di Marco Romano
“Prima che le conchiglie fossili fossero riconosciute per vere conchiglie e i vegetabili lapidefatti per ciò che realmente sono, prima che questa miserabile verità così semplice e così` patente fosse accordata da tutti, niente meno è trascorso che il periodo di dugento anni. Esempio vergognoso ed umiliante”.
Con queste parole di fuoco Gian Battista Brocchi criticava, nella sua monumentale “Conchiologia Fossile Subappenninica” pubblicata nel 1814, l’enorme ritardo avvertito nel riconoscimento delle conchiglie fossili come i resti di organismi marini un tempo vissuti nel mare.
Lo studio circa la vera natura dei fossili ha difatti dato origine, a partire dall’inizio del sedicesimo secolo e per tutto il corso del diciassettesimo, a un acceso dibattito tra i sostenitori di un’origine inorganica per tali oggetti naturali e i pochi naturalisti illuminati che preferivano un’interpretazione dei fossili come resti di ex-vivi. Tra questi ultimi, si erge gigante la figura di Agostino Scilla (1629–1700), pittore siciliano membro dell’Accademia di Messina “della Fucina” detto “Lo Scolorito”, che può senza dubbio essere considerato uno dei primi autori ad accumulare un numero enorme di evidenze a supporto dell’origine organica dei fossili.
I sostenitori dell’origine inorganica interpretavano i fossili o come oggetti cresciuti per mezzo di semi presenti nell’atmosfera (aura seminalis), come formati da una naturale tendenza creatrice definita vis-plastica o semplicemente come meri scherzi di natura (lusus naturae). L’opera di Scilla “La vana speculazione disingannata dal senso, lettera risponsiva Circa i Corpi Marini, che Petrificati si trouano in vari luoghi terrestri” rappresenta un vero e proprio trattato di stampo naturalistico, congegnato e strutturato proprio nell'intenzione di “falsificare” e mettere in ridicolo le numerose ipotesi formulate dagli autori al fine di spiegare la presenza di conchiglie e altri resti marini su monti e colline.
Frontespizio
originale della “Vana speculazione disingannata dal senso”, stampata a Napoli nel 1670 da Andrea Colicchia e dedicata a Carlo Gregorio, Cavaliere della Stella, Marchese di Poggio Gregorio. |
Scilla non rappresenta il primo autore a interpretare correttamente i resti fossili. Una lettura esatta è trovata infatti già nei testi di Ristoro d’Arezzo del 1282, in Leonardo da Vinci (1452–1519), Fabio Colonna (1567–1640), Bernard Palissy (1510–1590), Girolamo Fracastoro (1483–1533), Girolamo Cardano (1501–1576), Andrea Cesalpino (1519–1603) e Ferrante Imperato (1550–1631). Tuttavia, quello che differenzia il lavoro dello Scilla è la raccolta di una massa critica di evidenze, e la capacità nell'articolazione di un discorso che riesce a toccare -e a mettere in correlazione- le più varie discipline delle scienze geologiche e della biologia (tra queste sicuramente la tafonomia, la geomorfologia, l’attualismo e la variabilità come carattere intimo delle specie animali). Il lavoro di Scilla può quindi essere considerato una vera e propria pietra miliare per la storia della geologia (ma in un certo senso anche della biologia), rappresentando la prima coerente e dettagliata presentazione di evidenze a favore dell’origine organica dei fossili, con una lettura pionieristica anche dei depositi sedimentari che li contengono.
Illustrazione
degli oggetti comunemente chiamati “Occhi di Serpe” o “Bufonites” e correttamente interpretati da Scilla come denti di pesci durofagi (da Scilla, 1670, tavola II). |
Un primo nodo di fondamentale importanza nel modo di operare di Scilla rappresenta il riconoscimento di un’assoluta priorità ontologia dell’osservazione diretta della natura, rispetto ai ragionamenti e alle formulazioni astratte di stampo prettamente metafisico. Il pittore, infatti, afferma di “non essere a segno tale innamorato della Filosofia speculativa” riferendosi chiaramente alla ricerca della “verità” basata solamente sul ragionamento e sulla speculazione. A tale riguardo, quindi, l’autore può essere benissimo considerato un erede “spirituale” dei geni di Leonardo e Galileo, per i quali l’investigazione tramite l’esperienza diretta risultava l’unica via difendibile per il raggiungimento della “verità” (in una chiara accezione pre-popperiana della scienza). L’analisi empirica e lo sperimentalismo è quindi indispensabile nel pensiero di Scilla “per non offendere una tanto gran Dama, qualsi è la Verità, che superando tutte l’altre in grado di bellezza, merita d’essere anteposta ad ogn'altra convenienza”. L’importanza centrale dei sensi, e in modo particolare della vista, può essere facilmente ricondotta alla professione di pittore di Scilla, e quindi alla necessità di un’attenta osservazione della natura per coglierne “l’essenza” e poterla riprodurre fedelmente nei dipinti”. Il pittore naturalista, dunque, rifugge i sistemi filosofici completamente distaccati dal mondo fenomenico affermando: “risolsi del credere, e difendere quel, che l’occhio insegnato m’aveva”. Tale rinuncia alla filosofia speculativa, è già riassunta nel titolo stesso della sua opera “La Vana Speculazione disingannata dal senso”, che mette da subito in chiaro tale premessa fondamentale.
Illustrazione
mostrante chiaramente il calco esterno visibile dopo la rimozione del dente di squalo dal sedimento inglobante (da Scilla, 1670, tavola V). |
Tramite l’osservazione attenta e diretta dei fossili e la loro riproduzione in tavole di splendida fattura, Scilla riesce -ad esempio- a differenziare i denti di squalo (Glossopetre secondo il termine arcaico) in numerose categorie basate sul grado maggiore o minore di arrotondamento, sul tipo di dentellatura e sulla forma caratteristica (triangolare, a freccia, asse rettilineo o curvo), dimostrando una sensibilità di osservazione e di sintesi tipica di un tassonomo moderno. Scilla non si limita a studiare i fossili mandati al pittore da studiosi e amici. Da naturalista vero e proprio, si reca di persona sugli affioramenti, specialmente nell'area nei dintorni di Reggio Calabria, raccogliendo e analizzando direttamente in situ il materiale di suo interesse. Tali esperienze dirette sul campo permisero al pittore di arrivare alla formulazione d’ipotesi esplicative circa la struttura e la conformazione dei peculiari corpi sedimentari fossiliferi, tentando, in maniera del tutto pionieristica, ricostruzioni di carattere sedimentologico.
La categoria più stringente di evidenze riportate da Scilla a favore della sua tesi consiste nell'osservazione attenta dei fossili e nel riconoscimento delle esatte corrispondenze anatomiche con gli organismi marini conosciuti al suo tempo. Pertanto, il lavoro del pittore fornisce uno dei primi esempi di uso sistematico del metodo comparativo per la formulazione di ipotesi e congetture sul mondo naturale: una prassi che diventerà la base della stessa biologia e in particolare dello studio della diversità, sul finire del diciottesimo secolo, con la figura fondamentale di George Cuvier. L’approccio prettamente attualistico di Scilla traspare in tutta la sua chiarezza e semplicità dalle parole del pittore: “dobbiamo contentarci di raffigurare i frantumi sopradetti per porzioni d’animali di mare, avendone sotto gli occhi vivo l’esempio”. Seguendo tale metodo di investigazione, Scilla riuscì per la prima volta ad attribuire un significato a quegli oggetti trovati di frequente sul terreno e definiti volgarmente “Occhi di Serpe”. In una prima interpretazione classica, tali oggetti erano considerati occhi di serpenti pietrificati, mentre in una seconda ipotesi rinascimentale, venivano interpretati come piccole pietruzze formate nella pelle del cranio di vecchi rospi, da cui il termine “Bufonites”. Diversamente, Scilla riesce, con successo, a dimostrare che tali oggetti trovati nei sedimenti altro non erano se non denti fossili di pesci durofagi, e riporta nel suo testo le illustrazioni dei denti nelle specie attuali, in modo da fugare definitivamente ogni dubbio.
Oltre al riconoscimento corretto dei fossili come ex-vivi, l’osservazione di tali oggetti nel loro contesto deposizionale ha portato il pittore naturalista a formulare ipotesi geologiche del tutto innovative (occorre considerare le scarse conoscenze in campo geologico caratterizzanti la sua epoca). In Scilla è già presente e chiaro il concetto di una superficie terrestre che deve aver subito un’evoluzione nel corso del tempo e che risulta, tuttora, in continuo mutamento (il pittore cita, ad esempio, il modellamento del paesaggio ad opera dei corsi d’acqua, che incidendo i depositi mettono a nudo i sedimenti fossiliferi), in completo contrasto con le diffuse teorie che prevedevano un mondo del tutto immutato sin dai giorni della Creazione. L’osservazione della giacitura dei fossili, oltre alla necessità di rispondere alle obiezioni sollevate da diversi studiosi contemporanei o del passato, porta Scilla a formulare concetti fondamentali come quello di calco interno (modello interno) e calco esterno dei fossili (concetti in realtà già presenti nel così detto “Problema Universale” di Stenone pubblicato nel Prodromus un anno prima dell’opera di Scilla), nonché il riconoscimento dello scarso valore del colore dei fossili, dovuto a mere cause accidentali caratterizzanti il luogo di formazione dei depositi. Il complesso processo di formazione di un modello interno ricostruito dal pittore, mette chiaramente in luce la presenza, seppur embrionale, di un approccio biostratinomico e più generalmente tafonomico nelle ipotesi dallo stesso formulate. Partendo dalla semplice osservazione della forma originale che caratterizza gli echinidi in vita, l’autore inferisce correttamente che molti gusci devono essere stati necessariamente compressi e fratturati dal peso dei sedimenti dopo il loro seppellimento. Come osservato correttamente da Scilla, i singoli gusci risultano deformati in modi differenti, in relazione alle loro orientazioni differenziali nel sedimento e quindi alla direzione dei “vettori” di compressione.
Illustrazione
dei ricci di mare irregolari compressi e fratturati in differenti modi in accordo alla loro orientazione nei sedimenti inglobanti (da Scilla, 1670, tavole XXV e XXVI). |
Dal punto di vista geologico e sedimentologico, tutte le interpretazioni erronee trovate nelle ipotesi di Scilla hanno la loro fonte nella scelta delle inondazioni catastrofiche (l’autore ammette diverse inondazioni oltre al Diluvio delle Sacre Scritture) come modello per spiegare la deposizione dei sedimenti contenenti fossili. L’autore, infatti, ci tiene a sottolineare che, nonostante risulti incerto se la deposizione derivi dal singolo Diluvio biblico o da altre “speziali inondazioni”, sia i sedimenti che i resti di organismi devono essere considerati completamente alloctoni, o come dice lo stesso Scilla, “che tutto sia forestiero”. Scilla si rende conto che una sola inondazione non è sufficiente a spiegare l’immane mole di fossili che si trovano nei depositi di tutto il mondo, ed è quindi portato a ipotizzare diversi eventi di inondazione catastrofica; un’ ipotesi ripresa e sviluppata successivamente da Antonio Vallisnieri, un'altra figura fondamentale per la storia della geologia italiana e mondiale. La soluzione più logica, agli occhi di Scilla, consiste nell’assumere diverse inondazioni avvenute nel corso del tempo: eventi che hanno trasportato il loro carico rispettivo di sedimenti e corpi marini, quest’ultimi trasformatisi successivamente in fossili.
Nel ricostruire i processi delle “inondazioni catastrofiche” Scilla è in grado di formulare vere e proprie ipotesi sedimentologiche circa il trasporto e la deposizione dei gusci e delle particelle di sedimento. Studiando le cave di Malta, da cui venivano estratte le Glossopetre (denti di squalo fossili), Scilla si accorge che i depositi non risultano strutturati a caso ma, al contrario, mostrano una decisa regolarità nella composizione e giacitura. Il pittore descrive una vera e propria colonna stratigrafica dove a un corpo di ciottoli segue verso l’alto uno di sabbie (da egli definite “ordinate”), a loro volta seguite verso l’alto da sabbie più fini. Scilla inoltre riconosce una certa ciclicità e ripetizione nel taglio analizzato, con tale sequenza che si ripete verso l’alto “con ordinanza continua”. L’interpretazione sedimentologica di Scilla può essere apprezzata nelle stesse parole dell’autore, senza necessità di aggiungervi altro: “secondo la piena dell’acque, portano con esso loro quel, che incontrano; in luoghi però, ove possano dilatarsi, perdendo la ferocia del corso loro le acque, posano e discaricano, i corpi involti in quel fluido, e strascinati dall'impeto, ma con un’ordine necessario, cioè, i corpi di maggior peso sotto, i meno gravi sopra, e sopra di questi i più leggeri”.
Per quanto riguarda il concetto di specie, in Scilla non risulta essere contemplata la possibilità di estinzione o comparsa di nuove forme durante il corso del tempo quindi abbracciando completamente il concetto fissista pre-darwiniano. L’esegesi letterale delle Sacre Scritture prevedeva che tutte le specie fossero state create immutabili all'inizio dall'Ente Infinito, un concetto completamente compatibile con l'essenzialismo aristotelico, il quale, a sua volta, può essere fatto risalire direttamente all'eidos di Platone (il concetto essenzialistico di specie viene seguito completamente, tra gli altri, anche dallo stesso Linneo, padre della nomenclatura binomia).
Per un essenzialista puro, da Aristotele ai naturalisti pre-darwiniani, la variazione osservata in natura era semplicemente il risultato della manifestazione imperfetta dell'eidos (“essenza”) platonico-aristotelico. Diversamente, Scilla sembra percepire la variabilità come un attributo caratteristico e imprescindibile degli organismi viventi, e non un mero accidente dell’“essenza” caratterizzante una specie. Ne segue che nel pittore siciliano, l’interesse è decisamente spostato sull'organismo individuale, basandosi sul fatto che due individui di una stessa specie non saranno mai completamente identici e sovrapponibili (ad esempio descrivendo le mascelle di uno squalo, osserva la diversità tra i due lati della bocca, affermando di non poter inserire un dente della metà destra nel corrispondente alveolo di quello di sinistra). In tale prospettiva, nella sensibilità “tassonomica” di Scilla è possibile ravvisare il germe della rivoluzionaria “concezione popolazionale di specie”, che verrà completamente apprezzata e metabolizzata solamente molto più tardi (quasi tre secoli) a seguito della sintesi neo-darviniana a metà del ventesimo secolo.
In conclusione, come riconoscimento dell’eredità del lavoro di Scilla, possiamo affermare che l’interpretazione dei fossili come organismi un tempo vissuti nel mare non risulta una scoperta fine a sé stessa, ma rappresenta un nodo concettuale che, una volta raggiunto e superato, porta necessariamente a una cascata di inferenze e considerazioni. In Scilla, può essere osservato, in via del tutto embrionale ma pionieristica, il passaggio da un mondo statico, che riflette perfettamente la Creazione originale, a una Terra dinamica in costante evoluzione: una visione abbracciata e portata alla sua espressione più grandiosa dai padri della geologia come James Hutton e Charles Lyell.
Soltanto in seguito, lo studio di fossili non rappresentati da organismi attualmente viventi ha portato alla formulazione del concetto fondamentale di estinzione, e, successivamente, alla consapevolezza che le specie animali e vegetali non sono state sempre nel stesse nel corso del tempo geologico. I lavori di Gian Battista Brocchi e del suo contemporaneo William Smith in Inghilterra (oltre a quelli di Cuvier e Alexandre Brogniart in Francia), portarono alla comprensione che i differenti livelli geologici contengono faune del tutto uniche e peculiari. Ne seguì, necessariamente, che una moltitudine di specie dovevano essere scomparse nel corso della storia della Terra, con un record stratigrafico punteggiato da estinzioni di specie e da nuove comparse.
Solo successivamente alla pubblicazione dell’opera di Darwin, i fossili di specie estinte poterono essere utilizzati propriamente nella biostratigrafia e incorporati come evidenze chiave per supportare la teoria stessa dell’evoluzione biologica. Questa lunga catena d'inferenze e ragionamenti logici è stata probabilmente innescata anche grazie alle osservazioni acute di un personaggio Italiano, poco conosciuto, del diciassettesimo secolo: Agostino Scilla, “Lo Scolorito” il quale, nella sua onorevole modestia, ci tiene a sottolineare che rappresenta nulla più che un semplice pittore “nudo di buone lettere”.
Per saperne di più:
- Scilla Agostino (1670) - La vana speculazione disingannata dal senso. Lettera responsiva circa i corpi marini che petrificati si truovano in varij luoghi terrestri. Naples: Appresso Andrea Colicchia. (http://books.google.it/books/about/La_vana_speculazione_disingannata_dal_se.html?id=x6NfGLBiCigC&redir_esc=y)
- Accordi Bruno (1978) - Agostino Scilla, painter from Messina (1629–1700), and his experimental studies on the true nature of fossils. Geologica Romana, 17:129–144. (http://tetide.geo.uniroma1.it/dst/grafica_nuova/pubblicazioni_DST/geologica_romana/Volumi/VOL%2017/GR_17_129_144_Accordi.pdf)
- Romano Marco (2013) - The vain speculation disillusioned by the sense’: the Italian painter Agostino Scilla (1629–1700) called ‘The Discoloured’, and the correct interpretation of fossils as ‘lithified organisms’ that once lived in the sea. Historical Biology. DOI: 10.1080/08912963.2013.825257 (http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/08912963.2013.825257#.UlE_XSTwmSo)
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