawoona presso le miniere abbandonate di North Pole. Il significato delle stromatoliti è stato svelato dalle scoperte della biologa americana Lynn Margulis effettuate nelle lagune salate della Baja California (Messico), dove i batteri in quell'ambiente non accessibile alle piante superiori e agli animali edificano nella fanghiglia strutture a forma di una focaccia fogliettata simili a quei reperti, che ricorrono in rocce arcaiche in varie parti del mondo e che sono indicate nella letteratura geologica con il termine stromatolite.
A North Pole sono stati di recente individuati anche batteri fossili in colonie filamentose, la cui età corrisponde a quelle delle stromatoliti (3.500 MA). Ma occorre giungere fino alla data di circa 2.500 MA or sono per ritrovare batteri e alghe azzurre ben diversificate, tuttavia ancora con cellule procariote (Flora di Guntflint, Ontario, Canada) e a un miliardo di anni dal presente per scoprire gli eucarioti (alghe verdi) con nucleo cellulare di stile moderno (Flora di Bitter Springs, Australia centrale).
Solo a circa 600 MA fanno la loro comparsa animali marini come meduse, vermi, spugne, corallari e artropodi primitivi (Fauna di Ediacara, Adelaide, Australia). Si trapassa così dall'Eone criptozoico, o della vita nascosta, all'Eone Fanerozoico, o della vita manifesta, la biosfera, in pieno sviluppo e in costante progresso attraverso molti milioni di anni, fino a raggiungere il traguardo dell'ominazione, della presa di coscienza sul mondo.
Alcuni cosmologi tenuto conto dei valori di certe grandezze come la massa delle particelle elementari, la costante di Plank e la velocità della luce, hanno proposto il principio antropico, secondo il quale fin dal suo inizio il cosmo sarebbe stato studiato nei minimi particolari con il preciso intento di giungere attraverso la Terra e la vita fino all'uomo (universo geocentrico e antropocentrico).
Mentre la geologia del profondo continuava il suo corso condizionando la frantumazione della crosta e i movimenti delle placche di allontanamento tra di loro o di avvicinamento e di scontro e quindi gli atti della tettonica e del magmatismo, la geologia di superficie con le operazioni di erosione e di litogenesi sedimentare era in gran parte dipendente dalla presenza della vita organica, che a partire dal Cambriano, lasciati i bacini marini dove era nata, invase a poco a poco le terre emerse, producendo sostanziali trasformazioni.
Va sottolineato che i vegetali hanno svolto un ruolo di primo piano per rendere abitabile la Terra. Da principio pullularono nelle acque come alghe, che liberavano ossigeno nel corso del processo di fotosintesi clorofilliana e contribuivano a fissare il C02 nei calcari, sottraendolo all'atmosfera, che si salvava così gradualmente dall'effetto serra responsabile di un surriscaldamento dell'ambiente superficiale .
Le piante emersero per prime dal mare passando dallo stadio di tallofite evolute del tipo delle alghe brune a quello di cormofite ancestrali, forse già alla fine del Cambriano. Le piccole psilofitali (Rhynia, Psilophyton) del Devoniano, radicate al suolo nelle paludi con i fusti eretti privi di foglie protesi a catturare avidamente l'anidride carbonica nell'aria, attraverso i loro primitivi stomi, rappresentano il prototipo di pianta superiore terrestre.
Nella seconda metà dell'Era paleozoica, la linea di progresso del mondo vegetale si espresse sui continenti, da prima limitatamente alle aree di impaludamento, con una ricca esibizione di forme arboree munite di foglie: licopodiali (Lepidodendron, Sigillaria), articolate (Calamites), felci, pteridosperme e si lanciò poi alla conquista di ambienti meno umidi con le splendide paleoconifere (Lebachiacee), un poco simili alle nostre araucarie.
Risultano sin da allora acquisiti quegli organi prestigiosi che sono la foglia, la spora, il polline e il seme. Nel Carbonifero estese foreste di licopodi arborei, di equiseti arborei e di pteridosperme fornirono un ricco apporto di ossigeno libero all'atmosfera e poté anche abbozzarsi l'ozonosfera, che fa da schermo alle radiazioni solari più penetranti e nocive. I resti di queste foreste accumulatisi in grandi masse li ritroviamo nei giacimenti di carbon fossile.
La fauna, sviluppatissima in ambiente marino o lagunare, forse perché l'acqua forniva una valida protezione, tardò un poco invece a conquistare le terre emerse.
Un artropode simile agli scorpioni lasciò la sua impronta in rocce del Siluriano superiore e nelle "vecchie arenarie rosse" del Devoniano della Groenlandia compaiono i primi fossili di vertebrati, di anfibi labirintodonti che nel Carbonifero e nel Permiano raggiunsero la massima diffusione per poi presto decadere inchinandosi al dominio dei rettili, che emancipatisi dalle acque anche per la riproduzione e lo sviluppo giovanile, a partire dal Triassico diventarono i dominatori incontrastati del pianeta.
Ma deve essere qui ricordato che alla fine del Paleozoico la Terra andò incontro ad eventi di carattere catastrofico, e non era certo la prima volta che la cosa accadesse, anche se le cause di questi fatti rimangono pur sempre misteriose.
Le placche crostali a quel tempo si erano riavvicinate fino a costituire un unico super continente (Pangea), circondato da un oceano mondiale. Ci furono degli intensi contrasti climatici che culminarono con una estesa e prolungata glaciazione, una delle numerose grandi età glaciali che interessarono periodicamente il nostro pianeta a partire dall'Arcaico.
Seguirono ripetute crisi di aridità. Un gran numero di specie animali e vegetali dovette soccombere e scomparire sia in mare che sulle terre emerse, facilitando la comparsa e l'espansione di nuovi tipi in armonia con le mutate condizioni.
Il fenomeno dell'estinzione delle specie è continuato attraverso la storia geologica tanto che si può parlare di una vita della specie quasi come avviene per la vita di un individuo, e sono le specie a breve vita (tachiteliche) quelle che con i loro fossili hanno permesso di suddividere le formazioni sedimentarie in un gran numero di zone paleontologiche (con trilobiti, ammoniti, rudiste, foraminiferi, ecc.). Ma tutt'altra cosa è la. rapida scomparsa di intere faune e flore, che sottintende il verificarsi di qualche avvenimento catastrofico del tipo del diluvio universale, della distruzione di Sodoma di biblica memoria o delle famose catastrofi ipotizzate dal Cuvier e contraddette dal Lyell.
Sono state invocate come cause possibili di queste vicende disastrose rapidi mutamenti del clima (ma anche questi richiedono delle spiegazioni) o intense manifestazioni vulcaniche specie di tipo ignimbritico o la collisione della Terra con corpi meteoritici del tipo degli oggetti Apollo con nuclei o frammenti di comete.
Un evento di questo tipo si verificò il 30 giugno 1908 a Tugunska in Siberia. L'esplosione liberò una quantità di energia pari a quella che si sarebbe sviluppata da 700 bombe atomiche del tipo lanciato su Hiroshima (Kenneth J. H., 1993).
Collisioni con corpi meteoritici o comete devono essere avvenute con relativa frequenza nel corso della storia geologica e si sono di recente individuati crateri di natura non vulcanica, documento di·questi temibili scontri. Sulla Terra il rimaneggiamento operato dall'erosione può avere cancellato molti antichi crateri, e lo scontro in certi casi interessò aree oceaniche.
La superficie lunare, che non ha subito intensi rimaneggiamenti è fittamente ricoperta dalle tracce di crateri meteoritici.
Si è discusso molto sulle traumatiche vicende che hanno condotto tra Cretaceo e Terziario a radicali mutamenti nella composizione faunistica e florstica del nostro pianeta.
Oggi i dinosauri sono diventati di moda. Dalla paleontologia sono passati nel dominio dei romanzi di fantascienza e del cinema.
65 MA or sono non scomparvero solo i dinosauri ma anche le ammoniti, regine dei mari del Mesozoico, le rudiste, le belemniti, e un gran .numero di specie di animali e di piante, tanto che oltre quella data si manifestò quasi una nuova creazione: i continenti furono ricoperti da foreste di conifere di tipo moderno, le angiosperme offrirono i loro stupendi fiori, nei cieli volarono·uccelli e farfalle e i mammiferi iniziarono il cammino di gloria, che culminò con la comparsa degli ominidi.
L'atmosfera si arricchiva gradualmente di ossigeno libero, l'ozonosfera si) irrobustiva così che gli ambienti terrestri si rendevano adatti allo sviluppo di forme più avanzate di viventi.
Nei pressi di Gubbio (Umbria) uno straterello che segna il passaggio dal Cretaceo al Terziario a formazione di argille, ha mostrato una composizione chimica singolare rispetto a quella dei comuni sedimenti oceanici, perché è molto più ricco di iridio, platino e osmio e sembra avvicinarsi alla composizione dei materiali meteoritiche contengono questi elementi in tenori elevati.
Oggi quel prezioso livello stratigrafico è considerato un testimone della catastrofe che portò alla scomparsa improvvisa dei dinosauri e di una parte rilevante della fauna e dalla flora di quel tempo, aprendo la strada a un profondo rinnovamento della vita sulla Terra. Si ritiene infatti che l'esile strato ricco in iridio derivi dal disfacimento dell'oggetto meteoritico, che avrebbe colpito la Terra 65 MA or sono causando la catastrofe. Livelli di quel tipo ricchi in elementi del gruppo dell'iridio si sono ritrovati altrove come nel Montana entro serie stratigrafiche di passaggio dal Cretaceo al Terziario.
A partire dall'inizio del Terziario la situazione stava mutando dal punto di vista della geografia, della tettonica e del clima. L'epoca del clima pantropicale esteso a gran parte delle terre emerse, che aveva favorito l'incontrastato dominio dei rettili volgeva al tramonto. I continenti tendevano a separarsi e a migrare e tra loro si individuavano nuovi bacini oceanici, alcuni dei quali per il gioco di scontro tra le placche crostali venivano soppressi e sostituiti dalle giovani catene di montagne del ciclo orogenetico alpino. Un continente (l'Antartide) si spostava verso il polo Sud e fu ricoperto precocemente dal ghiaccio, segnale profetico della grande età glaciale pliocenico-quaternaria tuttora in corso di svolgimento (Frakes L. A.,1 1979).
Non è possibile in questa sede analizzare i processi di speciazione che hanno condotto flora e fauna a raggiungere il loro assetto attuale. Basti citare alcuni fattori in gioco come il ruolo esercitato dagli altipiani tropicali nel favorire le mutazioni cromosomiche in animali e piante, specie nel corso della inversione del campo geomagnetico principale, e le variazioni del clima (crisi glaciali o di aridità), che inducono vasti processi di migrazione per la ricerca di oasi di rifugio. Io ho sostenuto la teoria degli altipiani tropicali anche per quanto si riferisce alla comparsa di ceppi primitivi di ominidi geneticamente legati al phylum delle australopitecine . Secondo il Prof. Chiarelli il processo di ominazione potrebbe essere stato repentino, tale da non coinvolgere più di due generazioni. L'alta quota, la posizione degli altipiani in condizione di clima intertropicale, la diminuzione dell'intensità del campo geomagnetico durante un'inversione della polarità, avrebbero favorito il decorrere delle mutazioni nei corredi cromosomici (Messeri P., Dessì F., 1982).
A metà del Pliocene apparve Homo abilis con la sua preziosa "pebble culture" o cultura del ciottolo scheggiato, seguito da Homo erectus e più tardi da Homo sapiens neanderthalensis.
L'uomo moderno (Homo sapiens sapiens) fu invece figlio della Fase glaciale di Wurm, in un interstadio della quale noi viviamo.
Eventi di carattere catastrofico o quasi hanno interessato la storia recente della Terra. Anzitutto nel Messiniano una straordinaria crisi di aridità disseccò il Mediterraneo dando luogo alla sedimentazione di ingenti masse saline: gesso e salgemma.
A metà del Pliocene iniziò il suo cammino la grande età glaciale pleistocenico-quaternaria, caratterizzata dall'alternarsi di fasi glaciali, che favorivano l'espandersi delle coperture di ghiaccio sulle terre emerse: Donau, Gunz, Mindel, Riss e Wurm intervallate da periodi a clima mite, gli interglaciali (Hoyle F., 1982).
Circa 90.000 anni or sono, come suppone Hoyle e altri ritengono probabile, dall'interglaciale Riss-Wurm si trapassò quasi di colpo, nel giro di poche decine di anni, al primo stadio della fase glaciale di Wurm, forse sotto gli effetti di un evento catastrofico (collisione con un oggetto Apollo?).
Si data a 16.000 anni dal presente l'ultimo e più freddo stadio del Wurm (W 4), che presto lasciò spazio a un intenso raddolcimento del clima, che condusse nell'Olocene, durante i millenni dell'Ottimo climatico postglaciale o ipsoterrnico, alla fusione di molta parte dei ghiacci continentali e a un vistoso innalzamento del livello medio dei mari.
Negli ultimi millenni ci fu un ritorno al freddo (Neo-glaciale) e questi mutamenti di clima influirono sulla fauna, sulla flora e sulle popolazioni umane, sollecitando effetti di migrazione verso contrade più miti e ospitali (Carpenter R., 1969).
Il Sahara prima di trasformarsi in deserto (esempio di un recente processo di estesa desertificazione) fu ricoperto da praterie e foreste e ospitò gli uomini del Mesolitico terminale e del Neolitico, che lasciarono in quei luoghi larga messe dei loro manufatti litici (lamine, coltelli, punte di freccia, punte di lancia, raschiatoi ecc.). Da allora la storia della Terra e del variare dei suoi climi si fuse ormai con la storia umana, come negli ultimi due secoli che videro Napoleone e Hitler sconfitti dal "generale inverno".
2 - La Terra nella difficile situazione presente
La biosfera, cioè il mondo delle piante e degli animali, fin dalle origini ha esercitato sugli ambienti terrestri una grande influenza, realizzando condizioni di relativo equilibrio, che permettevano il proseguimento della vita e il suo progresso.
Intense manifestazioni vulcaniche, stadi di deterioramento climatico, collisioni con oggetti meteoritici, la competizione con nuove specie aggressive, potevano mettere a rischio l'esistenza di larga parte della fauna e della flora in alcuni momenti drammatici della storia geologica. Ma non era mai successo che una specie giungesse a manipolare la natura, anzi a deteriorarla, come progressivamente è capitato dopo la comparsa degli ominidi, e specie del tipo più moderno del genere Homo, appunto H. sapiens sapiens.
A partire dalla "rivoluzione del Neolitico", allorché l'uomo, immerso nella natura primordiale, raccoglitore e cacciatore, ne uscì per diventare agricoltore e pastore, gli ambienti terrestri furono assoggettati a una crescente aggressione da parte delle popolazioni umane, che svilupparono le loro attività, specie se in contrasto o addirittura in guerra tra di loro. Perché la guerra sottintende sempre opere di distruzione: di vite umane, di città, di villaggi, di foreste.
Purtroppo gli uomini hanno spesso privilegiato le scoperte di armi sempre più sofisticate e micidiali. Così ci ritroviamo a considerare la situazione della Terra attuale, dove l'uomo ha raggiunto in campo scientifico e tecnologico livelli quasi inimmaginabili, ma forse non ha ancora raggiunto il giusto equilibrio morale per gestire le sue scoperte senza pericolo.
È quasi nella situazione di un bambino, che giocherellasse con temibili bombe.
Mi limiterò qui a ricordare alcuni aspetti di questa nostra realtà preoccupante, che è messa bene in evidenza nei testi del Worldwatch Instìtute (Brown L. R. et al., 1989; Brown L. R. et al., 1993), e sulla quale ha richiamato spesso l'attenzione il Club dì Roma.
L'effetto serra dovuto al progressivo aumento dì CO2 nell'aria, comincia a evidenziarsi, innescando processi locali di surriscaldamento e di desertificazione, con la conseguenza di ridurre la produzione cerealicola, come è avvenuto in questi ultimi anni negli U.S.A.
Nel periodo che va dal 1969 al 90 si calcola che l'ozono sia diminuito fino a oltre il 3% in corrispondenza dell'emisfero Nord del pianeta, per effetto della risalita nella stratosfera di composti a base di cloro e di bromo, liberati nel corso di processi industriali o emessi da alcuni prodotti oggi di largo consumo (come i gas delle bombolette spray). Ma l'impoverimento in ozono è molto più sviluppato nelle regioni polari (buco dell'ozono). Nelle aree industriali l'inquinamento dell'aria, delle acque continentali e marine e dei terreni, conseguente all'emissione di polveri e gas, è ormai generalizzato.
Occorre poi tener conto dei prodotti di scarico degli automezzi e anche degli aerei in continuo movimento, che riempiono lo spazio di sostanze estranee alla composizione originaria dell'atmosfera.
Nell'ultimo decennio la deforestazione ha raggiunto livelli preoccupanti. Per esempio in Brasile, nella regione amazzonica, sono stati distrutti otto milioni di ettari di foreste, un'estensione che eguaglia la superficie dell'Austria. Nelle calde estati continuano a bruciare i boschi. Si pensi a quanto succede in Italia e al rogo immane che ha colpito la zona di Sydney in Australia nel dicembre del 93, distruggendo un famoso parco nazionale.
Gravi danni alla vegetazione boschiva sono inoltre arrecati dalle piogge acide, come è stato messo in evidenza in Germania, dove si sono manifestate morie in massa degli alberi della Foresta Nera (la "waldsterben" o morte dei boschi). Le perdite conseguenti al deterioramento delle foreste europee per effetto degli inquinamenti atmosferici ammontano a oltre 30 miliardi di dollari l'anno. Inoltre la deforestazione per effetto del taglio indiscriminato degli alberi costa oltre 16 milioni di ettari di foresta tropicale all'anno.
La scoperta da parte dei fisici delle formidabili energie racchiuse nei nuclei degli atomi ha condotto alla fabbricazione di micidiali ordigni di guerra, che sono stati subito adoperati per distruggere due città del Giappone: Hiroshima e Nagasaki, e in seguito ha permesso di allestire i paurosi arsenali nucleari delle super potenze, capaci di annientare in teoria tutta la biosfera.
Nei paesi a maggior sviluppo sono pullulate poi le centrali nucleari per produrre energia elettrica, e la loro pericolosità è stata messa in evidenza dall'esplosione del reattore di Chernobyl in Ucraina, avvenuta nell'aprile del 1986. Centomila persone che vivevano in prossimità del reattore hanno dovuto abbandonare le loro case. Altri incidenti del genere anche se meno clamorosi sono capitati in questi anni, e molte centrali sono considerate oggi a rischio.
Per quanto si riferisce alla minaccia costituita dalla possibile messa in azione di armi nucleari il pericolo è forse aumentato dopo il miracolo dell'89, da quando si è rotto l'equilibrio est-ovest, da quando è stato abbattuto il muro di Berlino e l'Unione Sovietica è diventata Federazione Russa. Il progettato disinnesco di tali armi è un problema di difficile attuazione. Inoltre esse possono essere cedute a paesi minori senza controllo, e anche il commercio delle materie prime per fabbricarle costituisce un pericolo. Lo stesso si può ripetere a proposito delle armi chimiche e batteriche.
Purtroppo l'uomo è approdato sulla Luna e vorrebbe presto approdare su Marte ma non è ancora approdato sulla Terra intesa come un mondo di pace e di cooperazione tra i popoli, per poter realizzare un vero progresso.
Personalmente ho sempre pensato che il denaro speso per sviluppare le ricerche del cosmo e per fabbricare armi sempre più micidiali sia stato un grosso spreco economico, anche se ha condotto a importanti scoperte scientifiche. Capisco l'ansia dell'esplorazione, che in passato ha portato a scoprire nuovi continenti e che al di fuori della piccola Terra e del Sistema Solare potrebbe condurre alla conquista di nuovi ipotetici pianeti. Ma, ripeto, è meglio prima conquistare sul serio la Terra, renderla più sicura, più abitabile, salvarla da un pauroso degrado.
Si pensi al prezzo che si paga per stupende realizzazioni della tecnologia moderna. La guerra quotidiana sull'asfalto ha fatto forse più vittime di tutti i conflitti combattuti sui fronti di battaglia in questo secolo. Ricordo quando negli anni sessanta Padre Secondo Goria tuonava coraggiosamente dal pulpito della Chiesa dei Santi Martiri in Torino, dichiarando rei d'omicidio i dirigenti della FIAT e di tutte le grandi industrie automobilistiche. Diceva che non potevano essere giudicati dai tribunali della Terra, ma che sarebbero stati giudicati severamente dal tribunale di Dio. Lo so, questa affermazione ha tutto il carattere di un'utopia bella e buona. Le industrie dell'automobile e anche le industrie degli armamenti hanno fornito lavoro a milioni e milioni di persone, hanno permesso lo sviluppo di innumerevoli famiglie, anche se hanno contribuito alla morte di tante altre persone, fornendo i loro pericolosi gioielli. E' il triste dramma della società dei consumi.
Negli anni 60 i futurologi prevedevano una ottimistica fine di millennio. Immaginavano una società, dove tutti avrebbero lavorato poche ore al giorno.
Il solo vero problema sarebbe stato offerto dall'impiego del tanto tempo libero a disposizione, nel quale gli uomini del 2000 si sarebbero dedicati a coltivare interessi diversi di carattere culturale, sportivo, religioso. Oggi il tempo libero per molti è disponibile. Ma si tratta purtroppo del tempo libero dei disoccupati.
Tuttavia in questi ultimi anni le valutazioni per il futuro della Terra e degli uomini tendono a rammodernarsi. Il rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch lnstitute, anno 1989, era improntato al più nero pessimismo. I rischi offerti dalle molteplici fonti di inquinamento, dalla crescita incontrollata della popolazione mondiale ("la bomba demografica"), la differenza economica apparentemente incolmabile tra le nazioni progredite e quelle del terzo mondo, sembrava far presagire un prossimo collasso della situazione.
All'inizio del 92, la National Academy degli Stati Uniti e la Royal Society di Londra hanno pubblicato un rapporto, che iniziava così: "Se le attuali previsioni di crescita della popolazione si dimostreranno accurate e se i modelli dì attività umana nel nostro pianeta resteranno inalterati è possibile che la scienza e la tecnologia non siano in grado di impedire il verificarsi di un degrado irreversibile dell'ambiente e il perpetuarsi di una condizione di povertà per la gran parte del mondo".
Ma dal rapporto del Worldwatch Institute del '93 (Brown L. C. et al., 1993) discendono note meno allarmanti, purché si corra tempestivamente ai ripari. Sono passati in rassegna i vari argomenti in riferimento al degrado ambientale e si suggeriscono i mezzi per far fronte alla situazione prima che essa possa uscire da ogni possibilità di controllo.
Anzitutto si mette in evidenza che l'attuale sistema economico è in corso di autodistruzione perché esso tende ad indebolire i sistemi ambientali. Perciò, come punto di partenza per una rinascita della Terra si lancia l'idea di usare l'economia per favorire la ricostruzione del patrimonio ambientale, un'economia da inventare che come tutte le conquiste costerà molti sacrifici (Garaguso G., Marchisio S., 1993).
Infatti si nota che la crescita indiscriminata verificatasi a partire dal l950 del 500% per l'economia con un incremento di popolazione da 2,6 a 5,5 miliardi di persone ha eroso la capacità di sostentamento dei sistemi biologici, destando ben giustificati timori. Ma si suggeriscono agli organi di governo e ai tecnici le misure che dovrebbero essere adottate per sanare le piaghe ambientali e per costruire un sistema eco ambientale sostenibile, che rispetti il più possibile l'integrità degli ecosistemi.
Si dovrà economizzare al massimo l'uso dell'energia ricorrendo per quanto è possibile a fonti naturali (energia idroelettrica, energia eolica, termiche a energia solare) mentre sono i combustibili fossili tradizionali (carbone e idrocarburi) e l'energia nucleare da fissione, mentre quella da fusione per ora non è disponibile.
Sarà dato largo spazio al trasporto su rotaia e tutti i mezzi di trasporto dovranno essere ecologicamente tollerabili. In ogni campo sarà necessario far largo uso del riciclaggio dei materiali e le risorse idriche dovranno essere valorizzate al massimo.
In quel rapporto sono analizzati i vari problemi in una serie di capitoli: fronteggiare la scarsità d'acqua, rivitalizzare le scogliere coralline, difendere i popoli indigeni, fornire energia ai paesi in via di sviluppo, prepararsi alla pace, riconciliare commercio e ambiente, plasmare la prossima rivoluzione industriale.
E' da augurare il massimo impegno allo scopo di realizzare la nuova rivoluzione industriale, che dovrebbe condurre al salvataggio della Terra dagli avvenimenti che la minacciano. L'uomo potrà raggiungere l'equilibrio morale necessario per approdare finalmente sulla Terra, per approdare sulla Terra prima che su Marte?
3 - La Terra in corsa verso il futuro
Anche se la sua condizione attuale è per seri motivi allarmanti, la Terra avanza nondimeno giorno dopo giorno verso il futuro.
Perché tutto a questo mondo è fugace, è immerso nel tessuto del "tempo precario " (Berdjaev N., 971) dove il presente non è che un fragile raccordo tra passato e futuro.
Il geologo che è per eccellenza lo studioso del passato della Terra, sulla base della conoscenza dei fenomeni geologici, è chiamato a far previsioni sulle vicende che attendono il nostro pianeta nel tempo a venire. Ma proprio a causa dell'effetto antropico, che interessa ormai ogni ambiente e che falsa le prospettive naturali, oggi riesce più difficile formulare previsioni.
Come ho scritto in recenti note (Charrier G., 1990; Charrier G., 1991), sulla base di riscontri paleoclimatici, che riguardano il Pleistocene recente e l'Olocene, ritengo che oggi ci troviamo a vivere in un interstadio della Fase glaciale di Wurm piuttosto che in un Interglaciale. Poiché gli interstadi hanno una durata media dell'ordine dei 10.000 anni o poco più, non si dovrebbe essere lontani dall'inizio di un nuovo glaciale.
Ma occorre tener conto di una serie di fattori, che agiscono nel senso di procurare anomalo riscaldamento come l'effetto serra, il deperimento della coltre di ozono, le immissioni di calore dovute alla frenetica attività industriale, così che le previsioni basate sulle vicende del passato possono risultare fallaci.
Il Centro climatologico di San Pietroburgo (Budyko M.I., 1982) prevede infatti per i prossimi secoli un innalzamento della temperatura media terrestre di alcuni gradi e conseguenti fenomeni di diffusa desertificazione e di trasgressione marina.
Molte città costiere sarebbero perciò in pericolo, e la produzione agricola subirebbe forti danneggiamenti. Ma lo stesso Budyko considera prevedibile l'avvio di un nuovo stadio glaciale, se non intervenisse pesantemente l'effetto antropico. Ritiene inoltre che lo stato di maggior equilibrio climatico sarebbe rappresentato dalla condizione "panglaciale": una Terra totalmente o quasi ricoperta dai ghiacci, condizione che finora non si è mai realizzata durante le numerose grandi età glaciali che il nostro pianeta ha subito ad intervalli nel corso della sua storia. Ha conosciuto invece una condizione "pantropicale" largamente estesa, durante il Mesozoico.
L'idea di una diffusa irreversibile glaciazione che in futuro coinvolgerebbe la Terra, decretandone la fine come pianeta abitabile, era comunemente accolta nel secolo scorso. Compare nel romanzo: "La fine del mondo" di Camillo Flammarion dal quale è stato tratto un famoso film negli anni trenta. L'idea è stata ripresa anche dal Carducci nella sua ode: "Tramonto a Monte Mario", dove scriveva: "...quando un'unica femina e un uomo, te vedan su l'immane ghiaccia, Sole, calare". L'ultima coppia di uomini rimasti sulla Terra che assistono desolati al tramonto del Sole tra i ghiacci. Flammarion li aveva battezzati Adamo ed Eva, ripetendo i nomi della coppia biblica iniziale.
Allora si era infatti convinti che il Sole dovesse presto esaurire la sua carica energetica e spegnersi. Oggi invece la conoscenza sulla vita delle stelle si è accresciuta. Il Sole dovrebbe ancora durare a splendere per miliardi di anni e prima di morire potrebbe esplodere ingoiando alcuni pianeti, compresa la Terra.
Ma si tratta di tempi troppo lontani che sfuggono dal dominio della Geologia e dalla relazione tra l'uomo e la Terra.
Perché se la Terra, più o meno abitabile, è destinata a durare per un periodo quasi illimitato, si può pensare invece che l'uomo non durerà a lungo come la Terra.
Nei romanzi di fantascienza si sono prospettati molti scenari fiabeschi come l'invasione della Terra da parte di alieni ostili o fantastici viaggi dell'uomo su astronavi viaggianti alla velocità della luce oltre il Sistema Solare, alla scoperta di pianeti nella Galassia della Via Lattea o in più lontane galassie.
Ma i paleontologi, studiosi della storia della vita, lanciano i loro allarmi. L'uomo moderno (Homo sapiens sapiens) ha tutti i caratteri di una specie tachitelica, votata a una rapida estinzione. Nel Quaternario recente specie largamente diffuse come il cervo gigante del Glaciale, il mammut o l'uomo di Neanderthal sono quasi improvvisamente scomparse. E' poco credibile che l'uomo moderno abbia sterminato con la caccia spietata i mammut o abbia commesso un genocidio sopprimendo i neandertaliani.
Queste specie legate a certe condizioni di ambiente, esaurita per così dire la loro carica vitale, non hanno retto ai radicali cambiamenti del clima, avvenuti nel Pleistocene recente, che·hanno invece favorito l'ascesa dell'uomo moderno e la sua conquista del mondo.
Attribuire all'uomo sulla Terra un destino illimitato nel tempo sembra contrario alle leggi della paleontologia. In uno strano libro (Dixon A., 1982) sono raffigurati gli animali del futuro che verranno dopo l'uomo. L'autore ritiene che l'uomo moderno pur con la sua straordinaria capacità di evoluzione culturale e di sviluppo di una autonoma conoscenza razionale, che lo ha condotto a grandi scoperte nel campo della scienza e della tecnica, sia destinato a subire la legge inesorabile delle specie tachiteliche e a scomparire, lasciando spazio a nuovi gruppi di animali, sempre che non abbia reso la Terra inabitabile, e questo dovrebbe avvenire in un lasso di tempo dell'ordine di 10.000 anni.
Un insigne paleontologo, Padre Theilard de Chardin, la pensa però diversamente. Tentando di riconciliare la scienza con la fede e per convertire i suoi amici scienziati tendenti all'ateismo, ha elaborato un sistema ricco di spunti poetici e di motivazioni spirituali, esposto in una serie di testi affascinanti.
Secondo Padre Theilard l'uomo, anche se è emerso dalla natura animale, a differenza degli animali tende a sviluppare misteriose facoltà di ordine spirituale, che lo spingono verso un polo di attrazione ultraterrestre , il Cristo cosmico o Punto Omega.
Non è perciò soggetto a seguire il destino delle specie tachiteliche, che conduce all'estinzione.
Del resto appare già nelle Sacre Scritture la convinzione che la fine del mondo non sia legata a fatti di natura biologica, geologica o cosmica ma a un evento, la parusia, ossia il ritorno del Cristo glorioso, che esce dal quadro delle realtà fenomeniche. Però il passaggio dal campo materiale e biologico a quello spirituale ipotizzato da Padre Theilard, appare poco chiaro e convincente, se non si ammette che, se pur nascosto, lo spirituale trascendesse la materia sin dalle origini.
Nella sua corsa verso il futuro la terra andrà certamente incontro ad eventi di carattere catastrofico. Permane la possibilità di uno scontro micidiale con asteroidi del tipo Apollo, una famiglia che dovrebbe contare un centinaio di oggetti di varia dimensione. La loro orbita interseca quella terrestre.
Il 31 marzo del 1989 un asteroide di questo tipo del diametro di 1km è transitato a 800.000 km dalla Terra, alla velocità di 70.000 km/ora. Nel 1937 un altro asteroide della famiglia Apollo, battezzato Hermes, anch'esso del diametro di circa un km, si spinse fino a 780.000 km dalla Terra, il doppio della distanza che ci separa dalla Luna. Si calcola che l'incontro con asteroidi tipo Apollo potrebbe avvenire ad intervalli dell'ordine dei 10.000 anni.
Le linee di giunzione tra le placche crostali nelle fasi di scollamento e movimento possono dar luogo a sismi di rovinosa intensità, come si teme da parte della faglia di Sant'Andrea in California. Ma in molte altre parti del mondo ci sono situazioni crostali di questo tipo.
Eruzioni vulcaniche di tipo esplosivo possono arrecare grandi danni. Si calcola che il Vesuvio se entrasse in eruzione in tal modo,. come è accaduto in passato, farebbe forse più di un milione di vittime.
Però come ho ricordato nel capitolo precedente sono ancora gli uomini il peggior nemico della Terra. E' importante che si inverta questa tendenza pericolosa, è importante che gli uomini diventino gli amici della Terra, della loro Terra e diventino per davvero amici tra di loro.
Un filosofo cattolico del calibro di Jean Guitton ha detto: "Il terzo millennio dovrà essere profondamente religioso, fondato sul comandamento dell'amore, o non sarà".