Panorama del Ponte sfondato riprodotto sul lavoro di Carmelo Maxia |
Secondo la sua interpretazione, infatti, risultava più corretta l’originaria denominazione di “Môte (Monte) sfondato”, toponimo peraltro già riportato in una carta da Giubilio Mauro nel 1617 e riprodotta, nel 1923, dal prof. Riccardi nel Bollettino della Società Geografica Italiana.
La conclusione della sua analisi toponomastica fu dunque quella di ricordare che l’originaria denominazione era “Monte sfondato” o “Ponte di Monte sfondato”; nel primo caso è stata sufficiente la sostituzione di una consonante, nel secondo l’abbreviazione della locuzione, sostituita con una legata ad analogia concettuale, sebbene meno precisa.
In realtà, il lavoro di Maxia fu dedicato principalmente alla descrizione geologica di questo “singolare fenomeno d’erosione nella Sabina occidentale”, come recitava il titolo del lavoro, pubblicato su L’Universo, la Rivista dell’Istituto Geografico Militare.
Secondo Maxia il collegamento fra le due sponde del Fiume Farfa “non avviene a mezzo di un’opera d’arte, bensì ha luogo mediante un ponte che, per molti caratteri, è da ritenersi naturale”, anche se l'arco non era stato inserito nell'elenco dei ponti naturali redatta da Achille Forti nel 1923, mentre già in tali termini ne parlava nel 1896 Federico Keller nel suo “Frammenti concernenti la geofisica dei pressi di Roma”.
La descrizione geologica che ne fa Maxia è particolarmente dettagliata: “l'arcata è aperta in una formazione di puddinghe costituite di ciottoli provenienti dalla demolizione di rocce mesozoiche, fortemente cementati da una sostanza sabbioso-calcarea. […] Verso sud il conglomerato è ricoperto da una placca di strati di sabbia gialla calcarea passante, localmente, ad una roccia che ricorda il “macco”, contenente fossili, specialmente briozoi, ditrupe, piccole conchiglie di molluschi, ecc., forse appartenenti al Calabriano”. Continua la sua descrizione correlando questi depositi con quelli rinvenuti nello scavo per la stazione di Poggio Mirteto.
Comincia quindi una analisi geomorfologica dell’area e dello stesso ponte; evidenzia, in particolare, la disposizione del ponte a forma di penisola rivolta verso “un’ampia convessità, terminazione di un meandro estinto, con la pianta a profilo di fiasco, sviluppato per una lunghezza di 825 m. […] Il Farfa scorre, oggi, dentro un altro meandro, a raggio di curvatura assai più piccolo di quello fossile, nel quale è inscritto, corrispondendo, alla strozzatura del primo, la massima ampiezza dell’estremità dell’altro. Nel punto in cui nel meandro attuale il ramo orientale si raccorda con il tratto di massima curvatura, si apre l’arcata del Ponte Sfondato”.
Continua poi con una descrizione meticolosa e precisa delle dimensioni e delle geometrie del ponte, completando il lavoro con le ipotesi sulla sua genesi: invoca un sollevamento a scala regionale, testimoniato “dalle scarpate brusche di fianchi vallivi conglomeratici, dove essi siano conservati senza gli addossamenti detritici posteriori. […] All'atto della raggiunta maturità morfologica [il Farfa] occupava già i limiti del meandro antico, il quale, durante l’accennata fase epirogenetica si è incastrato nei conglomerati”.
Ipotizza quindi la concomitanza di tre avvenimenti: il lento sovralluvionamento dell’alveo del meandro antico; l’azione di dissolvimento ed erosione delle allora copiose acque del torrente; l’azione autorettificatrice del corso d’acqua.Il Ponte sfondato visto dall'ingresso del Farfa. |
Chiude il suo lavoro escludendo l’ipotesi di una origine antropica del ponte, se non, forse, nell'allargamento della luce, anche se di tale operazione si sarebbe dovuta ritrovare memoria in qualche documento storico.
In una nota redatta in corpo minore accenna, poi, ad una possibile distruzione del ponte per cause naturali: “Aumentando sempre più la luce, essa potrà determinare, in avvenire lontano, il crollo della volta, segnando il passaggio dallo stadio di penisola a quello di isola come se la Natura, quasi pentita, tenda a distruggere l’utile opera sua stessa”.
Questo sventurato evento si verificò, purtroppo, una notte del 1961. Già prima del crollo, però, il Ponte sfondato era stato sostituito da un più moderno ponte in cemento armato. Oggi del Ponte sfondato rimane il toponimo, indicato come frazione del Comune di Montopoli di Sabina, ed i resti del ponte crollato, nascosti sul letto del Torrente Farfa tra la vegetazione.
Per saperne di più:
MAXIA, Carmelino (detto Carmelo), Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008), di Alessio Argentieri.
Maxia C. (1948) - Un singolare fenomeno d'erosione nella Sabina occidentale: il “Ponte Sfondato” sul torrente Farfa. L'Universo, XXVIII, n.6, novembre-dicembre 1948: 633–645.
Keller (F. 1896) - Sull'intensità orizzontale del magnetismo terrestre nei pressi di Roma (Frammenti concernenti la geofisica nei pressi di Roma, Quaderno n. 4, Roma.
Guattani G.A. (1827) – Monumenti sabini. Roma.
Riccardi R. (1923) – La cartografia nella Sabina nei secoli XVI, XVII e XVIII. Boll. Soc. Geogr. Ital.
http://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_Sfondato#cite_note-13
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